Mondo Oggi

Mercoledì, 28 Febbraio 2007 12:14

Alcune riflessioni su PACS e DICO

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PIÙ COLLEGIALITÀ, MENO POLITICA. LE CRITICHE DI MONS. PLOTTI ALLA LINEA DI RUINI SUI DICO
CITTÀ DEL VATICANO. L'annuncio di una nota "impegnativa" per i cattolici in vista del dibattito parlamentare sui Dico da parte del card. Camillo Ruini non è piaciuto a molti, persino all'interno della Cei. Non è un problema di contenuti: tutti si dicono d'accordo nel respingere con forza il progetto di legge del governo sulle coppie di fatto; ma qualche critica alla gestione verticistica del presidente della Cei arriva da mons. Alessandro Plotti, arcivescovo di Pisa che è stato anche uno dei vicepresidenti della Cei. Parlando della ‘nota', Plotti, in un'intervista a Repubblica del 16/2, ha commentato: "Se è un tema davvero così importante allora è giusto che sia redatta da tutti i vescovi. Mi auguro che non la faccia solo la presidenza. Una Nota dell'episcopato", aggiunge, "e sottolineo, una Nota pastorale, dev'essere discussa per prassi in assemblea. Il testo va mandato a tutti, bisogna poter fare emendamenti". I tempi, in questo modo, si allungherebbero, ma "il problema è pastorale più che politico. La Chiesa deve dire la sua parola, poi la politica fa le sue scelte". Quanto ai contenuti del ddl, "ci troviamo appena di fronte ad uno schema", è logico prevedere molti emendamenti ed è, quindi, "inutile stracciarsi le vesti prima del tempo".

Intanto, l'Osservatore Romano prende posizione con durezza nel dibattito a colpi di documenti scoppiato tra i cattolici: "Sembrano quanto meno inopportune", si legge nell'editoriale del 16/2 firmato in prima pagina da Gaetano Vallini,, "quelle voci che in questi giorni, anche con appelli pubblici, vorrebbero far tacere questa ‘voce' tanto autorevole quanto scomoda. Tanto scomoda da essere definita da alcuni impropriamente come un'‘ingerenza'". La "voce" è, naturalmente, quella della Chiesa e gli "appelli pubblici" cui si fa riferimento è, in realtà, soprattutto quello promosso da Giuseppe Alberigo (v. numero verde allegato) per chiedere ai vescovi italiani di non rilasciare la famigerata ‘nota'. L'altolà dell'Osservatore Romano, arriva proprio mentre il documento promosso da Alberigo continua a raccogliere adesioni. Oltre a quelle iniziali di, tra gli altri, Vittorio Bellavite, Raniero La Valle, Alberto Melloni e Giuseppe Ruggieri, si sono aggiunte nel giro di pochi giorni quelle di Pietro Scoppola (che sul Corriere della Sera del 16/2 smentisce le voci di un suo disaccordo con i contenuti dell'appello), Paola Gaiotti De Biase, don Albino Bizzotto, Aldo Maria Valli, Guido Formigoni.

Quello dell'Osservatore è un attacco mirato: "Non si comprende", scrive Vallini, "perché la Chiesa, il Papa e i Vescovi non possano intervenire su un tema tanto delicato quanto cruciale come quello della famiglia. Intervenendo, la Chiesa non difende una posizione ‘politica', ma semplicemente adempie al suo mandato, che è anche un suo diritto". "La Chiesa sulla famiglia ha il dovere di parlare", prosegue l'editoriale: "Chi vuole, ascolta. Ma non le si chieda di tacere".

