Torino, terzo mondo
di Gad Lerner
da Nigrizia gennaio 2008
Scrivo sotto l'impressione del mio incontro con gli operai dell'acciaieria ThyssenKrupp di Torino, colpiti da un incidente sul lavoro che gli ha portato via quattro colleghi (e altri tre stanno lottando per sopravvivere). Un incidente che nessuno potrà mai addebitare a fatalità, dopo le loro testimonianze sull'incuria, il lassismo e la rinuncia a una seria attività di manutenzione e prevenzione. Già, perché lo stabilimento torinese di corso Regina Margherita era destinato a prossima chiusura, essendo stato raggiunto un accordo che concentra a Terni le attività italiane della multinazionale.
Voi mi potreste chiedere: «E cosa c'entra la nostra rivista Nigrizia con la tragedia degli operai di Torino?». Vi risponderei: c'entra, eccome, perché quella che fu la capitale della classe operaia italiana ha percepito sulla sua pelle nel dicembre 2007 cosa voglia dire essere trattati da Terzo mondo.
Lo stabilimento sta per essere smantellato? E allora, perché .bisognerebbe dedicare soldi e lavoro alla sua manutenzione? Tanto gli operai che ci lavorano non sono mica i "nostri", si trovano all'estero rispetto alla casa madre della multinazionale (Dusseldorf, Germania). Un trattamento "asiatico", mi viene da dire. Occhio non vede, cuore non duole. Man mano che ci si allontana dalla sede centrale, viene considerato naturale che si allenti la vigilanza sulle condizioni di lavoro e la correttezza delle relazioni sindacali.
Solo che, di solito, questo lo tolleriamo perché riguarda lavoratori africani, cinesi, indiani, vietnamiti... Stavolta è toccato ai torinesi, facendoci piangere al fianco delle loro famiglie. Gente di una dignità straordinaria. Volti e storie di un'Italia retrocessa e umiliata dalla falsa idea di una società luccicante in cui l'acciaio, certo, serve. Ma tanto lo facciamo produrre a debita distanza.
Naturalmente, la dignità e la rabbia degli operai italiani della ThyssenKrupp non sono diverse da quelle dei loro omologhi dagli occhi a mandorla o dalla pelle scura che lavorano per stipendi nettamente inferiori e senza uno straccio di protezione antinfortunistica. Ma, si sa, il relativismo lo si combatte solo quando ci fa comodo.
Con il risultato che ora succede l'esatto contrario: anche gli operai italiani tendenzialmente diventano Terzo mondo. Le loro buste paga non crescono da anni. Gli infortuni sul lavoro aumentano. La fatica fisica viene accettata come destino d'infelicità.