Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input
Oltre il testo
di Marcelo Barros
Dupuis
dire Cristo all’Asia
di Gianni Colzani
Dice un proverbio della Sierra Leone: «Quando uno stormo di uccelli si leva in volo, vuol dire che uno è partito per primo». Padre Jacques Dupuis, scomparso il 28 dicembre 2004, era uno di questi scomodi personaggi: ha avuto un ruolo di primo piano nella elaborazione di una teologia delle religioni ed è stato uno dei primi ad avviarsi sulla strada del pluralismo religioso, ad indagare cioè in termini teologici il valore che le altre tradizioni religiose hanno nel disegno salvifico di Dio. La teologia delle religioni è oggi un capitolo cruciale non solo della teologia ma della stessa storia del mondo. L'11 settembre ha rappresentato un trauma nella coscienza mondiale e, da allora, molti leader politici e religiosi hanno insistito sul fatto che l'islam non può essere identificato con il terrorismo. Resta il fatto che un uso ideologico delle religioni è sempre possibile e che molte guerre hanno utilizzato il nome di Dio e provocato, nel suo nome, migliaia di vittime innocenti.
Lo stesso Giovanni Paolo II, nella Novo millennio ineunte, scriveva che nelle condizioni di spiccato pluralismo che si vanno prospettando «tale dialogo è importante anche per mettere un sicuro presupposto di pace e allontanare lo spettro funesto delle guerre di religione che hanno deve diventare sempre di più, qual’è, un nome di pace e un imperativo di pace» (n. 55).
In termini più teologici, la Redemptoris missio aveva insegnato che «il dialogo non nasce da tattica o da interesse ma è un'attività che ha proprie motivazioni, esigenze, dignità: è richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito che soffia dove vuole» (n. 56). Una costruttiva teologia delle religioni, mentre approfondisce la coscienza della propria identità, è impegnata a riconoscere i segni della presenza di Cristo e dell'opera dello Spirito; senza intolleranza e senza irenismi, deve saper esprimere coerenza con sé e rispetto per l'altro, verità e umiltà. È questo il dialogo di cui abbiamo bisogno. A questo scopo è certo indispensabile la purificazione delle memorie storiche ma, in un contesto spesso conflittuale come il nostro, è decisiva la capacità di elaborare una vera e propria teologia delle religioni.
Le religioni cercano Dio e proclamano la salvezza. Per i credenti la salvezza è una interpretazione della vita, è qualcosa che attraversa tutta l'esistenza e che, oltrepassandola, presenta la comunione con Dio come il supremo valore della persona, come ciò attorno a cui unificare l'esperienza umana dandole significato e valore. Con il tempo sono nati molti modi di conciliare la verità di un Dio universale con la realtà di religioni nazionali e particolari: la conquista di un territorio e l'imposizione forzata di una religione e la diffusione attraverso la predicazione e la conversione sono state, forse, le modalità più frequenti.
Queste modalità hanno generato delle scuole teologiche che oggi, in un tempo radicalmente diverso dal passato, si possono raccogliere secondo tre modalità: esclusivismo, inclusivismo e pluralismo.
L'esclusivismo sostiene che l'unico, esclusivo luogo di salvezza è la Chiesa. Fuori di essa vi sono solo pagani, false divinità, forze maligne e magie; solo nella Chiesa, con la fede nel Vangelo di Gesù e con il battesimo si è salvi. I non-cristiani non hanno che una possibilità: convertirsi ed entrare nella Chiesa. Diversa è la posizione dell'inclusivismo: questa teoria sostiene che, in Cristo, sono incluse tutte le persone e tutte le culture e le religioni. Poiché Cristo non è venuto per abolire ma per portare a compimento, allora la Chiesa è chiamata ad assumere tutte le capacità e le tradizioni dei popoli ricapitolando così - con un lavoro di purificazione e di elevazione - tutta l’umanità sotto Cristo ed il suo Spirito. In una Chiesa cattolica, le singole parti offrono alle altre i propri doni e tutte le parti traggono vantaggio da questa vicendevole comunicazione. Il pluralismo infine, nella sua forma più rigida, sostiene che tutte le religioni sono interpretazioni culturali, diverse per storia e dogmi, di un'unica esperienza religiosa e che, per questo, le religioni sono sostanzialmente identiche e sono tutte quante legittime «vie di salvezza». Nella sua infinita grandezza, che supera ogni schema culturale, Dio si serve di tutte le religioni per salvare l'umanità e condurla a lui.