Sì ai Dico anche dai Cristiano sociali: il coordinatore Mimmo Lucà ha risposto sul Tempo del 16/2 a una lettera di Francesco Cossiga che chiedeva al gruppo di chiarire la sua posizione: citando Moro e De Gasperi, Lucà scrive: "Voteremo per il Ddl del Governo sulle convivenze e non come male minore, ma perché vi riconosciamo la nostra ispirazione di Cristiano sociali". Quanto all'atteggiamento della Cei, "restiamo convinti che la Chiesa, tutte le Chiese, sono tenute a riconoscere e a rispettare la laicità e l'autonomia della politica, la sua preminente responsabilità nel decidere e determinare gli indirizzi ed il contenuto della legislazione". (alessandro speciale)



PRINCIPI NON NEGOZIABILI E POLITICA: LA MEDIAZIONE CHE NON PIACE ALLA CEI. UN INTERVENTO DI MARCO IVALDO
ROMA. Fra dogmatismo e relativismo c'è la mediazione politica, che non è un "compromesso" al ribasso, ma la via maestra per raggiungere il "massimo possibile" e per avanzare "nel bene comune", riconoscendo la "verità" presente anche nel "punto di vista" dell'altro. È l'opinione di Marco Ivaldo (docente di Filosofia morale all'Università di Napoli, già presidente nazionale della Fuci e del Meic) – molto distante dall'intransigenza della Conferenza episcopale italiana e del card. Camillo Ruini (v. Adista n. 13/07 e numero verde allegato) –, espressa in un seminario riservato del coordinamento di cattolici democratici Agire Politicamente, lo scorso 6 febbraio, anche in vista di un prossimo documento dell'associazione sul tema "valori non negoziabili e mediazione politica". (v. Adista, n. 1/07).

"Un compito che oggi interpella i cattolici", dice Ivaldo, "è la difesa e la promozione, nelle scelte politiche e legislative, di quelli che Benedetto XVI ha chiamato al Convegno ecclesiale di Verona ‘fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell'essere umano'", denominati anche "principi non negoziabili", cioè "valori che non possono essere oggetto di negotium, di scambio e contrattazione politica": su tutti,la "tutela della vita umana in tutte le sue fasi" e la "promozione della famiglia fondata sul matrimonio". Questi valori, che per il magistero della Chiesa sono "radicati nella ‘natura dell'essere umano'" – e quindi, chiosa Ivaldo, evidenti a tutti, senza interpreti più autorevoli di altri, vescovi compresi –, "non devono venire contraddetti dal nomos umano e dalle leggi civili, ma questi hanno piuttosto da riconoscerli, difenderli, promuoverli".

A questo punto si apre un problema: la politica è anche negotium, cioè "contrattazione" per la costruzione del "bene comune"; e la ricerca del bene comune "esige una ‘negoziazione', non sui valori in se stessi, ma sul loro pubblico riconoscimento e sulla loro sociale realizzazione", per raggiungere una "convergenza pratica, pur restando diversi i punti di partenza teoretici". Come è possibile allora per il cristiano, si chiede Ivaldo, "fare politica" rispettando i valori non negoziabili? "Qui si apre – prosegue – lo spazio irriducibile di quella che si chiama ‘mediazione', espressione per un certo tempo evitata nel linguaggio pubblico della Chiesa perché identificata (erroneamente) con ‘compromesso', ma che si impone nuovamente". Anzi, il cristiano può fare politica "partendo da ‘valori non-negoziabili' solo se pratica buone mediazioni", "in caso contrario si condanna o al tradimento dei valori oppure alla inefficacia politica". Il cattolico impegnato in politica, quindi, non è il mero esecutore delle direttive impartite dalla Cei: "È sbagliato pensare che l'attività politica di un cristiano sia l'applicazione ‘meccanica' dei principi e dei valori elaborati nella dottrina sociale della Chiesa. Tali principi e valori costituiscono il ‘firmamento teologico' – espressione di Maritain – che orienta l'attività politica, ma quest'ultima inizia in senso stretto nel punto in cui questi principi e valori vengono impegnati nella situazione concreta e contingente. La politica è la responsabile ricerca dei mezzi, o meglio delle mediazioni (leggi, istituzioni, misure politiche) che incarnano, nella situazione concreta e via via specifica e mutevole, questi principi e valori nel massimo possibile, avendo come scopo e come regola la giustizia".

