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Martedì, 23 Gennaio 2007 11:16

«RUANDA, LAVORIAMO ALLA RICONCILIAZIONE»

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«RUANDA, LAVORIAMO ALLA RICONCILIAZIONE»

LA SCHEDA
Superficie: 26.338 kmq.

Popolazione: 8.163.715 ab. (cens. 2002), 8.648.000 (stima 2006).

Capitale: Kigali, 608.141 ab. (2002).

Pnl/ab: 198 dollari Usa.

Aspettativa di vita: 47,3 anni.

Mortalità infantile: 89,6 morti su 1.000 nati vivi.

Debito estero: 1.316 dollari Usa (2001).

Popolazione povera (meno di un dollaro al giorno): 60%.

Religione: cristiani 74%, animisti/credenze tradizionali 25%, musulmani 1%.

GruppI etnici: hutu 80%, tutsi 19%, twa 1%

Lingua: francese, inglese, kinyaRwanda (ufficiali).



“I cattolici che hanno commesso crimini erano tali solo di nome”

“Come religiosi siamo intervenuti a fianco dei più poveri”

In Ruanda le celebrazioni per il decennale del genocidio sono finite da tempo. Tanti i momenti di ricordo, le «scoperte delle fosse comuni, le cerimonie all’insegna della riconciliazione, anche se forse un po’ di parte, come commentano gli osservatori esterni. Tutto si è svolto senza incidenti, ed è già molto. Specie da aprile a luglio 2004, cioè nel periodo in cui dieci anni prima erano state uccise non meno di 800mila persone, il genocidio è tornato al centro dell’attenzione di un Paese in straordinaria crescita. Dappertutto ci sono cantieri (spesso di aziende cinesi) per realizzare strade e opere pubbliche, il prodotto interno lordo è in forte crescita, il Paese è ai vertici delle classifiche mondiali per quanto concerne il ruolo delle donne nella vita pubblica. Tutto passato quindi? Nemmeno per idea e non solo perché una tragedia simile è impossibile da dimenticare.

«Il genocidio resta un male innominabile che ha colpito tutto il Ruanda e la Chiesa cattolica ruandese» afferma Jean Damascène Bimenyimana, vescovo di Cyangugu, diocesi nel Sud del Paese, ai confini con la Repubblica democratica del Congo. Dalla sua sede sulle rive del lago Kivu, l’alto prelato non nasconde le responsabilità della tragedia, ma invita a non generalizzare. «Il massacro è stato organizzato dal potere politico che era alla guida del Paese. Alcuni di quelli che gestivano questo potere erano cristiani cattolici, e c’erano cattolici anche tra le persone che sono state spinte a commettere i crimini del genocidio. Tutta questa gente non ha messo in pratica il comandamento dell’amore che ci ha lasciato Gesù Cristo: erano cristiani cattolici solo di nome. Questo, però, non vuol dire che il genocidio prova il fallimento dell’evangelizzazione del Ruanda, come certi osano affermare: non tutti i cattolici ruandesi hanno partecipato al genocidio. Se si sostiene questa tesi, la si dovrebbe trasporre a quei Paesi tradizionalmente e storicamente cristiani nei quali si sono verificati altri massacri, ma non mi pare il caso».

La Chiesa, anzi, è intervenuta subito a fianco dei parenti delle vittime per aiutarli a ricostruire le case e a tornare ad abitarle. L’operazione continua, perché sono tante le persone rimaste sole e senza famiglia. In particolare, le strutture diocesane e parrocchiali hanno aiutato le donne scampate ai massacri e quelle i cui mariti sono in prigione a mettersi insieme e a formare associazioni. Si è così testimoniato che la riconciliazione non è un sogno, ma un passo che ciascuno deve fare.

L’episcopato locale ha anche avviato una profonda riflessione sui fatti del 1994. «Tre anni dopo - rileva mons. Bimenyimana -, con i preparativi per il giubileo del 2000 e per la celebrazione dei cent’anni di evangelizzazione del Ruanda, si è messo mano seriamente al problema della riconciliazione dei ruandesi, organizzando, in quasi tutte le diocesi, un sinodo straordinario per affrontare la questione etnica. Scambi e confronti hanno avuto luogo nelle comunità ecclesiali di base e hanno favorito un clima di dialogo tra tutti i componenti della società ruandese. Le conclusioni sinodali di ogni diocesi hanno mostrato che la riconciliazione è un processo iniziato che bisogna proseguire. Attualmente se ne stanno occupando la commissione episcopale e le commissioni diocesane “Giustizia e Pace”. Si organizza la formazione per i “mediatori della pace” o gli “apostoli della pace” sui differenti generi di conflitti e sulla metodologia per gestirli. Molti di loro sono giudici nei processi popolari gacaca allestiti dal Governo ruandese per i reati connessi al genocidio. Il 13 giugno 2002 i vescovi hanno scritto la lettera La giustizia che riconcilia, nella quale invitano, specialmente i cristiani, a dire la verità e nient’altro che la verità nei processi gacaca per riferire quanto hanno visto e vissuto. Bisogna ricordare che, soprattutto prima del 1997, ma anche dopo, la Conferenza episcopale del Ruanda non ha mai cessato di indirizzare, ai ruandesi in generale e ai cattolici in particolare, lettere pastorali nelle quali si chiedeva di vivere insieme nella concordia e nella pace».
I problemi da affrontare, all’alba del terzo millennio, restano però numerosi e complessi. L’elenco è davvero lungo: sovrappopolazione, terre coltivabili sempre più rare (anche per via delle suddivisioni imposte da doti e frazionamenti ereditari), povertà galoppante, i bambini di strada presenti ormai in tutte le città, poche strade in buone condizioni, acqua potabile non disponibile a tutti. A queste difficoltà di fondo, si aggiungono la pandemia di Aids e il fiorire delle sette religiose. Sul fronte dell’istruzione, nonostante i grandi sforzi delle famiglie, la carenza di mezzi per acquistare il materiale didattico, ma anche vestiti appena decenti, è la causa principale dell’abbandono delle scuole fin nei primi anni di frequenza. Mancano i fondi per pagare le spese scolastiche agli allievi delle scuole secondarie, per cui è molto basso il numero di alunni che passano dal ciclo di studi primario a quello secondario e, da qui, all’università. Sono pochi gli istituti nei quali si impara un mestiere e i giovani che terminano la scuola secondaria non trovano lavoro. Gli analfabeti restano numerosi.

«La comunità cristiana non è un’isola al riparo da questi problemi - commenta il vescovo - e, oltretutto, deve fare i conti con la carenza di catechisti formati e di scuole per prepararli. Coloro che abbracciano questa missione sono costretti ad accettare un livello di vita molto basso: mancano i fondi per far stampare i manuali di catechesi, per il materiale didattico e per far funzionare i servizi connessi quali l’animazione catechetica. La catechesi ha a disposizione, nel calendario scolastico, soltanto un’ora di corso alla settimana sia nella scuola primaria sia in quella secondaria, e aumentano gli insegnanti che trascurano questa lezione».

Una secolarizzazione crescente, quella della scuola pubblica, alla quale non sarà facile trovare rimedio, ma che non preoccupa il vescovo: «La Chiesa cattolica collabora con lo Stato soprattutto nel settore della sanità e dell’insegnamento, ma salvaguarda la sua neutralità, non si immischia negli affari politici».

Alberto Marini

Popoli/Agosto-settembre 2006

Letto 1759 volte Ultima modifica il Lunedì, 26 Marzo 2007 20:37
Fabrizio Foti

Architetto
Area Mondo Oggi - Rubrica Ecclesiale

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