Mondo Oggi

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 76

Sabato, 17 Luglio 2010 12:12

Il "fattore R"

Vota questo articolo
(2 Voti)

Le religioni, già coinvolte nei vari processi di resistenza alla penetrazione coloniale,  sono state protagoniste anche nella decolonizzazione del continente.

L'islam, religione che lungo i secoli ha saputo inculturarsi nel contesto africano - anche grazie alla tradizione sunnita, che consente alle società africane di conservare parte dei propri costumi - ha esercitato una funzione determinante nelle varie lotte di resistenza alla colonizzazione, almeno tanto quanto le religioni tradizionali africane.
All'inizio del 1900, si registra in varie regioni del continente un risveglio della fede islamica, con conseguente presa di coscienza marcatamente nazionalista. In Egitto, nel 1928, dopo il crollo dell'Impero ottomano, nasce una delle più importanti organizzazioni islamiche con un approccio fondamentalista: i Fratelli musulmani, fondati da Al-Hasan Al-Banna. Più che chiedere ai britannici di andarsene, i Fratelli proclamano che «la nostra costituzione è il Corano» e concepiscono l'islam come un sistema completo per il governo della società.
Decisamente nazionalista, invece, è il rinnovamento musulmano in Algeria, una colonia con una forte presenza europea (10% della popolazione), dove l'affermazione dell’identità nazionale si accompagna a quella religiosa (islam come religione di stato) e culturale (l'arabo come lingua nazionale).
In Marocco è l'autorità politica e religiosa del re - "Comandante dei credenti" - a canalizzare le correnti religiose e politiche verso l'indipendenza. In Senegal, in prima linea nella resistenza alla penetrazione coloniale, prima, e nella lotta per l'autodeterminazione, poi, sono le confraternite religiose musulmane, quali la Qâdiriyya, la Tijâniyya e la Murìdiyya. Quest'ultima, in particolare, ha saputo negoziare con il potere coloniale un ruolo determinante nella vita nazionale: un ruolo che mantiene tutt'oggi nella politica e nell'economia del paese. In Libia, fino all'avvento di Gheddafi, c'è la Sanussiyya, o confraternita dei senussi, organizzazione statuale nata agli inizi dell'Ottocento, in grado di controllare il commercio, il pagamento delle decime, come pure le attività amministrative e giudiziarie, al punto che i fascisti italiani comprendono subito che, se vogliono rompere i legami organizzativi della resistenza, devono eliminare la confraternita.

FEDE ED EMANCIPAZIONE
Anche le chiese cristiane - o almeno una parte di esse - assumono posizioni coraggiose al momento della decolonizzazione. La chiesa cattolica opta per un progressivo rinnovamento del proprio personale: i missionari stranieri sono invitati ad accettare un ruolo di "assistenza", lasciando nelle mani del clero locale la gestione delle comunità. Si dà un forte incremento all'africanizzazione della gerarchia. Il 28 marzo 1960, Giovanni XXIII eleva al rango di cardinale mons. Laurean Rugambwa, vescovo di Bukova (Tanzania); è il primo cardinale africano, nonché il primo di colore. L'obiettivo è certamente buono, ma per raggiungerlo servono tempi lunghi. Un esempio: al momento dell’indipendenza (1960), la chiesa del Ciad, la più -giovane in tutto il continente (il primo missionario è arrivato nel 1929; il primo sacerdote è stato ordinato nel 1957; il secondo sarà ordinato 13 anni più tardi), ha la più bassa percentuale di sacerdoti locali del mondo cristianizzato: 1,3 %.
Il rinnovamento dell'insegnamento religioso e l'apertura di nuovi seminari assumono un'importanza strategica. Inizia anche la riflessione sui rapporti tra la fede e i valori della cultura africana. Il libro collettivo Des prêtres noirs s'interrogent (pubblicato a Parigi nel 1956) stimola la ricerca delle radici africane della fede. Il Concilio Vaticano II (1962¬65), a decolonizzazione già avviata, dà l'impulso decisivo al rinnovamento della chiesa anche in Africa, dove le comunità locali assumono un ruolo sempre più importante.
Alcune chiese protestanti, dopo la Seconda guerra mondiale, si pronunciano per l'emancipazione dei popoli, creando talvolta tensioni con le amministrazioni coloniali. Le scuole cristiane cominciano a sfornare coloro che diventeranno i leader del nazionalismo, imbevuti di valori che sono rivoluzionari rispetto all'ideologia e alla politica coloniali.
In Algeria, che conosce la più sofferta lotta per l'indipendenza (ci vogliono ben 5 anni di conflitto, dal 1954 al 1959, ~ perché il paese ottenga il diritto all' autodeterminazione), è proprio quella di una parte delle chiesa cattolica, guidata dal cardinale Léon-Étienne Duval, la voce più lucida nel denunciare la repressione del nazionalismo algerino e il rischio di ipotecare la futura convivenza tra islam e cristianesimo.

