L'Ue si fonda adesso su due testi legislativi, quello sull'Unione Europea (Tue) e quello sul suo funzionamento (Tfue). La riforma mira ad aumentare l'efficienza dei processi decisionali dell'Unione e a rafforzarne le istituzioni e la democraticità. Ma ciò avverrà. lentamente. Adesso, dopo le nomine dei «volti» e delle «voci» dell'Unione, i 27 Paesi membri sono alla ricerca di una visione e di una strategia economica e politica comune per il prossimo decennio. La futura «missione europea» è stata denominata «Eu 2020». Sarà sul tavolo del Consiglio europeo straordinario del 1 febbraio e potrebbe vedere la luce a giugno.
Questa nuova progettualità intende essere il «tessuto connettivo» della comune cittadinanza europea. II «sangue» di tale organismo sociale e la riserva di valori democratici e di solidarietà che i popoli europei possiedono. Valori che la Chiesa ha contribuito a formare, custodire e trasmettere con l'annuncio del Vangelo, la sua vita comunitaria, l'educazione e la sua prassi di solidarietà. Questo è accennato nel preambolo del Trattato sull'Ue, dove si afferma che il progetto di integrazione si ispira «alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e dello Stato di diritto».
In questi anni è stato attivo un «dialogo pratico» tra le istituzioni europee e la Commissione delle Conferenze episcopali dell'Ue (Comece) e i suoi partner ecumenici del Kek (Conferenza delle Chiese Europee). Assieme alla riforma istituzionale, il Trattato di Lisbona ha introdotto l'articolo 17 del Tfue. Questa norma di valore primario riconosce, al 1° e al 3° comma, l'importanza delle Chiese e del loro ruolo. Ecco il testo: «1. L'Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale. 2. L'Unione rispetta ugualmente lo status di cui godono, in virtù del diritto nazionale, le organizzazioni filosofiche e non confessionali. 3. Riconoscendone l'identità e il contributo specifico, l'Unione mantiene un dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese e organizzazioni».
Non si riafferma il diritto di libertà religiosa, già espresso nella Carta di Nizza dei diritti fondamentali, la quale è diventata legalmente vincolante con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona. Né si tratta di un modo per tenere sotto controllo il «fenomeno» delle Chiese, potenzialmente destabilizzante nelle sue espressioni fondamentaliste. Già ci sono le leggi nazionali sull'ordine pubblico. Con un fiducioso «presupponendo positivo», l'articolo 17 sembra piuttosto accennare a un contributo per dare un'«anima» all'Unione Europea. Oltre alle nuove istituzioni, alle visioni strategiche e alle regolamentazioni politico-economiche, l'Unione ha bisogno di una visione e di un progetto etico. Sembra cercare, quasi inconsapevolmente, un'antropologia dello sviluppo nella fraternità e sistemi che educhino a un'autentica ecologia umana.
La crisi finanziaria, occupazionale, demografica del continente, ma anche la crisi ambientale, del terrorismo, della miseria e dell'esclusione sociale nel pianeta, segnalano una crisi morale. La risposta della dottrina sociale della Chiesa è stata sintetizzata nell'enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI. Il presidente del Consiglio europeo, il cattolico fiammingo Herman Van Rompuy, partecipando lo scorso anno, prima di assumere la carica, ad un Convegno a Liegi dell'Unione degli Studenti Cattolici riformulava così l'appello del Pontefice: «La sola opzione è una nuova sintesi umanistica capace di porre rimedio alla complessità e alla gravità di una situazione della quale il pianeta è finalmente diventato consapevole. Questa enciclica è un contributo alla ricerca per tale nuova sintesi».