Nel caso di Dupuis, a queste prospettive di ricerca teologica si è aggiunta la sua personale passione su come si debba annunciare Cristo all'Asia, su quale sia il volto asiatico di Gesù. In un continente che raccoglie due terzi dell'umanità e nel quale i cristiani si aggirano attorno allo 1,5-2 per cento o poco più, questo problema è decisivo. Da una parte nell'Asia sono nate e sono radicate le più antiche e diffuse religioni del mondo, dall'islam all'induismo, dal buddhismo al taoismo, dal confucianesimo allo shintoismo: dall'altra, per quel mondo, prima che un insieme di dogmi e di riti, le religioni sono una esperienza e una vita lungo la quale inoltrarsi con un coinvolgimento personale profondo. Insieme all'inculturazione della fede, la teologia delle religioni esige una trasformazione profonda nel modo di intendere la missione: senza ridursi alla plantatio ecelesiae, la missione deve seguire sempre di più l'evangelizzazione del regno alla maniera di Gesù, mentre la Chiesa deve mostrarsi sempre di più come sacramento del regno nella storia. Per Dupuis tutta questa problematica teologica si concentra attorno a Gesù Cristo, cuore di ogni fede cristiana: sviluppando due opzioni, da una parte riconduce la persona e l'opera di Gesù all'annuncio del Regno e dall'altra la colloca in rapporto alle persone trinitarie. Il Regno è il contenuto della missione di Gesù ed il rapporto eterno del Verbo con il Padre e con lo Spirito è il segreto profondo della sua persona storica.
Risalendo a quel Verbo che illumina ogni uomo e che, nel corso della storia, ha parlato molte volte e in diversi modi, Dupuis pensa a diverse manifestazioni di Dio - documentabili nella azione divina che sorregge le altre religioni - e vede in Gesù Cristo il vertice di questa storia salvifica. Per quanto sia veramente e costitutivamente unito al Verbo, così da condividerne la divinità, Gesù però - in quanto uomo - gli rimane inferiore. Per questo la concezione della storia di salvezza, propria di Dupuis, è una sorta di teocentrismo che, pur mantenendo la divinità di Gesù, riconosce che tutte le religioni appartengono all'opera salvifica di Dio. Il risultato del suo pensiero è allora una presentazione di Gesù come salvatore universale e come unico mediatore; al tempo stesso, attraverso mediazioni che sono una forma di partecipazione all'agire del Verbo eterno, presenta le religioni come in grado di svolgere un vero e proprio ruolo salvifico. In questo modo Gesù è il volto umano di Dio mentre lo Spirito è la forza universale presente nelle diverse religioni; l'uno e l'altro - Gesù e lo Spirito - fanno riferimento alle persone trinitarie e trovano in quell'ambito la loro verità ultima. Da una simile visione scaturisce una prospettiva pluralista che riconosce la presenza dell’azione salvifica di Dio anche al di là dei confini visibili della Chiesa; questa azione divina non riguarda qui la salvezza dei singoli individui, ma il ruolo che le religioni che professano possono giocare in questa salvezza e davanti agli occhi dei cristiani. Su questa base teologica, a prescindere dalla reciprocità, nasce un atteggiamento nuovo nelle relazioni tra credenti di fedi diverse.
Questo atteggiamento nuovo è il dialogo, che appare così non già una scelta di comodo che nasconde interessi diversi, ma una scelta di fondo e ben fondata. Il dialogo nasce dalla consapevolezza di una profonda unità, fondata sul mistero della creazione e della redenzione; a questa unità va aggiunta l'opera dello Spirito che, presente nei cuori e nelle Coscienze, è presente anche nelle culture e nelle religioni a cui gli individui hanno dato origine. I semina Verbi sono i segni di questa sua misteriosa ma salvifica presenza. Non è quindi possibile risolvere la missione nel solo dialogo sopprimendo l'annuncio: mentre permette la scoperta di nuovi spazi di verità, il dialogo non cancella la fede e quindi, in qualche modo, è pur sempre una forma di annuncio. Per questo da una parte il dialogo deve esprimere la reciprocità del cammino delle religioni e dall'altra deve rispettare la loro asimmetria che riconosce la singolarità di Gesù.