In questo contesto, spiega Ivaldo, sono compatibili due ammissioni che potrebbero sembrare contraddittorie: "Che il proprio punto di vista (ad esempio in ambito morale) non sia il ‘punto di vista', ma (solo) un punto di vista; che il proprio punto di vista riguardi nondimeno la verità, ovvero sia giudicato dal suo portatore come ‘vero' e valido". "La pratica di questa duplice convinzione - che è insieme anti-dogmatica e anti-relativistica - è essenziale per stare nello spazio e nella pratica della comunicazione: ci consente di considerare le verità che giudichiamo tali come verità (e non come semplici preferenze personali), e tuttavia ci permette di ammettere che si possa trattare pur sempre di verità parziali", e che perciò "siano suscettibili di integrazione mediante altre (parziali) verità di cui si riconosca l'evidenza". È questa la pratica e l'essenza della mediazione: partendo dai propri valori – che ciascuno "legittimamente giudica veri e validi" e "non semplici opinioni soggettive" – si cerca di "individuare un complesso valoriale che possa diventare oggetto di comune riconoscimento, e da qui si procede per realizzare quelle parti dei rispettivi disegni che risultano comuni e accomunanti".

Ivaldo conclude con due richiami, uno ai vescovi e uno ai politici: i vescovi, dice, "dovrebbero autolimitarsi, oppure ammettere che le loro tesi possono essere discusse nel campo dell'applicazione pratica"; e i politici che si richiamano continuamente e pubblicamente al magistero sbagliano due volte, prima perché "strumentalizzano il magistero" e poi perché "non esercitano la loro autonoma e specifica responsabilità laicale". (luca kocci)



CREDO, DUNQUE DICO: COMMENTI CATTOLICI SULLA STAMPA
ROMA. Non ci sono solo i politici cattolici, in primis quella Rosy Bindi che il ddl sulle coppie di fatto lo

ha scritto, e le voci storiche del cattolicesimo democratico, da Alberto Melloni a Angelo Bertani: sulle colonne della stampa laica fanno sentire la loro voce anche quegli esponenti della Chiesa che – perché critici o semplicemente distanti dai piani di potere della Cei – non troveranno mai spazio su Avvenire. Nella rassegna di Adista, forzatamente limitata per motivi di spazio, pubblichiamo

le interviste e gli interventi di mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, del ministro Bindi, di Leopoldo Elia,

di Angelo Bertani, di Pierluigi Castagnetti, del vicesindaco di Firenze Giuseppe Matulli, dell’ex-presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e di Stefano Ceccanti, che ai “Dico” ha lavorato in prima persona in quanto capo ufficio legislativo del ministro per le Pari opportunità Barbara Pollastrini.

Ma le loro voci non sono state certo le uniche a protestare per la linea adottata dalla Chiesa italiana di fronte ai ‘Dico’. Don Severino Dianich, ad esempio, sulla Repubblica del 13/2, ex-presidente dell’Associazione teologica italiana, si chiede come “espressioni così forti - quelle usate dalla gerarchia ecclesiastica - si sposino con la missione di predicazione della Chiesa”: il timore è che “creare dissidi così forti (…) aumenterà il distacco tra Chiesa e società civile”. Sullo stesso giornale, Vito Mancuso,

che insegna Teologia contemporanea al San Raffaele di Milano, difende il ddl perché “lo Stato ha il dovere di prendere in carico i nuovi fenomeni. Se non lo facesse, sarebbe una vera omissione”. Punta il dito contro il card. Camillo Ruini, invece, Achille