La personalità e la visione aperta del Presidente permanente del Consiglio europeo invitano a sperare e a impegnarsi nel dialogo tra le Chiese e le istituzioni europee. Lo scorso 3 dicembre durante la presentazione di un libro di memorie del cardinale Danneels, di cui Van Rompuy ha curato la recensione, il bollettino Europe Infos (gennaio, 2010) del Comece e dell'Ocipe (Centro cattolico europeo di studio e informazione, a Bruxelles, dei vescovi ma affidato ai gesuiti) ha posto al Presidente una domanda a tale proposito. La sua risposta non poteva essere più esplicita e incoraggiante: «II dialogo esistente tra le Chiese e la Commissione dovrebbe essere riprodotto tra le Chiese e il Consiglio. Tuttavia il dialogo con le Chiese non è soltanto una questione importante per me come presidente del Consiglio europeo. E’ importante per tutti gli europei».
Non c'e aspetto della vita sociale, economica e politica sul quale i cattolici impegnati e associati, e quindi la Chiesa cattolica esperta di umanità, non possano dialogare in Europa. In proposito richiamiamo due problemi: la lotta alla povertà e il ruolo sociale delle famiglie. Premettiamo però una parola del Papa, che tiene vivo il senso di responsabilità, di sacrificio e di speranza dei cattolici e dei credenti europei. Lo scorso 11 gennaio, nel suo discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Benedetto XVI ha parlato dell'Unione Europea dopo aver tratteggiato alcune dimensioni del problema ambientale e climatico, che una delle priorità della politica comune europea anche per il decennio appena iniziato.
«lo penso all'Europa — ha detto il Pontefice — che, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ha iniziato una nuova fase del suo progetto di integrazione, che la Santa Sede continuerà a seguire con rispetto e benevola attenzione. Nel rilevare con soddisfazione che il Trattato prevede che l'Unione Europea mantenga con le Chiese un dialogo "aperto, trasparente e regolare" (art. 17), auspico che, nella costruzione del proprio avvenire, l'Europa sappia sempre attingere alle fonti della propria identità cristiana. Come ho rimarcato durante il mio viaggio apostolico del settembre scorso nella Repubblica Ceca, essa ha un ruolo insostituibile per la formazione della coscienza di ogni generazione e per la promozione di un consenso etico di fondo, al servizio di ogni persona che chiama questo continente "casa" !» («Discorso alle autorità civili e al corpo diplomatico», 26 settembre 2009, in Oss. Rom., 11-12 gennaio, 8).
La popolazione europea ha da poco superato la soglia dei 501 milioni di abitanti. II nuovo decennio inizia con il 2010 indicato come Anno europeo contro la povertà e l'esclusione sociale (European year/Ey 2010). Lanciando l'iniziativa, il presidente della Commissione europea, T. M. Barroso, ha ricordato le cifre appena pubblicate dall'Eurostat. Nella seconda area più ricca del mondo con i modelli di welfare tra i più comprensivi, 79 milioni di europei, circa il 16%, sono sotto la soglia di povertà relativa (meno del 60% del reddito medio del proprio Paese). Ventitre milioni resistono con meno di 10 euro al giorno. Uno su otto vive in una famiglia dove nessuno ha un lavoro. Ma i bambini sono in pericolo più degli adulti: uno su cinque (19 milioni) è a rischio di povertà (ad esempio, il 33% in Romania, il 26% in Bulgaria, il 25% in Italia e Lettonia, il 5% in Lussemburgo). E, complice la crisi economica, queste percentuali rischiano di salire nel 2010, con la perdita prevista di ulteriori posti di lavoro.
I dati sull'esclusione sociale indicano alcuni divari ancora più marcati tra i 27 Paesi membri. Essa viene espressa con nove indicatori di privazioni materiali (incapacità di fare fronte a spese impreviste, di pagarsi una settimana di vacanza fuori casa, di rimborsare le quote di un acquisto a rate o di un mutuo, di fare un pasto ogni due giorni contenente carne o pesce, di vivere in una casa adeguatamente riscaldata, di possedere una lavatrice, un televisore a colori, un telefono, un'automobile). II 51% dei bulgari e la meta dei rumeni vive in condizioni di privazioni materiali, cosi il 16% degli italiani, 5% degli olandesi e degli svedesi. Come dato di sintesi, 37% degli europei non può pagarsi una settimana di vacanza e 10% non può riscaldare a sufficienza la propria abitazione.