Nonostante queste precisazioni, la Congregazione per la dottrina della fede riterrà inadeguata questa presentazione: vi scorgerà ambiguità e difficoltà che possono condurre in errore il comune lettore. Non vedrà sufficientemente riconosciuta la verità della divinità di Gesù e nella Dominus Iesus, senza fare cenno a Dupuis e alle sue tesi, parlerà del pericolo del relativismo ed enuncerà quelle verità che devono rappresentare come il quadro criteriologico di ogni corretto lavoro su questo tema. Questo dibattito oggi appena iniziato, nelle conclusioni a cui nel futuro giungerà, rappresenterà l’ossatura del cristianesimo venturo.
(da Mondo e Missione, febbraio 2005)
Un teologo analfabeta
in missione agli inferi
di Anna Maria Cànopi osb
Babilonia,
figura del Male nell’apocalittica
di Michel Trimaille *
Per amare il nostro fratello dobbiamo prima rispettarlo nella sua autentica realtà personale, e non possiamo farlo se non abbiamo noi stessi raggiunto il rispetto per la nostra persona, una personalità matura.
Abramo, alle querce di Mamre ci insegna che attraverso l'ospitalità dello straniero possiamo fare la più sorprendente delle nostre esperienze: l'incontro con la presenza misteriosa, vitale e stupefacente di Dio.
Non è ormai un mistero che l'ostacolo maggiore individuato da tutte le chiese è costituito dal primato papale. L'argomento è sulle agende confessionali e interconfessionali e torna negli interventi di moltissimi dialoghi bilaterali e multilaterali.
Non è raro per un cristiano sentire il suo interlocutore musulmano affermare, con forte convinzione e non senza un certo orgoglio: "Anche noi, anche noi crediamo nella Bibbia!". Questo anche se l'interlocutore non ha mai aperto il Libro sacro degli ebrei e dei cristiani...
4. Luterani ed altri cristiani
Ortodossi
Dal 26 al 31 gennaio 2004 una delegazione luterana si è recata a Costantinopoli per esaminare con dei rappresentanti del Patriarcato Ecumenico la possibilità di approfondire il partenariato tra le chiese luterane ed ortodosse.
Sia il Segretariato della Federazione Luterana Mondiale che il Patriarca Ecumenico hanno affermato la necessità di rinforzare la collaborazione tra le due famiglie confessionali perchè ciò aiuterà i loro sforzi nel fare fronte alle grandi sfide del mondo contemporaneo.
Anglicani
In occasione della sua riunione dal 21 al 23 febbraio 2004 il Comitato esecutivo della Federazione Luterana Mondiale ha approvato la creazione di una nuova commissione internazionale di dialogo con l’Alleanza Riformata Mondiale.
Il Comitato ha approvato che la nuova commissione si occupi della realizzazione del rapporto finale: “Chiamati alla comunione ed alla comune testimonianza”.
Altro compito della commissione sarà quello di iniziare due nuovi studi:
- Esame dei rapporti tra le “strutture” di Chiesa e la comunione
- Ricerca sulla storia delle Chiese luterane e riformate con un particolare riguardo alle evoluzioni che possono avere influenzato in modo positivo o negativo relazioni tra le due famiglie confessionali.
5. Riformati ed altri cristiani
Precalcedoniani
Una delegazione della Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti si è recata nel febbraio 2004 ad Antelias in Libano presso Sua Santità Aram I catholicos Armeno di Cilicia.
Scopo della visita era quello di approfondire i rapporti tra le Chiese degli USA e quelle del Medio Oriente.
Il Catholicos Aram I ha accolto con gioia la proposta ed ha sottolineato l’importanza dell’unità come testimonianza vivente data al Vangelo di Gesù Cristo.
6. C.C.E.
Alla vigilia della fine del suo mandato, il 31 dicembre 2003, il segretario generale uscente del Consiglio Ecumenico delle Chiese, ha concesso un’intervista all’agenzia stampa: “Ecumenical News International”. Nell’intervista ha chiesto alle Chiese di accettare la sfida ecumenica di rivedere le loro idee di cristianesimo in un mondo di pluralismo religioso.
Nell’epoca della mondializzazione che vede tutto, uomini e cose, come dei prodotti commercializzabili ed il mondo come un grande mercato, si è fatta strada la tendenza a salvare le identità singole.
