Mondo Oggi

Sabato, 27 Marzo 2010 16:55

Nord coi nervi a pezzi

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di Gianni Belloni e Giuliano Santoro
Carta n. 3 2010

La sofferenza aumenta nelle aree industriali: alcune storie dalla Torino ex città-fabbrica e dal Veneto dell'ex boom delle piccole imprese

Gli americani hanno addirittura calcolato, con un'equazione, la relazione tra crisi economica e disagio mentale: ad ogni incremento del 3 per cento del tasso di disoccupazione, il tasso dei suicidi cresce del 5 per cento e aumentano del 30 per cento i decessi causati dall'alcol. Se si fanno due conti si capisce quanto questo dramma colpisca l'Italia. Nel 2009, 392 mila persone hanno perso il lavoro e il tasso di disoccupazione è salito del 2,7 per cento. La maggior parte di essi viene dalle regioni industriali del Nord. Il male oscuro della disoccupazione corre lungo i territori estremi del fu miracolo italiano, dal nordovest già «fordista» al nordest della piccola impresa diffusa.

Ecco perché un ipotetico viaggio dentro il disagio mentale dei lavoratori senza lavoro parte da Torino, Ia città-fabbrica che fino a pochi anni fa ruotava attorno agli stabilimenti della Fiat. «Vuoi avere idea della relazione stretta tra sofferenza mentale e crisi economica? — dice Ugo Zamburru, psichiatra torinese — basta tenere d'occhio il pronto soccorso di un ospedale, cioè il primo presidiosanitario sul territorio. Proprio questa mattina mi hanno chiamato: un quarantenne minacciava di suicidarsi. Allora ho cercato di parlargli e mi ha detto che si sente inutile, che sta per finire la sua cassa integrazione straordinaria, appena 300 euro al mese». Zamburru prosegue: «'Non riesco a stare a casa, quindi vado in giro e cammino per tutto il giorno', mi ha detto quella persona. E poi: 'Mia moglie mi dice che sono un fallito, che non riesco a darmi una scossa'».

Secondo la Società psichiatrica italiana, nel corso del 2009 son aumentati del 30 per cento i casi di disturbo d'ansia e del 15 per cento i casi di depressione. La sofferenza mentale colpisce soprattutto donne, giovani e coppie con figli a carico.

Non è facile per un medico interagire con situazioni di questo genere: «Vorrebbero che li riempissimo di psicofarmaci e li mandassimo a casa — dice ancora Zamburru — Non capiscono che quello che ci troviamo davanti non è un caso individuale. Questo è un problema sociale. Perche noi torinesi ci siamo già trovati davanti a casi di perdita di senso e licenziamenti di massa, è stato nei primi anni ottanta dopo le grandi ristrutturazioni della Fiat. Ma era diverso, perché li la disperazione nasceva dalla consapevolezza inconscia che un ciclo storico era finito. Ma ancora c'erano cose fuori della fabbrica, c'era una rete di protezione e c'era soprattutto la possibilità di trovare un altro lavoro. Oggi la sensazione diffusa è la mancanza di futuro».

I numeri della Società psichiatrica italiana parlano chiaro: nel solo 2009 sono aumentati del 30 per cento i disturbi d'ansia e del 15 per cento i casi di depressione, che colpiscono soprattutto giovani, donne e coppie con figli. Se si allarga lo spettro d'analisi all'Europa emerge un altro dato allarmante: negli ultimi 12 mesi ci sono stati 3500 morti in più per abuso di alcolici.

Un drammatico caso di suicidio in Veneto. Giuseppe Nicoletto, fornaio di Vigodarzere [in provincia di Padova], si è impiccato il 24 gennaio scorso nei locali del suo ex laboratorio. Quarant'anni, da qualche settimana Nicoletto era stato costretto a cedere il laboratorio, visto che l'attività era in crisi. Il suicidio ha provocato la reazione di commercianti e piccoli imprenditori locali, che hanno creato un fondo privato di mutuo soccorso: ciascuno, aderendo, sottoscrive mille euro. E’ un fondo indipendente dalle banche, accusate di essere sorde alle sofferenze economiche dei piccoli imprenditori. Rocco Ruotolo, piccolo impresario padovano, si era già messo in moto per creare il «fondo anticrisi» all'indomani del suicidio di Pietro Tonin, un edile che col nuovo anno ha deciso di togliersi la vita gettandosi tra le acque del Piovego.

Notizie di questo genere sono all'ordine del giorno in ogni provincia del Veneto, c'e chi ha battezzato it fenomeno: «morire d'impresa». L'iniziativa di Ruotolo raccoglie l'interesse di molti, ma è un caso isolato. La crisi, gli imprenditori e i piccoli artigiani veneti, così come gli operai, la affrontano in perfetta solitudine. E a volte decidono di farla finita.