Le numerose iniziative nazionali per l'«Ey 2010» della Commissione europea (campagne informative e educative, conferenze, ricerche e studi) trovano nelle Caritas un interlocutore privilegiato. La Caritas Europa ha lanciato per quest'anno la sua campagna Zero povertà. Act now (Povertà zero. Agisci ora). E ha preparato un quaderno Povertà Paper, intitolato In Mezzo a Noi nella versione italiana. Vi si legge che povertà ed esclusione sociale sono conseguenze di una disfunzione nelle tre fonti del welfare: il mercato del lavoro, con la crescente precarizzazione; la famiglia, i cui vincoli di solidarietà si sono allentati; Io Stato socio-assistenziale, soggetto a tagli di spesa. II 14 febbraio, nel giorno della festa dei santi Cirillo e Metodio patroni d'Europa o nel corso della settimana, ogni diocesi europea compirà un gesto significativo e simbolico di comunione. La visita del Papa all'ostello della Caritas della stazione Termini di Roma, il 14 febbraio, esprimerà la sua partecipazione alla campagna di sensibilizzazione della Commissione europea e di Caritas Europa. Benedetto XVI «intende incontrare idealmente tutti i poveri d'Europa, inginocchiandosi davanti a loro e dando l'esempio a tutti noi», come ha precisato la Comece.
C'e bisogno di un patto sociale tra i 27 Stati dell'Unione, le istituzioni europee, i datori di lavoro, le organizzazioni della società civile e le Chiese per combattere povertà ed esclusione. Queste erodono il tessuto politico e rendono impensabile di poter attuare una nuova strategia di sviluppo dell'Ue per il 2020, dopo l'insuccesso della pur lungimirante Strategia di Lisbona 2000-10, che non è riuscita a trasformare l'Unione in una economia maggiormente competitiva, solidale e con più occupati.
Benedetto XVI ricorda che i poveri non sono un fardello, ma una risorsa anche dal punto di vista economico (Caritas in veritate, n. 35). A rischiare povertà ed esclusione sono soprattutto i bambini e i giovani in cerca di un'occupazione dignitosa. «Mettere loro al centro» attualizza i gesti e le parole di Gesù. Inoltre «la prevenzione della povertà nelle fasi iniziali di vita — ribadisce Poverty Paper di Caritas Europa — è addirittura più importante della stessa lotta alla povertà». Investire, quindi, sui cittadini minorenni e sui figli degli immigrati (dalla salute fisica e affettiva alla casa, all'alimentazione, allo sport, alla scuola soprattutto) fa parte della scommessa per il futuro dell'Europa. Parte essenziale di tale scommessa è la lotta all'esclusione scolastica, che è il fronte avanzato dell'emergenza educativa, a cui è dedicato it decennio 2010-20 del Progetto culturale della Chiesa italiana.
Per la Chiesa la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, soprattutto dei minori, implica la promozione della famiglia naturale, cioè fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e aperta alla vita. La famiglia è un soggetto economico e sociale indispensabile, che nella recessione ha confermato il proprio ruolo di ammortizzatore sociale. Ma il mercato del lavoro spesso esclude, soprattutto in Italia, le donne che vogliono essere mamme responsabili e che, per capacità o necessità economiche, cercano un'occupazione compatibile con le esigenze di madre e di moglie.
Lo stesso futuro demografico dell'Europa passa per la famiglia, in primo luogo cristiana. Senza bimbi, ragazzi e giovani più numerosi e felici di essere europei, gli attuali sistemi assistenziali, sanitari e previdenziali saranno insostenibili, anche con l'arrivo degli attuali flussi migratori di adulti. Nel frattempo si susseguono un divorzio ogni trenta secondi e un aborto ogni venticinque secondi, cioè un quinto dei bambini nati. Cosi il tessuto sociale dell'Unione non terra. Ulteriori attentati alla famiglia naturale e al futuro demografico e di coesione dell'Unione sono le leggi di alcuni Paesi europei, che parificano al matrimonio le unioni omosessuali, inclusa la facoltà di adozione, e altre che considerano embrioni e feti umani vivi un materiale disponibile per ricerche mediche.