Il CCE, ha aggiunto, deve avere un duplice obiettivo, l’unità della Chiesa e dell’umanità.
Il pastore Sam Kobia, delle Chiese metodiste del Kenya, è stato ufficialmente istallato il 18 febbraio 2004 come segretario generale del CCE.
7. Tra Cristiani
KEK-CCEE
Il Comitato misto del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) e della Conferenza delle Chiese Europee (KEK) si è riunito a Slaski in Polonia dal 29 gennaio all’1 febbraio 2004 ospite dell’Arcivescovo di Opale. L’ordine del giorno ha subito portato ad un dibattito sulla situazione ecumenica che esiste in questo momento in Europa. Infatti le Chiese si trovano a dover far fronte alle sfide derivanti da un contesto multireligioso e dal processo di unificazione europea.
“Un’Europa politicamente unita con delle Chiese divise costituirebbe una situazione intollerabile” ha detto il Vescovo di Coira Monsignor H. Grab.
È dunque necessario, ha aggiunto, intensificare sia il dialogo che la collaborazione. Il progresso del cammino della riconciliazione sarà, in ogni caso, più vero e visibile nella misura in cui le Chiese vivranno il vangelo.
Il Metropolita Daniel di Moldavia e Bucovina, membro del presidium del KEK, ha continuato la riflessione mettendo in evidenza i tre maggiori ostacoli attuali contro l’ecumenismo: secolarizzazione, fondamentalismo religioso, proselitismo aggressivo da parte delle “sette”.
È necessario, ha aggiunto, superare le controversie con un dialogo corresponsabile profondo e vivendo una spiritualità autentica.
Ed ha concluso dicendo: “Creati da un Dio che è comunione di persone, non possiamo che esistere nella comunione”.
Il Comitato ha poi proposto un cammino triennale: 2005-2006-2007 che guidi le Chiese in una riflessione su “Cristo luce dell’avvenire”.
Questo cammino offrirà alle Chiese l’occasione di riflettere, incontrarsi con riferimento alle radici cristiane dell’Europa.
CETA
Il pastore Mvune Dandala, segretario generale della Conferenza delle Chiese di tutta l’Africa (CETA) si è rivolto ai responsabili delle Chiese invitandoli ad essere in prima linea nella difesa dei diritti umani, soprattutto in Africa dove esistono delle crisi persistenti legate ai conflitti ed all’insicurezza.
V. MARIA PRESSO LA CROCE
La pericope di Gv 19,25-27 è veramente una scena notevole, inserita nel cuore del mistero pasquale di Cristo. La sua importanza emerge dalla densità del brano, dal contesto dell'"ora" e del suo rapporto con l'episodio di Cana.
Cana e la Croce
Iniziando da quest'ultimo, bisogna dire che la scena delle nozze (Gv, 1-12) non solo annunzia ed anticipa, in qualche misura, quella della croce, ma attinge in essa senso compiuto e rivela la sua densità. Poste all'inizio e al termine del Vangelo, costituiscono due episodi-chiave, fondamentali non solo per comprendere la figura e il ruolo di Maria, ma lo stesso messaggio giovanneo.
Le due scene, attentamente orchestrate appaiono in evidente parallelismo. I personaggi sono i medesimi:
In un caso come nell'altro, la Vergine non viene presentata col nome di "Maria", ma come "la madre di Gesù" e come "donna" titolo mai usato da un figlio nei confronti di sua madre! In ambedue i brani si parla dell'"ora" di Gesù, che a Cana non è ancora giunta (cf 2,4) e sul calvario è compiuta (cf 19,27). Sia l'episodio di Cana come quello della Croce sono seguiti dalla medesima espressione: "Dopo questo…" (2,12; 19,28).
E' una formula non semplicemente temporale, ma consequenziale, che nel contesto rivela notevole importanza:
Possiamo dire, in generale, che se Cana si presenta sotto il segno dell'ora non ancora venuta, la Croce costituisce il compimento dell'ora.
Se a Cana c'era il "principio" dei segni, il segno archetipo, sulla Croce c'è il segno per eccellenza (il Figlio dell'uomo innalzato) che rivela la gloria di Dio, grazie al quale i discepoli credono in lui.