Ardigò: la Cei sta “andando contro l’insegnamento di Giovanni XXIII, del Concilio e dello stesso Giovanni Paolo II, insegnamento che valorizza il ruolo e la presenza dei cattolici impegnati per il buon governo della cosa pubblica (…). Ruini vuole essere

lui a gestire i rapporti politici, persino con i singoli parlamentari”. Gli fa eco Domenico Rosati, ex-presidente delle Acli, mentre sul fronte ecclesiastico, il direttore della dehoniana “Rivista di teologia morale”, p. Luigi Lorenzetti, sul Corriere della Sera dell’11/2, trova che il ddl sui Dico sia un “compromesso” accettabile. “Il testo proposto - afferma - porta il segno di quella ricerca

e del compromesso che in qualche misura è stato raggiunto (…). Ritengo che nessuno possa sentirsi dispensato

dall'impegno a migliorarlo, ma anche così com'è vedrei una sua accettabilità”. Una cauta apertura che riconosce il valore dell’opera di mediazione attuata nel governo e che sgombra il campo dalle polemiche di chi vede nei Dico il riconoscimento di un “simil-matrimonio”: “Credo si tratti di un processo alle intenzioni, perché il testo è stato redatto in modo che quel riconoscimento non sia mai affermato neanche implicitamente”.

L’Unità del 14/2 intervista due preti quotidianamente impegnati nel sociale: “Come figlio della Chiesa”, dice don Alessandro Santoro, parroco delle Piagge a Firenze, “posso comprendere la difficoltà che hanno le gerarchie su questa proposta, anche se non riesco a capire come si possa dire che questa legge mini l’istituzione familiare. Non c’è nulla che vada contro la famiglia”.

Ancora più netto p. Pierangelo Marchi, della Comunità dei Sacramentini di Caserta: la Chiesa “ha timore di perdere potere”; “c'è una caduta di consenso inarrestabile, e la reazione è un arroccamento senza precedenti”. Quanto alla linea della Cei, sbotta

p. Marchi, “l'era Ruini prima finisce e meglio è”, anche se il problema non è certo solo all’interno alla Chiesa: “L'offensiva di questi giorni dimostra come sia fragile anche la cultura laica”. Il giorno dopo, sempre sull’Unità, il parroco del Sacro Cuore a Portici, p. Giorgio Pisano, torna sugli stessi temi: “Mi sembra che il cardinal Ruini sia poco sereno. E che stia alimentando una tremenda confusione che non fa bene a nessuno: al mondo laico, ma anzitutto alla stessa Chiesa”.



VI PREGO, RIPENSATECI
di Giuseppe Alberigo

La Chiesa italiana, malgrado sia ricca di tante energie e fermenti, sta subendo un'immeritata involuzione. L'annunciato intervento della Presidenza della Conferenza episcopale, che imporrebbe ai parlamentari cattolici di rifiutare il progetto di legge sui "diritti delle convivenze", è di inaudita gravità. Con un atto di questa natura l'Italia ricadrebbe nella deprecata condizione di conflitto tra la condizione di credente e quella di cittadino. Condizione insorta dopo l'unificazione del Paese e il "non expedit" della S. Sede e superata definitivamente solo con gli accordi concordatari. Denunciamo con dolore, ma con fermezza, questo rischio e supplichiamo i Pastori di prenderne coscienza e di evitare tanta sciagura, che porterebbe la nostra Chiesa e il nostro Paese fuori dalla storia.

Si può pensare che il progetto di legge in discussione non sia ottimale, ma è anche indispensabile distinguere tra ciò che per i credenti è obbligo, non solo di coscienza ma anche canonico, e quanto deve essere regolato dallo stato laico per tutti i cittadini. Invitiamo la Conferenza episcopale a equilibrare le sue prese di posizione e i parlamentari cattolici a restare fedeli al loro obbligo costituzionale di legislatori per tutti.



E ADESSO LA FAMIGLIA
di Rosy Bindi

Famiglia Cristiana 18 febbraio 2007

Intervista a Rosy Bindi di Alberto Bobbio

D: Ministro Bindi, ha ridotto il danno con il disegno di legge sui "Dico", rispetto alle richieste della sinistra radicale?

