I Dossier

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Nelle nostre parrocchie
i semi del dialogo e dell'unità
di Olivo Bolzon




Il dettato della Costituzione europea, ormai definitivo, non include le famose "radici cristiane" che Giovanni Paolo II e tutte le Chiese europee volevano includere. Sembra insufficiente e vago il preambolo che parla genericamente di una spiritualità capace di animare la nuova Europa e dell'art. 51 che proclama la libertà religiosa come bene necessario per la vita del nostro Continente.

Il nostro sguardo di credenti è però ottimista, perché si radica su un'affermazione evangelica che ci pare ancora più forte e impegnativa: « Li riconoscerete dalle loro azioni... Si può forse raccogliere uva dalle spine o fichi da un cespuglio? Se un albero è buono, fa frutti buoni; ma se un albero è cattivo, fa frutti cattivi. Un albero buono non può fare frutti cattivi, così come un albero cattivo non può fare frutti buoni. Ma un albero che non fa frutti buoni si taglia e si butta nel fuoco... Dunque, è dalle loro azioni che riconoscerete i falsi profeti» (Matteo 7,16-20).

L'ecumenismo ci ha abituati a confrontarci con il mondo a partire dall'impegno quotidiano delle Chiese, a riconoscere che la validità del Vangelo è la testimonianza dei credenti e la comunione tra le Chiese. Al di là di quello che può scrivere la Costituzione è importante per la nuova Europa, un nuovo modo di essere delle Chiese, una comunione reale nella celebrazione della Parola e del Sacramento, efficace e capace di mostrare la fraternità di tutti. Interesserà molto alla nostra Europa vedere la vita dei discepoli di Cristo: rendersi conto che le relazioni tra i popoli europei non possono essere fondate solo su impegni economici e commerciali. L'unità non è reale se si regge solo su legami economici, se è impegnata a occupare nuovi mercati, a vincere le varie competizioni tecnologiche. Le Chiese unite possono dare la speranza di realtà umane nuove e più autentiche.

«Proprio ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani» (Atti 11,26). L'Europa che sta nascendo ha bisogno di vedere persone che hanno fiducia, intessono tra loro relazioni di amicizia e sono in grado di mostrare con la vita quanto l'apostolo Pietro ha scritto: «Siate sempre a rispondere a quelli che vi chiedono spiegazioni sulla speranza che avete in voi» (1 Pietro 3,15).

Il cammino ecumenico percorso dalle Chiese ci autorizza a sperare e a vedere segni evidenti di un nuovo futuro. Le "orme ecumeniche" sono segni poveri, facilmente cancellabili, ma testimoniano che qualcosa di nuovo è già nato e crescerà. Non ci riferiamo solo ai grandi incontri come la visita del cardinai Kasper a Mosca nello scorso febbraio che pure ha portato il frutto della creazione di una "Commissione mista cattolico-ortodossa" per studiare e sciogliere i nodi ancora esistenti. È stato un grande evento anche l'abbraccio tra Bartolomeo I e Giovanni Paolo II nella festa dei Santi Pietro e Paolo. Molte però e più modeste sono le realtà che i cristiani d'Europa vivono, e grande il carico profetico che il quotidiano in gesti semplici mostra a tutti. Stiamo inaugurando un nuovo stile di vita, una comunione di fede che supera tante difficoltà esistenti in passato.

Anche nelle nostre parrocchie più tradizionali sarebbe ormai impossibile arroccarsi su affermazioni che erano costume e persuasione nella nostra educazione cattolica. Basterebbe ricordare quanto scriveva nel 1928 Pio XI nell'enciclica Mortalium animos: «Ma dove parvenze di bene ingannano più facilmente parecchi, è quando si tratta di promuovere l'unità fra tutti quanti i cristiani. Si sente ripetere con insistenza che non solo è giusto, ma doveroso e quanti invocano il nome di Cristo si astengano da reciproche recriminazioni e si stringano una buona volta in vincoli di vicendevole carità... Eppure sotto codeste attrattive e lusinghe si nasconde un gravissimo errore che scalzerebbe dalle basi il fondamento della Chiesa cattolica... Risulta quindi evidente, venerabili fratelli il motivo del permanente divieto posto da questa Sede Apostolica ai fedeli di partecipare a riunioni degli acattolici. L'unico modo possibile di favorire l'unità dei cristiani è di agevolare il ritorno dei dissidenti all'unica vera Chiesa di Cristo».

Giovanni Paolo II parla oggi di un cammino ecumenico irreversibile e necessario, di un dialogo tra le Chiese in vista di una visibile unità «perché il mondo creda». Chi accoglie questo grande segno dei tempi rinnova la propria fede e ritrova un'impegnativa appartenenza alla propria Chiesa.

