Così recita uno stralcio della lettera di Paolo ai Romani che ha ispirato il titolo di questa ricerca. È uno dei pochi testi in cui l’apostolo Paolo utilizza una metafora femminile. La creazione, sofferente è in attesa. Attende la manifestazione dei figli e delle figlie di Dio. Solo insieme a loro la creazione entrerà nella gloriosa libertà scevra di tutto ciò che la deturpa, inquinamento, depredazione. Essa è dunque, in travaglio, una sofferenza che non produrrà una morte bensì una nascita. L’immagine è quella del parto, di un creato che darà alla luce, certamente coadiuvato dallo Spirito divino, una realtà nuova. Il nostro, dunque, è tempo dell’attesa e della tessitura.
Prima di indagare più a fondo il rapporto donna e natura mi preme dire che il tema del creato, della sua sofferenza e della sua guarigione fu all’ordine del giorno della teologia femminista prima che si coniasse il termine “eco-femminismo”. Uno dei primi libri di Rosemary Radford Ruether, teologa cattolica statunitense, pubblicato nel 1972 s’intitolava Per una teologia della liberazione della donna, del corpo e della natura. In esso ella sviluppa una tesi che rimane inalterata nel suo testo posteriore Gaia e Dio. Una teologia ecofemminista per la guarigione della terra e di fatto informa i maggiori scritti sull’argomento. La tesi di Ruether che sarà adottata e sviluppata da tutta una schiera di pensatrici è che il patriarcato, o il dominio maschile al centro dell’analisi femminista non opprime solo le donne ma anche persone, uomini e donne, di altri popoli, di altre razze, di altri orientamenti sessuali nonché la natura stessa.
Seguendo il nesso tra la donna come “altro” o “oggetto” indagato magistralmente da Simone de Beauvoir viene stabilita non solo una connessione tra le donne e altre cosiddette non-persone ma anche tra le diverse forme di oppressione e sfruttamento come l’imperialismo, il colonialismo, il razzismo, il militarismo nonché lo sfruttamento della natura. Questa prima analisi femminista ha il pregio di collocare la discriminazione delle donne all’interno di un sistema che produce una serie di relazioni ingiuste e quindi riesce a stabilire connessioni, per esempio, tra una civiltà guerrafondaia, la distruzione dell’ambiente e la posizione subalterna delle donne. Così scrive Adriana Cavarero: “Talmente palese, esteso e pervasivo è il fenomeno dell’ordine gerarchico patriarcale, che l’indagine su di esso consente alla prospettiva femminista di spaziare a tutto campo” (p. 115).
L’ecofemminismo, quindi, parte da una presunta relazione tra le donne e il mondo naturale ovvero si dice che “le donne sono più vicine alla natura” degli uomini.
Alcune autrici sostengono che le donne sono biologicamente più vicine alla natura che il sesso maschile. Il fatto che le donne partoriscono, che il ciclo mestruale è connesso ai cicli lunari, i quali a loro volta regolano maree e raccolte, farebbe sì che le donne siano inserite nei grandi ritmi cosmici e dunque portatrici di una saggezza di cui il creato in attesa di redenzione abbisogna. Tuttavia bisogna ricordare che questa presunta affinità tra donne e natura è stata declinata all’interno di un ordine sociale che mantiene le donne in una posizione subalterna contemporaneamente esaltando e disprezzando la femminilità...