La crisi prende la forma di mille rivoli che lambiscono, e alle volte sommergono, le tante solitudini che formavano il miracolo economico nordestino, un «non sistema» dove ciascuno è chiamato a cavarsela da solo con cronici problemi di sotto-capitalizzazione delle piccole imprese e di ritardi e fragilità - anche se da altre parti è peggio - della rete di welfare. II racconto di queste solitudini arriva sui giornali solo quando si decide di farla finita. Non si hanno a disposizione cifre precise sul fenomeno anche se, recentemente, «gli studi internazionali sottolineano il fenomeno dei suicidi tra gli adulti - racconta Giuseppe Di Leo, padovano, studioso del fenomeno - e un recente articolo pubblicato dal British Medical Journal rileva il carattere ampio e ubiquitario legato alla crisi»

Massimo Santinello è psicologo e docente all'Università di Padova. Santinello pone l'accento sul contesto chiarendo che «lì dove il lavoro, e la remunerazione economica rappresentavano il centro della vita, una volta messi in crisi questi elementi, viene meno l'elemento d'identificazione». Testimonia il disagio «l'aumento del 20 per cento di chiamate registrato dai venticinque centri di “Telefono amico”, il servizio di ascolto telefonico», raccontano i responsabili, indicando come a nordest il fenomeno appaia ancora più grave che in altre zone del paese.

Ad un recente convegno degli psicologi del Veneto si è sottolineato, con soddisfazione, che le richieste di terapia non sono in diminuzione, con la crisi, anzi. Si tratta, con tutta evidenza, di una attività economica anticiclica. Come la vendita della cioccolata. II problema semmai è far fronte ai costi della terapia: il Centro di psicoterapia costruttivista di Padova, con il boom di richieste di sostegno, propone sedute di un'ora a 10 euro, o anche gratis per i più disagiati.

In Friuli la situazione è simile. Nelle biografie delle persone che accedono, ad esempio, al Centro di salute mentale di Monfalcone, in provincia di Gorizia, si rintraccia il fantasma della crisi economica: persone che hanno perso il lavoro o con la preoccupazione, fortissima, di non averlo più. «La crisi economica diventa crisi personale o familiare dalla qua le, in alcuni momenti, non si intravede via d'uscita e che può innescare una patologia di tipo depressivo», ha spiegato il direttore del Centro, Pierpaolo Mazzuia.

Eppure, non si arresta quello che Anna Poma, psicoterapeuta e presidente della cooperativa «Con-tatto» di Venezia, definisce «il ritorno massiccio ad una psichiatria 'biologista' che non interroga la dimensione sociale delle persone». «Quest’approccio non crea 'problemi’ agli assetti sociali dominanti - denuncia Poma - Propone cause legate ai neuroni o ai geni di ciascuno, una semplificazione provvidenziale per chi non abbia voglia di indagare in profondità le cause complesse del disagio e che alimenta l'analfabetismo emotivo che ci circonda». Questa tendenza psichiatrica dilaga e strizza l'occhio alle vecchie pratiche manicomiali, come l'elettroshock, magari spogliate delle derive più degradanti. «E’ una tendenza sospinta dagli apparati universitari - racconta Francesco Stoppa, psichiatra e psicoterapeuta di Pordenone - Si grida al miracolo in tempi di tagli impietosi ai servizi pubblici, che stanno intaccando la possibilità di esercitare anche la semplice attività ordinaria. In realtà tutti questi dispositivi meccanici di bilancio costi/benefici e tecnicizzazione degli interventi non fanno neppure risparmiare perché l'utente capisce che non hai le risorse per curarlo davvero e sviluppa ancora più dipendenza verso le strutture».

«Sembra che dicano “Se stai male è un problema tuo, vedi di tirartene fuori” - sottolinea Poma - Non ci sono forme di appartenenza allargate che non siano la famiglia, dove si ritorna, una volta perso il lavoro, con un senso di sconfitta. Quindi rimani spaesato, spogliato delle relazioni e dei legami consueti». «Quello che noto nella pratica terapeutica e che emerge nei pazienti è una riduzione delle speranze - racconta ancora Stoppa - La crisi economica tocca qualcosa di più profondo della mancanza di denaro o di lavoro, è una crisi di prospettive, vissuta in particolare dai giovani. Aumenta la sensazione di non essere all'altezza del modello che impone l'autosufficienza, ma non la può garantire. I giovani sono vittime di questo cortocircuito». Quelli raccontati da Francesco Stoppa sono individui incapaci di immaginare il cambiamento.

«Ogni epoca ha avuto la sua modalità di espressione del disagio - racconta Anna Poma - Oggi, ad esempio, assistiamo al dilagare degli attacchi di panico, un'invocazione degli individui del nostro tempo rivolta al nostro tempo. Incontro molte persone che stanno male perche si sentono intrappolate in una situazione senza via d'uscita».

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