(da Jesus, agosto 2004)


Il fallimento del progetto di Dio
Gn 3-11 e le «strutture di peccato»
di  Gaetano Castello


Proponiamo una lettura dei capitoli 3-11 della Genesi tra i più noti della letteratura biblica, cogliendo alcuni interessi spunti sul dilagare del peccato nel mondo e la sua tendenza ad organizzarsi in «strutture di peccato». Si tratta solo di «spunti» offerti come contributo per una riflessione avvertita, non solo dai credenti, come necessaria ed urgente.

Introduzione



Gn 1-11 costituisce nel suo insieme la grande introduzione alla storia di Israele che, secondo la narrazione biblica, ebbe le sue remote origini nella chiamata di Abramo (Gn 12,1-3). Tesi generale di quei capitoli è che il progressivo allontanamento dell’uomo da dio pone le basi per una alleanza particolare, quella con Abramo, preludio all’Alleanza del Sinai. Si danno insomma le motivazioni per comprendere come mai Dio abbia eletto un popolo proponendogli una alleanza e vivendo con esso un rapporto privilegiato. Questa impostazione deriva dall’intento stesso dei compositori e dei redattori del racconto come risulta dall’osservazione attenta dei due documenti fondamentali che, composti in epoche diverse, sono stati poi raccolti insieme a formare l’attuale narrazione. In ognuno dei due antichi documenti, ricostruiti attraverso l’ausilio della critica letteraria, si intravede questo motivo di fondo benché espresso in maniera diversa.
Gli antichi documenti, detti «Jahvista» e «Sacerdotale», si sono serviti, a loro volta di un materiale preesistente, la cui origine è da ricercare nell’ambiente del vicino oriente antico; si tratta prevalentemente dei cosidetti «miti delle origini», racconti in cui si tentava di chiarire il senso della vita, della morte, dei problemi umani a partire da situazioni archetipe, «originarie». È una maniera pre-scientifica e pre-filosofica, ma non per questo meno vera, di affrontare le grandi domande dell’esistenza.



1. Il peccato come scelta dell’uomo




Proprio dal confronto con miti del vicino oriente antico si coglie il messaggio particolare di cui il testo biblico è portatore: il peccato, in Gn 3-11, non è frutto di una lotta mitica tra gli dei; la miseria e il caos che regnano in tante situazioni umane non vengono attribuiti semplicemente ad una vicenda svoltasi fuori del tempo, su di un piano diverso da quello umano, il piano della divinità. Non si proiettano, insomma, sulle vicende umane le conseguenze di vicende divine. Il campo viene sgombrato da una delle principali componenti dei miti delle origini: quanto di peccaminoso e di disordinato vi è nella storia umana, dipende dalle scelte dell’uomo, ‘ādām.
L’equilibrio Dio-uomo-natura, descritto nel suo insieme dai primi due capitoli della Genesi, è messo in discussione dall’atteggiamento dell’uomo e della donna chiamati, perchè immagine di Dio, ad esercitare la loro responsabilità nel gestire armonicamente quel rapporto. In Gn 3-11 si descrive il dilagare del peccato nella vita umana a causa del rifiuto da parte dell’uomo di vivere responsabilmente i rapporti col suo creatore, provocando, nel contempo, rapporti squilibrati degli uomini tra loro e con la natura. Questo motivo centrale, su cui la tradizione ebraica e cristiana ha continuamente riflettuto a partire dal concetto di peccato e di responsabilità «personali», ha un risvolto non meno importante rappresentato dal dilagare del peccato nell’organizzazione stessa della vita umana, nella civilizzazione del mondo e nella cultura. È l’altra faccia di quella eredità del peccato di cui parla S. Paolo (Rm 5,12-14).



