Innanzitutto
dobbiamo tenere sempre ben presente che la Cina, per quanto enorme
sia, è comunque uno stato unitario, mentre l’Africa è
un continente formato da stati spesso in contrasto tra di loro.
Questo concetto è un elemento fondamentale per comprendere il
successo cinese sul piano economico.
L’uomo
del miracolo
Ma
un’altra carta vincente a favore del gigante asiatico è
stata la politica di apertura economica introdotta da Deng Xiaoping a
partire dal 1978. Deng è stato il vero miracolo della Cina
post-maoista.
Reduce
da trent’anni sotto il dominio di Mao, il paese versava in tragiche
condizioni economiche ed era completamente isolato dal resto del
mondo.
Nel
1949, anno in cui la leadership comunista prese il potere, la Cina
aveva il supporto della Russia comunista e, in materia di politica
interna, il presidente Mao era convinto di poter sanare la situazione
economica puntando sullo sviluppo dell’agricoltura.
Ma
con il passare degli anni le mire di crescita del presidente
diventarono sempre più ingenti e ben presto lo stesso partito
comunista non fu più in grado di gestire la situazione di
fanatismo ideologico in cui la Cina era sprofondata.
Terminata
la Rivoluzione Culturale (1966-1976) e morto Mao Zedong (1976), nel
1977 Deng Xiaoping salì al potere con un programma di
modernizzazione, destinato a cambiare profondamente l’economia
cinese.
Zone
economiche speciali
In
primis, Deng introdusse ampi spazi di libero mercato nelle zone
rurali, procedendo così alla decollettivizzazione agricola e
al ritorno al nucleo familiare.
Contemporaneamente
creò alcune «Zone economiche speciali» (Zes),
aperte agli investimenti stranieri e al commercio con l’estero.
La
«politica della porta aperta» è l’elemento
fondamentale che ha permesso alla Cina di intraprendere la sua
scalata economica. Mentre Mao Zedong aveva portato avanti una
politica di isolamento, essendo convinto che la Cina «dovesse
farcela con le sue forze». Al contrario Deng aveva capito che
l’economia socialista doveva gradualmente aprirsi al mercato, pur
mantenendo il controllo statale tipico del sistema socialista. I
primi risultati economici furono spettacolari: dal 1978 al 1985 il
reddito annuo pro-capite dei contadini era triplicato.
L’apertura
del Celeste impero ai diavoli d’oltreoceano (espressione utilizzata
dal presidente Mao Zedong per indicare negativamente gli stati
occidentali che tentavano di creare relazioni commerciali con la
Cina) è avvenuta attraverso l’istituzione nel sud della Cina
di quattro zone economiche speciali: Shenzhen, Zhuhai, Shantou e nel
Fujian. Create queste per attirare gli investimenti esteri. E, visto
l’esito positivo dell’esperimento, nel 1984 le autorità
centrali hanno permesso l’apertura al commercio e agli investimenti
esteri di altre 14 città.
Investimenti
La
«politica della porta aperta» ha portato in Cina un
enorme afflusso di investimenti diretti esteri: dal 1978 al 1999 sono
confluiti nel paese circa un terzo di quelli di tutto il mondo, con
un tasso medio annuale di 40 miliardi di dollari.
Negli
ultimi vent’anni la Repubblica popolare cinese ha avuto un tasso
medio annuale di crescita del 9% e, secondo la Banca mondiale, entro
il 2010 l’economia cinese potrà scavalcare quella americana,
diventando la più vasta al mondo.
Con
una superficie coltivata pari soltanto al 10% del suo territorio, la
Cina è comunque uno dei maggiori produttori agricoli mondiali.
Le principali coltivazioni sono cereali, cotone, canna da zucchero e
tè.
Anche
qui si è assistito a un progressivo abbandono del lavoro
agricolo e a un fenomeno migratorio dalle campagne alle città.
L’industria
è stata sottoposta a profonde trasformazioni a partire dal
1984, anno in cui inizia ufficialmente la riforma industriale.
Da
un sistema in cui dominavano la proprietà statale e la
pianificazione, si è giunti gradualmente a una situazione in
cui lo stato possiede meno della metà delle industrie: nel
1978 le aziende governative generavano il 77,6% del prodotto
industriale lordo, invece attualmente producono solo un quarto
dell’output totale.
Al
cospetto del mondo
Questa
apertura economica ha provocato un cambiamento della posizione della
Cina sullo scenario internazionale. L’isolamento si è
allentato soltanto all’inizio degli anni ’70 con il viaggio di
Nixon in Cina, che segnò la riapertura del dialogo con gli
Stati Uniti. Questo portò al riconoscimento del governo di
Pechino e all’ingresso della Repubblica popolare cinese nelle
Nazioni Unite, dove ottenne un posto permanente al Consiglio di
sicurezza.
Ciò
favorì anche la normalizzazione dei rapporti con i paesi
europei: a partire dagli anni ’80 la Cina ha iniziato a guardare
all’Unione Europea come partner commerciale alternativo agli Stati
Uniti.
L’ammissione
nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (11 novembre 2001) ha
segnato un importante passo verso una maggiore integrazione del paese
asiatico nel sistema commerciale multilaterale.
La
Cina si affaccia al terzo millennio con una situazione di forte
crescita economica. A questo hanno contribuito la domanda interna e
l’investimento pubblico e privato, alimentati da misure monetarie e
fiscali di tipo espansivo.
I
conti con l’estero presentano un andamento positivo: la bilancia
dei pagamenti continua a registrare un avanzo. Lo scorso febbraio le
sue riserve monetarie hanno raggiunto 853,7 miliardi di dollari
e la Cina è diventata così la nazione con le più
ampie riserve in valuta estera (oggi sarebbero a 1.300 miliardi,
secondo alcuni osservatori, tra i quali Adama Gaye2).
Le
esportazioni hanno registrato un’accelerazione della crescita, ma
ancora più significativo è stato l’incremento delle
importazioni. Insomma, quella della Cina sembra proprio essere la
sfida del terzo millennio.
La
via è segnata
L’opera
di Deng Xiaoping è stata portata avanti da Jiang Zemin e
successivamente da Hu Jintao. Entrambi hanno contribuito a realizzare
una società del benessere, a creare un socialismo dai colori
cinesi. Adesso l’altra grande sfida a cui punta il miracolo cinese
è lo «sviluppo economico sostenibile», che vuole
portare avanti lo sviluppo economico mostrandosi però più
sensibile al rispetto dell’ambiente e della società.
di
Francesca Dongiovanni
MC
Dicembre 2007