Gv 19,25-27 nel contesto dell'"ora" di Gesù
La scena di Gv 19, 25-27 riceve luce dal confronto con Cana, ma rivela la sua eccezionale densità nel contesto immediato degli "atti" di Gesù in croce (Gv 19, 17-37). Si tratta di cinque episodi nei quali si articola l'ultima fase della passione;
La nostra pericope, come si vede, è al centro degli aventi supremi dell'ora di Cristo, tutti altamente simbolici e di eccezionale portata teologica.
Non si può non sottolineare con Bultmann la profonda unità di queste scene e la loro importanza dal momento che l'evangelista le presenta quale misterioso compimento delle Scritture.
Non possono dunque essere lette su un piano materiale e fenomenologico, ma devono essere intese quale rivelazione pasquale. Sembra anzi che proprio nel nostro episodio sia presene una scena di rivelazione, nella quale si manifesta la vera identità della madre di Gesù e del discepolo amato.
Nonostante la presenza di altre persone, al centro della scena del calvario ci sono - come si è notato - tre protagonisti:
Dal punto di vista della frequenza, la figura maggiormente sottolineata è Maria. Ella appare anzitutto quale madre di Gesù, ma anche come la "donna" madre del discepolo. Questa rivelazione esplicita, peculiare del quarto Vangelo, faceva parte dei segreti del Padre e del Figlio, dei misteri della salvezza, che solo al momento dell'"ora" vengono svelati.
Il discepolo, a sua volta, non è solo colui che segue il Maestro ed è da lui amato, ma - appunto perché tale - è anche il figlio della "donna".
Maria è così madre di Gesù e "donna"-madre del discepolo.
Se la maternità nei confronti di Gesù è tradizionalmente accettata, il titolo di "donna" e la maternità nei confronti del discepolo richiedono delle spiegazioni.
Il discepolo di Gesù
Come sempre nel quarto vangelo, e specialmente in queste scene della Passione, non ci si può limitare ad una comprensione materiale e dunque superficiale del messaggio. La nostra non è un semplice atto di pietà familiare nei confronti di una madre che sarebbe rimasta sola, come spesso si afferma, specie in ambito non-cattolico. Ciò contraddice al testo stesso che sottolinea anzitutto la presenza e il ruoli di Maria ("Donna, ecco il tuo figlio"), e solo in secondo luogo, come conseguenza, affida al discepolo la madre.
E poi i rapporti che intercorrono tra di essi non sono nell'ordine della natura, ma della generazione secondo lo spirito.
Chi è dunque il discepolo? E' una persona e al tempo stesso un simbolo. Secondo Bultmann le parole di Gesù innalzato solennemente sulla croce hanno in fondo lo stesso significato di quelle rivolte al Padre nella preghiera sacerdotale di Gv 17,20ss: "non prego soltanto per loro, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me…".
Anche secondo M. Dibelius "il discepolo amato" esprime "il tipo dei discepoli": l'uomo della fede, il testimone della croce, "il figlio della madre di Gesù, cioè il rappresentante dei discepoli che, con la loro posizione in rapporto a Dio, sono diventati essi pure fratelli di Gesù (20,17)".
Si noti che il discepolo, nel nostro testo, è presentato per tre volte (vv. 26-27) e sempre con l'articolo determinativo, per così dire, in forma enfatica: il discepolo amato rappresenta tutti coloro che hanno creduto ed hanno accolto Gesù. Essi costituiscono il nuovo popolo di Dio: sono la comunità dei redenti dal sacrificio dell'Agnello (al quale non dev'essere spezzato alcun osso) (vv. 33.36); sono la chiesa nata dal sangue e dall'acqua, scaturiti dal costato del Redentore (v. 34), la nuova Eva tratta dal fianco del nuovo Adamo dormiente sulla croce (cf Ef 5,23-32).
La "donna", madre dei figli di Dio
La "donna", per conseguenza, è madre del discepolo e dei discepoli, anzi della comunità di tutti coloro che erano dispersi e per i quali Gesù è morto. "Egli infatti doveva morite… per raccogliere nell'unità i dispersi figli di Dio" (Gv 11,51s).
