FRONTIERE SENZA PACE KIVU, LA PROVINCIA INSTABILE
di Francesco Meneghetti
da Italia Caritas dicembre 2007/gennaio 2008
Le guerre nella Repubblica democratica del Congo hanno causato, nell'ultimo decennio, 4 milioni di morti. Ma la lunga transizione e le elezioni della seconda metà 2006 hanno diffuso la pace in quasi tutto il paese. Anche il golpe tentato a marzo dall' ex capo ribelle Jean-Pierre Bemba è un ricordo lontano. Democrazia e sviluppo del paese guidato dal presidente Joseph Kabila sono sostenuti a livello internazionale dai governi dei paesi avanzati (accordi per investimenti economici e commerciali) e dall'Onu (la missione cui Monuc contribuisce alla transazione verso l'unità nazionale, monitorando la restituzione delle armi da parte della popolazione e dei gruppi ribelli, l'inserimento sociale degli ex bambini e adulti soldato, l'integrazione dei miliziani nell'esercito regolare).
L'unica delle undici province congolesi in cui si vivono ancora forti tensioni è il Nord-Kivu, anticamente indipendente, ricchissima di risorse minerarie e molto fertile, con una composizione etnica e un'organizzazione socio-economica molto simile a quella del piccolo e limitrofo Ruanda, col quale le relazioni politiche e commerciali sono forti. Nel Nord - Kivu da qualche mese si assiste nuovamente a combattimenti pesanti tra i circa 5 mila miliziani fedeli al generale dissidente e filo ruandese Laurent Nkunda e l'esercito regolare (Fardc), che ha dispiegato circa 30 mila militari con il sostegno logistico dell'Onu. Indipendentemente dalle ragioni politiche, la presenza di militari nei villaggi provoca insicurezza tra la popolazione: abbandono dei campi, estorsioni di alimentari e animali, violenze sessuali su ragazze e arruolamento forzato di ragazzini. Circa quest'ultimo tema - prioritario per l'azione di Caritas Italiana in Africa - il rappresentante speciale per i conflitti armati dell'Onu, signora Radhika Coomaraswamy, riferisce che sono già centinaia i bambini arruolati e presto potrebbero diventare migliaia. Intanto i campi profughi di Mugugna, Rutshuru e Kiwanga e quelli in Uganda contano decine di migliaia di nuovi sfollati interni, assistiti anche da Caritas.
Omicidi di carattere etnico
Il quadro del conflitto è complesso e mutevole. Difficile fare previsioni, a causa delle controverse alleanze internazionali e locali. Per esempio si registra nuovamente l'attivismo militare di gruppi armati stranieri (tra essi il Fdlr, Forze democratiche di liberazione del Ruanda), mentre il 27 ottobre si è arreso ai caschi blu Onu Kibamba Kasereka, capo delle forze patriottiche Mayi Mayi (partigiani filo-Kinshasa, tornati protagonisti dei combattimenti contro le milizie di Nkunda). I segnali positivi e negativi si alternano: oggi fonti ufficiali segnalano la deposizione delle armi e il processo di integrazione di centinaia di ribelli di Nkunda, domani l'arruolamento di altrettanti uomini e bambini.
Intanto i fatti di cronaca locale a Goma, capoluogo del Kivu, fanno registrare un' escalation di omicidi di carattere etnico ai danni di persone con ruoli sociali ed economici di rilievo (compreso, sembra, il tentato omicidio ai danni del vescovo, monsignor Faustin Ngabu, a fine ottobre) e il diffuso brigantaggio notturno, che impone ogni sera il coprifuoco alle 18. Si teme inoltre che l'ingente ingresso di armi pesanti, via terra e via aerea, contribuisca a inasprire il conflitto. Non va dimenticato che il Nord-Kivu rappresenta una zona cuscinetto di fondamentale importanza per il vicino e popolatissimo Ruanda, che guarda al Kivu per le sue risorse minerarie e alimentari, oltre che come sbocco residenziale per la sua popolazione. La pace, in Congo, rimane una missione impossibile?