Vita nello Spirito

Giovedì, 23 Novembre 2006 23:17

Il tempo dell'attesa e il mestiere della cura (Vittorio Nozza)

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Il tempo dell'attesa e il mestiere della cura

di Vittorio Nozza

 

Pochi giorni al 25 dicembre. È il tempo dell'attesa, dei preparativi per lasciare che Qualcuno entri nella nostra vita. Come succede in una casa che aspetta la nascita di un figlio: c'è da fare spazio, un letto da preparare, del tempo da dedicare alla nuova vita: non a caso il mistero dell'Incarnazione ci viene raccontato dalla culla di Betlemme. Anche l'attesa di un figlio può sembrare un avvenimento impossibile. Soprattutto può creare scompiglio in casa, mandare all'aria i progetti e le idee di una giovane coppia. Come ogni grande sorpresa che ci investe, non ci sentiremmo mai pronti, mai adeguati: è quasi naturale parlare di turbamento e paura. Nessuno ci ha mai preparato all'imprevedibile: attendere un figlio è una scommessa sul futuro, confidare in un dono, dare credito a qualcuno, mettersi a servizio della vita.

Il tempo della vita, poi, è alternanza di gioie e dolori, fatiche e speranze. A volte i nostri occhi si spalancano nello stupore di fronte alle meraviglie della vita, ma possono riempirsi anche del grigio della noia o del nero della disperazione. Ogni angolo della terra ha un popolo che grida, una donna che sperimenta la minaccia, un figlio che ha paura: tutti aspettano un tempo di riposo e un po' di pace. Anche angoscia e ansia fanno parte dei nostri tempi, fatti di attesa e di domande. C'è una speranza che interroga le nostre paure: che ne sarà della vita? Chi ci dirà qualcosa del futuro? Ha senso che cerchiamo di prenderci cura della storia per "crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti", come dice l'apostolo?

I pastori, i consumi, la sete

Il tempo dell’attesa per educarci ad accogliere non è un tempo vuoto d’azione. C’è da fare un grande lavoro di costruzione di una nuova umanità, dentro e attorno a noi. Una domanda per tutte: che cosa dobbiamo fare? Cambiare vita in modo radicale oppure occuparci umilmente del nostro quotidiano? Ci dicono: urge una svolta. Sì, ma perché o per chi dovremmo cambiare? Ci deve essere una ragione davvero forte per metterci in viaggio, per farci invertire la rotta. Non per calcolo. Non per convenienza. Ci deve essere qualcuno così forte da afferrarci la vita. Nessuno cambia se non viene incontrato da una presenza che lo emoziona, gli scalda il cuore, gli dà speranza, vince la morte.

Oggi i pastori sono un po’ diversi: sono gli uomini della città, dei consumi; sono gli uomini che hanno tutto e che continuano ad avere sete. Però, quando si tratta di vigilare, di custodire, di andare alla ricerca, ci sentiamo un po' tutti dei pastori. Il cui mestiere è la cura. Cura della natura, del mondo, dell'altro. Cura dell'uomo.

Soprattutto, cura del mistero della vita, della parola che dà corpo alle nostre domande e abbevera i desideri: Dio che si fa carne è al di là di ogni aspettativa.

La nostra è la società della fretta e dell'efficienza. Abbiamo tante cose da fare, da costruire e da comperare... Ci sembra che nulla possa esistere se non è subito nelle nostre mani e sotto i nostri occhi. Anche le nostre città, i nostri quartieri, le nostre vie, così conosciuti, così familiari, così nostri, possono assomigliare a un deserto, desolazione e solitudine, incomprensione e mancanza. Hanno bisogno di amore e di perdono. Qualcuno ha promesso di porre la sua tenda in mezzo a noi ed è ovvio prepararsi per accogliere la sua venuta. Prepararsi come per una grande festa. Un tempo di attesa, breve ma sempre più confuso da ciò che ci circonda e coinvolge: luminarie, corse all'ultimo regalo, pranzi, inviti, cene, vacanze.

Questo tempo ricco, sotto molti aspetti, deve ricordarci che ci sono anche i non-ricchi: i poveri. Qualcuno piange ancora per la fame e per la mancanza di un tetto sotto il quale trovare rifugio. L'Incarnazione è il modo in cui Dio si fa carico della povertà dell'uomo, di ogni uomo, per prestare orecchio al grido del povero e dell'oppresso, della vedova e dell'orfano, dello straniero e del carcerato. Accogliere Gesù che viene nella notte di Natale significa accogliere con Lui anche tutti coloro per i quali è venuto, significa accettare che la nostra vita cambi perché l'abbiamo incontrato, ascoltato e accolto.

Accolto. Ma in chi?

* In quel quinto della popolazione mondiale che vive ancora con meno di 1 dollaro al giorno: oltre 1 miliardo 200 milioni di persone che rischiano quotidianamente la morte e vedono compromesso il proprio sviluppo fisico e mentale;

* in quei 120 milioni di bambini che al mondo non vanno a scuola: una larga fascia delle nuove generazioni non saprà né leggere né scrivere, due terzi sono bambine;

* in quei 10 milioni di bambini con meno di 5 anni che ogni anno muoiono a causa di malattie curabili con vaccini adeguati e in quei 140 milioni che muoiono per Aids e malnutrizione;

* in quelle 500 mila mamme che muoiono ogni anno a causa delle precarie condizioni igieniche nelle quali sono costrette a partorire per l'assenza di personale qualificato, malnutrizione e malattie facilmente curabili;

* in quel 1 miliardo 100 milioni di persone che non hanno accesso all'acqua potabile, residenti in maggior parte nelle aree rurali.

Il sogno e il frammento

Natale: evento per sognare. Lasciateci sognare un'esistenza nuova, una politica con più fiato, una maggiore attenzione a chi ci sta accanto, una maggior credibilità delle istituzioni, più pace tra i rappresentanti delle istituzioni, meno egoismi privati e più coraggio pubblico, l'apparire di prospettive europee e mondiali in grado di giustificare i sacrifici che facciamo e che sono, in qualche modo, inevitabili, un mondo più giusto e in pace. Lasciateci sognare anche l'emergere di vocazioni sociali e politiche a servizio dell'umanità.

Natale: il tutto è nel frammento, l'eternità è nell'attimo, la luce squarcia le tenebre, la nostra attesa è colma, la speranza di un popolo di uomini trova verità. Tutto per dire il grande avvenimento: la Parola si è fatta carne. Dio si è fatto uomo. Egli ha posto la sua tenda e ha scelto di abitare in mezzo a noi. Un bimbo è lì per dire la verità dell'amore per ogni uomo, senza distinzione né differenze. Sbirciare in quella mangiatoia, accoglierlo nelle nostre braccia, sarà come ritrovare il nostro essere uomini, sarà come scoprire che Dio ha una parola per noi. Su di noi. Da sempre. Buon Natale.

(Tratto da Italia Caritas, dic. 2004, pag. 3)

Letto 1039 volte Ultima modifica il Giovedì, 23 Settembre 2010 23:20
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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