CHIESE INDIPENDENTI
Il fatto decisamente nuovo che precede le indipendenze africane è rappresentato dall'irrompere di nuovi movimenti religiosi, spesso chiamati “chiese africane indipendenti", Va da sé che una rivoluzione politica, caratterizzata dalla nascita del nazionalismo e dalla rivendicazione dell'indipendenza, anche quando attuata pacificamente, non può restare estranea al rinnovamento di una componente essenziale della cultura quale è la religione. Per certi versi, sono proprio alcuni di questi movimenti a essere i precursori del nazionalismo africano.
Questi nuovi fenomeni religiosi risulterebbero incomprensibili, se non si tenesse conto dell'opera di evangelizzazione che è avvenuta nel continente e ha creato l'humus adatto perché certe idee potessero attecchire. Al di là di ogni possibile connivenza tra talune chiese missionarie storiche e le forze coloniali, è innegabile che sono state le comunità cristiane a diffondere nelle società africane non islamizzate l'idea di una comune origine di tutti gli esseri umani, requisito essenziale per una coscienza collettiva.
Progressivamente, questa coscienza assume una tendenza decisamente anticoloniale, in particolare quando si trova di fronte stridenti contraddizioni tra i valori universali proclamati dalla Parola di Dio e le odiose pratiche discriminatorie, se non addirittura spudoratamente razziste, talora riscontrabili anche nelle chiese stesse. In varie regioni del continente, pertanto, si assiste alla nascita di nuove realtà ecclesiali che si separano dalle chiese protestanti storiche e diventano indipendenti. Nel contempo, sorgono nuovi movimenti profetici, guidati da figure carismatiche che, talvolta, si sostituiscono a Cristo stesso.
Diverse sono le tipologie di queste chiese indipendenti e di questi movimenti profetici. Il loro fiorire sorprende: a metà secolo 20° sono già diverse migliaia; nel 1990 si parla di 20-30mila. Impossibile in questa sede dilungarsi. Ci preme solo mettere in risalto alcune caratteristiche comuni e il ruolo da essi svolto nel processo di decolonizzazione.
Anche se in misura differenziata, i nuovi movimenti religiosi hanno in comune il rifiuto del colonizzatore bianco e la creazione di quella autentica fede cristiana per l'uomo nero-africano che le chiese storiche non sembrano essere state capaci di offrire. D'altro canto, pur africanizzando simboli e liturgie, questi movimenti combattono alcuni aspetti della cultura religiosa popolare, come il feticismo e il satanismo. Inoltre, quasi tutti proclamano la "rigenerazione del mondo" e l'annuncio di una "nuova era di benessere", e questo li porta inevitabilmente a contestare la politica coloniale che li perseguita.
Il centro di nascita e di sviluppo dei primi movimenti religiosi è l'Africa australe e il bacino del fiume Congo. In Sudafrica e in Rhodesia, dove le chiese storiche appaiono agli occhi degli africani troppo colluse con il potere bianco, i cristiani neri danno vita a un proliferare di movimenti indipendenti (spesso definiti "sionisti") i cui membri considerano sé stessi come "popolo in esilio" e vedono le proprie "peregrinazioni" come "esodi" guidati da questo o quel profeta biblico verso la nuova Gerusalemme (Sion).
Nel bacino del Congo, sotto il dominio belga, torreggia la figura di Simon Kimbangu. Dopo essere stato un catechista anglicano, nel 1921 fonda una sua chiesa, che riveste subito un carattere politico. Accusato di stregoneria, è imprigionato e condannato a morte, pena commutata poi in ergastolo. Muore nel 1951, ma il suo movimento e la chiesa kimbanguista da lui fondata non cesseranno mai di svilupparsi. Altri leader profetici seguiranno la sua strada, come André Matswa (iniziatore del matswanismo, assassinato in prigione nel 1942) e Simon-Pierre M'Padi (fondatore del movimento kakista, liberato solo nel 1960).
In Kenya, nel 1929 scoppia un'accesa polemica sulla circoncisione femminile, una pratica denunciata dalle chiese cristiane, in particolare da quella anglicana. La condanna viene subito considerata un' ennesima interferenza nelle tradizioni locali e la reazione porta alla formazione di nuovi movimenti religiosi, in contrasto con le chiese storiche, e alla nascita di scuole indipendenti africane, dove molti giovani crescono e si nutrono di nazionalismo africano. Jomo Kenyatta sfrutterà la forza "rivoluzionaria" di questi movimenti e di queste nuove chiese nella sua lotta per l'indipendenza; se ne farà anche diretto promotore, invogliando la nascita delle chiese indipendenti kikuyu, scorgendo in esse una forza per indebolire l'establishment britannico-anglicano.
In Africa Occidentale, William Harris, originario della Liberia e formato come catechista dai metodisti, a partire dal 1913 si mette a capo in Costa d’Avorio di un movimento che ottiene subito una grande popolarità. Espulso dalle autorità coloniali e rispedito in Liberia, muore nel 1929. Il suo movimento ("chiesa harrista") conserva tuttora una notevole influenza in Liberia, Ghana e Costa d'Avorio.
La sorte di questi profeti e iniziatori di chiese indipendenti non deve stupire. Per il loro stretto legame con la popolazione, la loro contrapposizione al potere coloniale e il messaggio rivoluzionario di uguaglianza che hanno saputo trarre dalla Bibbia, sono stati puntualmente giudicati dai vari ministeri degli esteri europei pericolosi tanto quanto i leader nazionalisti africani. La repressione nei loro confronti e delle loro chiese ha sortito l'effetto di evidenziare la contrapposizione tra bianchi e neri e contribuito a far maturare una coscienza nazionale e l'esigenza di una chiesa cristiana totalmente africana.