Un gran numero di famiglie europee sono senza figli. Questa e anche una «crisi ecologica». Ciò significa soffocamento, «scarsa speranza nel futuro e stanchezza morale», ha rimarcato il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, in occasione dell'incontro dei presidenti della Federazione delle Associazioni Familiari Cattoliche Europee (Bruxelles, 9 dicembre 2009). Dare un'«anima» all'Europa significa dare respiro alla famiglia, che ha doveri educativi insostituibili. Tutelare l'«ambiente familiare» significa far fiorire la vita e nutrirla con i valori della coesistenza sociale, perche fruttifichi in cittadini virtuosi.
La società ha bisogno della famiglia, e la famiglia ha bisogno della società. Anche il mercato comune europeo richiede una massa critica di famiglie tradizionali per poter restare in piedi. Eppure la parola «famiglia» non compare in un importante Documento di lavoro della Commissione europea, pubblicato il 24 novembre 2009. Le politiche familiari non sono di stretta competenza dell'Unione. Tuttavia questo testo è un invito all'analisi della realtà e una sollecitazione ai Paesi membri a definire le priorità delle loro azioni nazionali e del coordinamento europeo delle politiche economiche. Questo testo avvia la consultazione, in seno al Consiglio europeo e alla società civile, sulla strategia del decennio per il futuro dell'Unione («Eu 2020»). Tratta, ovviamente, di altre istituzioni (imprese, governi, regioni, mercati, tecnologia, scuole, partner, sociali e society civile), ma delle Chiese non è fatta menzione esplicita. Ne emerge un'antropologia per cui la Società è una somma di individui inquadrati in organizzazioni funzionali. Non menzionando la famiglia trasmette neutralità, come se essa fosse un fatto materiale poco «strategico» o un tema su cui impossibile creare un consenso politico.
Questo «agnosticismo» non contesta chi ha della famiglia una nozione relativista, riduttivista o addirittura disfunzionale per l'economia, oppure la considera un'istituzione in via di estinzione. Al contrario, nuove, numerose e solide famiglie con figli sono strategiche per il destino dell'Europa. Pure su di loro occorre direttamente e massicciamente investire, in primo luogo commisurando il prelievo fiscale sul carico familiare dei figli e creando migliori opportunità lavorative e di alloggio alle giovani generazioni, perche possano realizzare pienamente i loro desideri sponsali e genitoriali. All'analisi preliminare della Commissione sembrano mancare inevitabilmente i dati sul ruolo dei genitori e sugli effetti della crisi della famiglia naturale. Senza tali analisi statistiche non si potranno individuare le sfide prioritarie della società europea. L'ignoranza mette in pericolo l'efficacia deliberativa delle autorità politiche.
Il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, card. E. Antonelli, invita le associazioni familiari cattoliche ad essere protagoniste del dibattito europeo in forme propositive. La strategia è di mostrare la ragionevolezza delle posizioni cattoliche sulla famiglia basandosi sui fatti. Mediante accurate indagini sociologiche, occorre studiare attentamente i dati statistici sui benefici (sui minori danni) della famiglia naturale anche quando non è perfettamente riuscita. E’ utile raccogliere sempre nuovi dati e farli parlare davanti all'opinione pubblica e alle classi dirigenti e ai politici. Un'Europa sempre più secolarizzata rischia di perdere la memoria dei benefici di una società fondata prevalentemente sulla famiglia cristiana. «L'Unione Europea — afferma il card. Antonelli dovrebbe essere stimolata a dotarsi anche delle istituzioni e degli strumenti specifici per una efficace politica familiare». La sfida culturale e politica per i cattolici delle associazioni familiari e tra le fila dell'Europarlamento e delle altre istituzioni europee e nazionali non è facile. Ma è epocale.
La Civiltà Cattolica
Quaderno 3831 del 6 febbraio 2010