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Lunedì, 24 Luglio 2006 11:54

“IO ERITREO CAPPELLANO A MILANO”

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“IO ERITREO CAPPELLANO A MILANO”

Tra le cappellanie della comunità straniera, quella eritrea a   Milano è una delle più vecchie e consolidate, frutto del continuo flusso migratorio degli eritrei che hanno cercato nell’ex Paese colonizzatore sicurezza da guerre, persecuzioni e carestie.

I primi arrivi datano verso la fine degli anni Sessanta. Alora ad assisterli ci sono alcuni giovani frati cappuccini, in Italia per completare gli studi. La loro è un’assistenza non solo spirituale. I religiosi aiutano gli immigrati nel trovare casa, lavoro, per avere i permessi di soggiorno, ecc. E  non guardano alla fede.  Aiutano tutti: i cattolici (una minoranza)  e i non cattolici (la maggioranza). 

“L’assistenza agli eritrei – spiega padre Habtemariam Ghebreab, l’attuale cappellano – è nata ufficialmente 24 anni fa quando l’allora arcivescovo Cardinal Carlo Maria Martini, riconobbero il nostro sforzo per aiutare gli eritrei e ci permise di dare vita a un’assistenza”. Da allora, alla sua guida si sono alternati quattro cappuccini: Andemariam Tesfamicael, Stefano Tedla, Teclemariam Haile (conosciutissimo a Milano con il nome di padre Marino) e, appunto, Habtemariam Ghebreab . Padre Habtemariam, 62 anni, è nato in un villaggio vicino ad Asmara. Ha studiato in Africa e si è specializzato alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Prima di tornare in Italia nel 2002, è stato in Etiopia (dove ha diretto il seminario di Addis Abeba ed è stato maestro dei novizi) e in Eritrea (dove è stato coadiutore parrocchiale a Keren e Asmara). “A dire il vero – spiega padre Habtemariam – sono tornato per caso. Ero venuto qui per cure mediche, poi i superiori mi hanno chiesto di rimanere per dare una mano a padre Marino. Quando padre Marino si è ammalato, ho preso il suo posto. Anche se lui continua a collaborare con me”.

A Milano, il cappellano è il punto di riferimento per 200 famiglie eritree cattoliche. “Prima dell’indipendenza dell’Eritrea – ricorda -, la cappellania offriva assistenza spirituale ai cattolici, ma anche ai copto-ortodossi che venivano da noi per Messe e battesimi. Poi, nel 1993, si è costituita la comunità copta a Milano e da allora gli ortodossi hanno avuto il loro pastore”. 

La gran parte dei cattolici sono giovani immigrati, molti fuggiti dal loro Paese e arrivati qui dalla Libia. Ma ci sono anche persone arrivate in Italia molti anni fa. 

“Noi – osserva padre Habtemariam – cerchiamo di aiutarli come possiamo. Un tempo padre Marino li assisteva in tutto: dalle pratiche burocratiche alla casa, al lavoro ai rapporti con le istituzioni. Ora è diventato più difficile perché il numero degli immigrati è cresciuto e lavoro e casa sono merce rara per tutti”. 

L’assistenza è quindi prevalentemente spirituale. “Ogni domenica mattina – spiega – celebro una Messa in lingua zigrina. La celebrazione è accompagnata dai canti in gheez, una lingua arcaica dal quale sono nate le più importanti lingue di Etiopia ed Eritrea. Il sabato poi tengo lezioni di tigrino (per i bambini eritrei o meticci) e di catechesi ai giovani”. 

Padre Habtemariam ormai si è integrato in Italia. Oltre al suo servizio rivolto alla comunità eritrea collabora con i confratelli cappuccini del convento di viale Piave. “Devo essere sincero – ammette – non ho faticato molto ad ambientarmi. Un po’ perché molte abitudini degli eritrei sono state mutuate dai colonizzatori italiani. Ma anche perché nei conventi ad Asmara e Addis Abeba avevo già convissuto con missionari italiani e conoscevo bene il loro stile di vita : in Italia poi lavoro come in Eritrea: Nel senso che i miei parrocchiani sono tutti eritrei come lo sarebbero in una parrocchia a Keren, Asmara, Massaia, ecc.

Essere qui o là non fa molta differenza: L’unico vero problema è che qui i fedeli sono sparsi in una grande città come Milano. E non sempre è facile tenere i contatti con loro”.

Enrico Casale

Letto 3651 volte Ultima modifica il Venerdì, 22 Dicembre 2006 16:58
Fabrizio Foti

Architetto
Area Mondo Oggi - Rubrica Ecclesiale