IDENTITÀ CULTURALE
Raggiunta l'indipendenza, il fattore religioso ha continuato a giocare un ruolo determinante nelle società africane, intrecciandosi con altri fattori di natura etnica. Sorti anch'essi su base etnica, i nuovi movimenti religiosi hanno consentito alle comunità locali e alle minoranze di mantenere quell'identità culturale che il potere centrale ha sempre cercato di annullare.
Anche l'islam continua a giocare un ruolo predominante nei paesi a maggioranza musulmana. La fede in Allah gode di una presenza quasi esclusiva nel Nord Africa (dalla Libia alla Mauritania), in Somalia, in Gibuti e nelle Comore. Il cristianesimo vanta percentuali elevate solo in pochi paesi: Seicelle, São Tomé e Príncipe, Capo Verde, Guinea Equatoriale, Namibia.
All'interno dell'islam, il fattore dinamico più importante è costituito dai movimenti fondamentalisti. Soprattutto a partire dagli anni '80 del secolo scorso, la rinuncia dello stato ad assicurare i bisogni fondamentali delle persone e la perdita di credibilità dei dirigenti, anche a causa della pratica della corruzione, favoriscono l'emergere di movimenti di radicale contestazione. Il loro radicamento è favorito dall'impegno nei confronti delle popolazioni e dalla creazione di associazioni caritative, che formano reti di sicurezza sociale, sovvenendo ad alcuni bisogni essenziali e all'educazione. Anche laddove i fondamentalisti non raggiungono il potere, è indubbio che la loro influenza è grande, anche in paesi che ne sembravano al riparo, come la Tunisia.
Del tutto originale, invece, è il ricorso alla fede islamica per fini politici da parte del leader libico Gheddafi. Più che rinnovare la dottrina musulmana, il Colonnello la pone al servizio del suo progetto politico, peraltro in continua evoluzione. Negli ultimi dieci anni, infatti, questo progetto si è convertito da panarabo a panafricano.
Nelle chiese cristiane storiche è in atto il tentativo di tessere contatti con la galassia delle chiese africane indipendenti. La chiesa kimbanguista e quella harrista sono state integrate nel Consiglio ecumenico delle chiese. Ma il crescere esponenziale delle nuove sette evangeliche rende questo tentativo quanto mai difficile. Del resto il sincretismo realizzato da queste chiese con elementi della religione tradizionale mette in dubbio la loro appartenenza al movimento cristiano.
Il rinnovamento della chiesa cattolica procede non senza difficoltà. Le risposte alle molte sfide non soddisfano sempre le attese dei fedeli africani.


di Luciano Ardesi
Dossier Nigrizia

Letto 2642 volte

Search