R: «Mi sembra riduttivo assegnarmi il ruolo di riduzione del danno. Sono convinta che sia una buona legge, la migliore possibile. Abbiamo messo una buona locomotiva su un binario giusto. Non abbiamo inventato nessuna formula giuridica nuova, ma ci siamo limitati a riconoscere diritti e doveri a persone che vivono in una situazione di fatto, che è la convivenza, fondata sull'amore, l'af-fetto, la solidarietà. Questa situazione di fatto non viene riconosciuta, ma semplicemente certificata applicando il vigente regolamento anagrafico».

D: Cioè si va all'anagrafe e si dichiara la convivenza?

R: «No, basta dire che si coabita».

D: E sulla carta di identità ci sarà scritto convivente?

R: «Assolutamente no. Resterà scritto "stato: libero". All'anagrafe interessa solo che una persona risulti residente con un'altra. Da questa situazione discendono diritti e doveri, perché noi abbiamo inteso tutelare le parti più deboli».

D: Ma le critiche sono state pesantissime da parte della Chiesa...

R: «Alla stesura di questa legge hanno collaborato molti giuristi cattolici. Il mio consigliere giuridico è il professor Renato Balduzzi, presidente del Meic, il Movimento ecclesiale di impegno culturale; e il capo dell'ufficio legislativo del ministro Pollastrini è il professor Stefano Ceccanti, ex presidente della Fuci, gli universitari cattolici. Abbiamo dialogato con tutti. Certo, se ti dicono che non puoi fare nessuna legge, allora si va avanti da soli. Ma ci hanno chiesto di fare una buona legge. E così è avvenuto».

D: Però anche alla sinistra radicale questo testo non piace...

R: «Devo dare atto alle anime più radicali del Consiglio dei ministri di aver capito che questa è una legge importante, ma che doveva avere i contenuti e il metodo che ha, perché altrimenti non sarebbe stata accettata».

D: C'è il rischio che in Parlamento venga stravolta?

R: «Non deve essere modificata né da zeloti, né da zelanti. Non bisogna cambiare né locomotiva, né binari. Spero che vi siano pochi emendamenti migliorativi».

D: Eppure molti dicono, anche tra i cattolici, che è una legge inutile, perché le tutele ci sono già nella legislazione ordinaria. Lei cosa risponde?

R: «Nella giurisprudenza e nelle leggi ci sono, qua e là, delle tutele. Ma qui sono direttamente esigibili. Come indicava il programma dell'Unione».

D: In questo modo avete dato una sorta di cittadinanza alle unioni di fatto?

R: «Ribadisco che noi ci siamo occupati dei diritti e dei doveri delle persone, senza creare un nuovo status giuridico. Tuttavia, l'ordinamento giuridico ha anche questa funzione: non può basarsi sul sommerso, sul clandestino, sul "si sa, ma non si dice"».

D: Tutte le coppie di fatto devono aderire alla legge?

R: «No, si può vivere insieme senza dichiararsi conviventi. Così non si accede ai benefici di questa legge».

D: Sono stati sollevati alcuni problemi: primo la pensione di reversibilità...

R: «La parola reversibilità nel disegno di legge non c'è, proprio perché è un istituto del coniuge. Nella riforma delle pensioni affronteremo questo problema. Ad esempio, si potrebbe prevedere la possibilità di decidere a chi lasciare una parte dei contributi che uno ha maturato: al fratello, alla sorella, al nipote o, appunto, al convivente».

D: Il capitolo delle successioni...

R: «Su questo punto ho avuto i dubbi più profondi. È il punto sul quale il convivente potrebbe essere equiparato al coniuge. Ma siamo riusciti a evitare questo rischio perché il convivente acquisisce dopo nove anni il diritto di entrare a far parte delle disponibilità dell'altro convivente, senza nulla togliere ai figli e agli altri parenti».

D: Lo scoglio più grande sono stati gli omosessuali. È d'accordo?

R: «Senza dubbio».

D: Si poteva evitare?