Nel pensiero veterotestamentario i "dispersi figli di Dio" sono i figli d'Israele esiliati tra le genti a motivo dei loro peccati (cf Dt 4,25-27; 28,62-66; 30,1-4, ecc.). Il Signore che li aveva disseminati tra i popoli, lontano dalla loro terra, li ricondurrà nel loro paese e nella loro casa. Dei regni divisi di Israele e di Giuda farà un solo popolo e un discendente di Davide sarà il loro pastore (cr. Es 34, 23-24; 37,24). Con essi stringerà un'alleanza nuova, il cui mediatore sarà un misterioso "servo" di Dio (cf. es 42,6; 49,8), il quale offrirà la sua vita in riscatto per le moltitudini (cf 53,10s).
Tutte le genti verranno allora e si raduneranno in Gerusalemme, la quale diventerà madre di figli innumerevoli (cf Is 49,19-20; 60,1-9; Tb 32,12s). Già sposa di Dio - abbandonata a causa delle sue infedeltà e privata dei suoi figli - essa vedrà il ritorno del Signore ed accoglierà entro le sue mura una discendenza che non si può contare. Sarà una maternità prodigiosa ed universale. La città ed il popolo vengono indicati frequentemente col simbolo di una donna, sposa e madre, e con il titolo di "figli di Sion", invitata a gioire per la redenzione e il ritorno dei suoi figli. "Agli occhi della prima generazione cristiana - osserva A. Serra - la madre di Gesù si configurava come l'incarnazione ideale della "figlia di Sion". In lei, persona individua, maturava esemplarmente la vocazione di Sion-Geruasalemme e di tutto Israele, popolo dell'Alleanza".
Su questo sfondo, il discepolo amato rappresenta tutti i redenti, e Maria, la "donna"-figlia di Sion, simboleggia la comunità dell'alleanza, madre dei figli di Dio dispersi ed ora raccolti in unità.
Maria non è figura soltanto dell'antica figlia di Sion, nella quale peraltro le splendide promesse si realizzarono solo parzialmente e temporaneamente: ella realizza e inaugura, quale primizia, la vocazione della nuova Sion, la comunità del Nuovo Testamento, madre di tutti i credenti. Proprio perché madre di Cristo, "primogenito di molti fratelli" (Rm 8,29), Maria è madre di tutti coloro che sono rinati per la fede in lui. La sua maternità, iniziata con al nascita di Gesù, attinge sul Calvario la sua pienezza. Come si vede, l'episodio di Gv 19,25-27 va ben al di là di una semplice scena domestica, d'un atto di premura filiale da parte di Gesù.
L'accoglienza della madre
Di fronte a questa maternità, dono-rivelazione del Maestro, il discepolo è chiamato ad un atteggiamento di fede, a un'adesione vitale, a una decisione che sorge dal profondo della sua libertà: decisione libera, ma non facoltativa. Il discepolo amato non può non accogliere il dono del suo Signore. L'accoglienza della madre è una delle note che caratterizzano il vero discepolo di Cristo. E "immediatamente, in quel momento stesso" (è l'esatta traduzione del testo) (v. 27), il discepolo l'accolse come madre.
L'"ora" dell'accoglienza della madre - che non è tanto indicazione cronologica, ma momento teologico - coincide (ed è di grande significato) con il compimento dell'"ora" di Gesù. l'espressione "dopo questo", con la quale inizia il verso seguente (v. 28) non è - come s'è notato - una semplice formula di transizione, ma intende sottolineare uno stretto legame tra quel che precede e quel che segue. "Dopo questo "In conseguenza di ciò), Gesù, sapendo che tutto era compito, affinché si compisse la Scrittura, dice… (v. 28). Come si vede è un linguaggio particolarmente solenne, nel caratteristico stile giovanneo, che colloca il nostro episodio al culmine dell'ora stabilita dal Padre e come suggello dell'opera salvifica. Con il dono-rivelazione di Maria quale madre dei credenti e con la sua accoglienza da parte del discepolo si compie l'opera di Cristo.
Sono visioni splendide e grandiose, che emergono quali perle preziose dalla profondità del Vangelo di Giovanni. La aveva già intuite il grande genio di Origene, per il quale nessuno può attingere il senso del quarto vangelo se non si è chinato sul petto di Gesù e se non ha ricevuto da Gesù Maria par madre.
Alla luce dell'episodio di Maria presso la croce, si illumina anche il misterioso "segno" di Cana. Si comprende meglio il senso delle nozze e dell'"ora", e il compito di quella "donna", nella vita dei discepoli del Signore.