R: «No. In materia di diritti della persona, nessuno può essere discriminato e tutti devono essere accolti e rispettati nella propria identità. Questo prevede la nostra Costituzione».

D: Adesso però bisogna occuparsi della famiglia. Lei cosa intende fare?

R: «Ho già pronto un disegno di legge per superare tutte le discriminazioni tra figli nati nel matrimonio e fuori dal matrimonio. I bambini non devono subire le scelte dei genitori. E, poi, in primavera organizzerò la Conferenza nazionale sulla famiglia».

D: Non era meglio partire da queste cose, invece che dalla discussa questione delle coppie di fatto?

R: «Ho dedicato tre settimane a questo disegno di legge per evitare che ci fosse una contaminazione con la famiglia. Ma prima, nella legge finanziaria, ho lavorato a scelte strategiche a favore della famiglia: lotta al lavoro precario, misure per sostenere la maternità, 90.000 nuovi posti in tre anni negli asili nido. Sta per essere varato un piano casa. Abbiamo previsto 3 miliardi di euro per assegni familiari e detrazioni fiscali. Rilanceremo i consultori familiari, trasformandoli in veri e propri centri famiglia. E abbiamo pronto un "piano tariffe" per le famiglie numerose».



DA VESCOVO COMBATTEREI PRIMA MAMMONAdi mons. Luigi Bettazzi
la Repubblica 11 febbraio 2007

Egregio dott. Augias, leggo su Repubblica, a commento del «non possumus» sui Pacs, o Dico, che non sarebbe moralmente possibile per i cattolici appoggiare un centrosinistra che contrasta con la morale cattolica. È vero ed è la comprensibile preoccupazione del Papa e della Cei che un'equiparazione di ogni tipo di coppia al matrimonio eterosessuale potrebbe favorire lo sgretolamento di un'istituzione fondamentale. Giungere però ad una scelta politica come conseguenza della fede, credo sia davvero un salto non solo illegittimo ma sconcertante.

La legge sui Dico non obbliga nessuno, assicura solo garanzie legali che del resto i politici (quelli stessi che difendono la «famiglia cattolica») si sono già attribuiti; così come governi «democristiani» presero atto che la maggioranza degli italiani accettava il divorzio e entro certi limiti purtroppo anche l'aborto.

Quello che invece non riesco a capire da cattolico e, vorrei dire, da vescovo è che per questa tolleranza democratica si voglia sconfessare un orientamento che almeno nelle intenzioni parte dalla difesa di chi ha maggiori difficoltà in linea con il Vangelo che assicura il «regno» a chi provvede ai senza lavoro ai senza casa. La vera scelta è solo quella fra Dio e Mammona (v. Lc 16, 13), dove Mammona è mettere al primo posto i soldi, il potere.

Vorrei che come formazione ad un autentico cristianesimo, una volta indicati i pericoli che possono accompagnare il cammino dei Dico, si combattesse con non minore energia la spirito di Mammona, che sta inquinando il nostro mondo, alimentando la violenza, inaridendo i nostri giovani.

Luigi Bettazzi

Vescovo emerito di Ivrea



SULLA LEGGE NESSUNA IMPOSIZIONE
di Oscar Luigi Scalfaro

La Repubblica 15 febbraio 2007Intervista a Oscar Luigi Scalfaro di Vittorio Ragone

Un altolà senza sfumature al cardinale Ruini, se davvero vuole imbrigliare nei precetti della Chiesa la libertà di decisione politica sui Dico, un tempo noti come Pacs. Oscar Luigi Scalfaro, presidente emerito della Repubblica e padre nobile del centrosinistra, non è contratrario alla mediazione Bindi-Pollastrini, e teme la «distruzione» del cattolicesimo parlamentare se la Cei dovesse lanciare diktat a chi riconosce il suo magistero. In sessant´anni - dice - questo non è mai accaduto. Prima di correre certe avventure Ruini dovrebbe avviare «un ampio esame» dentro l´assemblea dei vescovi.
D: Presidente Scalfaro, il Parlamento aspetta di sapere quale forma assumerà il "non possumus" di Ruini sulle unioni di fatto. Che cosa succederebbe se la Cei o il Papa avanzassero richieste "vincolanti" per i politici cattolici?

R: «La Chiesa, pure nella fermezza dei suoi principi, non ha mai compiuto in sessant´anni interventi che ponessero a un bivio obbligato i parlamentari cattolici. Io confido che interventi del genere non ci saranno. Se dovessero invece avvenire, distruggerebbero la possibilità stessa di una presenza dei cattolici in Parlamento in condizioni di dignità e libertà, quella libertà che consente l´assunzione individuale delle responsabilità. Ma a chi serve, oggi e domani, un gruppo di parlamentari che si limitano a eseguire gli ordini? Certo non alla Chiesa. Sarebbero una inutile pattuglia, e l´effetto sarebbe una crescita di laicismo esasperato».

D: Il centrosinistra non drammatizza troppo l´iperattivismo vaticano? È vero che è stato l´Avvenire a citare Pio IX, ma dall´altra parte si invoca il Risorgimento, si tracciano scenari foschi, si ipotizza, come anche lei fa, il naufragio del cattolicesimo politico. Eppure gli scontri tra l´etica cattolica e quella laica, condivisi e alimentati dalla Chiesa, in Parla mento e fuori non sono mancati. Gli anni Settanta, il divorzio, l´aborto, i referendum. Grandi asprezze, ma alla fine siamo tutti qui, comprese le leggi soggette ad anatema.

R: «Vede, io sono nella vita politica da 61 anni, dalla Costituente. È vero, abbiamo attraversato come parlamentari cattolici momenti faticosi, difficili, prese di posizione delicate. Ma già dall´Assemblea costituente fu preminente in tutti la ricerca di un denominatore comune sui temi dei diritti e della dignità delle persone. Ne nacque un documento d´eccezione, la Carta, del quale dobbiamo ringraziare i grandi nomi che resero un tale servizio al popolo italiano: penso, nel mondo cattolico, a De Gasperi, a La Pira, a Dossetti, più tardi a Aldo Moro e a tan tissimi altri rappresentanti del popolo. Il grande tema per noi cattolici era fare sintesi fra diritti e doveri del cittadino e diritti e doveri del cristiano, portare nella politica il pensiero filosofico che anima i principi cristiani sempre con grande rispetto per le impostazioni altrui. L´articolo 67 della Costituzione stabilisce che ogni membro del parlamento rappresenta la nazione e esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Al tempo del divorzio e dell´aborto, che lei cita, in entrambi i casi il partito mi diede incarico di parlare ufficialmente a nome del gruppo democristiano. Non dimentico, e ne ringrazio la Provvidenza, che nell´uno e nell´altro caso ebbi ascolto ampio, proprio dagli avversari politici: non condivido le tue tesi - mi fu detto - ma apprezzo lo sforzo di dialogare. Dopo la sconfitta sul divorzio qualcuno in assoluta buona fede sostenne che non potevamo collaborare a formulare gli articoli della legge perché così facendo avremmo aiutato un istituto che contestavamo. Ma giustamente vinse la tesi che quando cade l´affermazione di un principio rimane sempre il dovere di lottare per il male minore».

D: Insomma, lei sostiene che la capacità di ascolto reciproca non è venuta mai meno, nemmeno quando lo scontro era al massimo della tensione.

R: «Non solo. C´è anche un altro insegnamento. La chiarezza delle posizioni della Chiesa, e il risultato del referendum che diede ragione alle tesi contrarie a quelle sostenute da noi cattolici, non impedirono che tanti cattolici si servissero poi dell´istituto del divorzio. Ne è prova che da anni all´interno della gerarchia ecclesiastica si discute sull´ammissi-ilità dei divorziati ai sacramenti».

D: L´invito al pragmatismo, per tornare a Ruini, onestamente oggi non sembra avere grandi chance. La grandinata vaticana - da Avvenire a Sir, dall´Osservatore allo stesso Ratzinger - non lascia grandi margini alla mediazione.

R: «La profonda devozione e ubbidienza alla Chiesa madre e maestra - e mi piace ricordare che fu la saggezza di Giovanni XXIII a dare questa preminenza alla maternità della Chiesa - mi fa confidare che il richiamo che è stato annunziato, e che manifesta un diritto e anche un dovere della Chiesa di dire il suo pensiero, non abbia la forma di un'imposizione».

D: Il fronte dei 60 parlamentari della Margherita che difendono i Dico non ha un gran futuro, se l´intervento di Ruini dovesse trasformarsi in un vero e proprio precetto. Non crede?

R: «Un atteggiamento rigido della Chiesa sfascerebbe tutto. Ne sono convinto».

D: Lei, pur da senatore a vita, è un uomo del centrosinistra: quale potrebbe essere una contromisura per far prevalere la moderazione?

R: «Posizioni da parte della Chiesa che portassero a conseguenze tanto pesanti, così come non si sono verificate neanche quando furono compromessi l´indissolubilità del matrimonio e il diritto alla vita, richiederebbero a mio avviso un ampio esame nell´Assemblea dei vescovi italiani, la Cei».

D: Nel merito della legge, come giudica la soluzione Dico "inventata" da Bindi e Pollastrini?

R: «Mi piace ricordare che quando il presidente del consiglio Romano Prodi annunziò nella formulazione del programma il desiderio di riconoscere dei diritti e dei doveri a ciascun cittadino, affermò espressamente che con quel programma prendeva l´impegno di non toccare o turbare l´istituto del matrimonio così come previsto dalla Costituzione. Mi pare giusto non fare processi alle intenzioni. Le proposte di legge che sono state presentate da posizioni a mio avviso non accettabili sono giunte con non poca fatica (quanto intensa quella del ministro Bindi!), in questo necessario dialogo tra impostazioni diverse, a un testo che come tutti i testi è indubbiamente migliorabile ma che certamente non prevede - per essere chiari - il matrimonio fra gli omosessuali o una formula mascherata ma simile. Si tratta di dare eventuali, maggiori garanzie? Se ne può discutere, rimanendo chiaro un punto: se al dunque si fosse richiesti di un voto esplicito che preveda di fatto il matrimonio per gli omosessuali, allora, senza bisogno di disturbare la dottrina della Chiesa cattolica, è chiaro che un voto a favore non si può dare perché in contrasto con una realtà di storia dell´umanità, che prevede per il matrimonio un maschio e una femmina».

D: Il matrimonio gay, per la verità, sembra essere un simbolo e uno spauracchio, anche se di prima fila. Quel che la Chiesa sembra temere nella sostanza è che il riconoscimento delle unioni civili, innanzitutto eterosessuali, sgretoli la famiglia "naturale" su cui si fonda la sua dottrina.

R: «È vero, c´è chi obietta che aprendo una seconda strada si dà ai cittadini con troppa facilità la possibilità di un´altra scelta. La preoccupazione della Chiesa è più che condivisibile. Ma il problema vero è rafforzare nei cattolici la fede, in modo che sappiano scegliere secondo i principi nei quali credono. Più che allo Stato, al quale si chiede di impedire una duplice strada che consentirebbe gli abusi, il tema è affidato alla evangelizzazione e alla formazione dei fedeli. Lo Stato deve pensare a tutti e, pur non tramutando speranze, desideri e sogni in diritti deve, se esistano basi certe per individuare quei diritti, riconoscerli dove e quando ci sono».

Gli articoli sono tratti da Adista n°15 e 16 del 24 Febbraio 2007

Letto 2283 volte Ultima modifica il Giovedì, 03 Maggio 2007 23:05
Fabrizio Foti

Architetto
Area Mondo Oggi - Rubrica Ecclesiale

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