2. L’istinto del «mangiare»




La caduta di Adamo ed Eva (Gn 3), originata dalla trasgressione dell’ordine divino di non mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male, viene rappresentata significativamente dall’atto quotidiano e vitale del «mangiare». Il verbo ‘ākal, che ricorre insistentemente nella narrazione, scandisce le varie fasi della storia del primo peccato dell’uomo. Richiamati dalla voce del serpente, Adamo ed Eva rinunciano a gestire responsabilmente la propria libertà escludendo dall’orizzonte della scelta il creatore e il suo divieto. Si tratta del trionfo dell’istinto che però finisce per compromettere non solo i rapporti tra gli uomini ed il creatore ma anche i rapporti dei due tra loro e con il creato. L’albero della conoscenza, come tutto il resto, viene ordinato semplicemente a soddisfare l’istinto del mangiare, un istinto non negativo in se stesso (2,16) ma da controllare perché non si trasformasse nell’incontrollabile spinta a «divorare» indistintamente quanto si presentava deisderabile. La prima conseguenza del gesto viene annotata con poche ma significative parole nel v. 7: Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
Con una conclusione che in parte rende ragione alle promesse del serpente «si aprirono loro gli occhi», si mette immediatamente in evidenza la scoperta della nudità che, diversamente da un’interpretazione di tipo sessuale spesso associata alla nudità ed allo stesso peccato originale, indica la vulnerabilità. Si tratta qui di una conoscenza non individuale ma sociale. Il bisogno di protezione dell’uno nei confronti dell’altro ha ragione di essere proprio per quanto accadrà nella seconda scena del racconto (3,8-13) in cui l’uomo scaricherà la sua responsabilità sulla donna e questa sul serpente.
Il bisogno di coprirsi di fronte all’altro diventa bisogno di nascondersi davanti a Dio: Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (3,9-10).
Il testo indica come effetto primario della trasgressione non tanto il sentimento più ovvio del rimorso, della colpa, quanto il percepire l’altro come potenziale nemico avvertendo la propria vulnerabilità.
Alla descrizione della caduta (vv. 1-7) e all’indagine divina (vv. 8-13), segue la terza scena (vv. 14-19), la sentenza di Dio, in cui con le maledizioni divine si evidenziano le conseguenze della trasgressione. Si osservi innanzitutto che la maledizione di Dio è relativa esclusivamente al serpente ed al suolo mentre per l’uomo e la donna si esplicitano le conseguenze frutto della nuova situazione creatasi: rapporto di dominazione tra l’uomo e la donna (v. 16), e disarmonia tra l’uomo e la terra (vv. 17-19):
Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per casa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!».
La scelta di farsi guidare dall’istinto del mangiare ha come effetto immediato la configurazione di nuovi rapporti. Il bisogno di coprirsi risponde, come conseguenza del peccato, all’appetito del serpente di colui che mangia. L’altro è non più ‘ezer «aiuto», «alleato» (2,18) ma il possibile aggressore. Tale conseguenza si rende evidente nel tipo di rapporto che si configura tra la donna e l’uomo al v. 16: «... Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». Il termine ebraico te šûqāh tradotto con «istinto», è da intendere come desiderio di impadronirsi di una persona. Il dominio (radice ebraica YRD) che nel primo capitolo si riferiva alla superiorità dell’uomo sulle altre specie viventi (1,26.28), entra nel rapporto uomo-donna rendendo ambigua la stessa struttura familiare come vissuta nei secoli ed esperita in molti casi anche oggi.
La seconda alterazione avviene tra l’uomo ‘ādām e la terra ‘ādāmāh da cui l’uomo è stato tratto e a cui è destinato. Il rapporto con la terra, precedentemente descritto nei termini pacifici del  1coltivatore e custodire» (2,15), diventa teso. Vi è quasi una resistenza della terra nell’offrire all’uomo i suoi frutti, un uomo guidato dall’istinto del mangiare, di appropriarsi di ciò che stimola il suo appetito. Ritroveremo questa problematica al termine del racconto del diluvio, in cui si registra la trasformazione ormai avvenuta nel rapporto tra l’uomo e il mondo animale, un rapporto connotato dal timore e terrore del bestiame nei confronti dell’uomo (9,1-4).
Il peccato, la rinuncia ad esercitare la responsabilità di fronte all’Altro , al Creatore, ha generato una alterazione dei rapporti uomo-donna e uomo-natura attraverso il dominio dell’istinto del «mangiare», di impossessarsi di ciò che appare «buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile» (3,6). Siamo qui all’origine non solo del peccato dell’uomo come singolo individuo, ma all’origine di un modo sbagliato di stabile i rapporti tra le persone e con il mondo. È a partire da questa logica che la prassi di dominio dell’uomo sulla donna, finisce per assumere una funzione strutturale, trasmessa cioè dalle istituzioni culturali, economiche, religiose, dai comportamenti sociali. Il racconto della Genesi con il suo invito a meditare sull’«origine» dell’umanità, tende a stimolare una rinnovata coscienza del rapporto autentico tra uomo e donna, e più generalmente tra le persone, per fondare una prassi di vita critica rispetto ai presupposto stessi delle «strutture» umane.
L’atteggiamento «divoratore» nei confronti della terra richiederà degli interventi limitativi di Dio (9,4), laddove non è risultato sufficiente l’appello alla responsabilità. Si tratta anche qui di una logica che fonda una prassi generatrice di «strutture di peccato», atteggiamenti che cioè si strutturano nell’agire sociale, nella cultura tanto da non tendere più immediatamente percepibile la responsabilità del singolo. Proprio nello squilibrio tra l’uomo e la natura, nell’atteggiamento «divoratore» non del singolo ma di modi di organizzare la società e di soddisfare i suoi crescenti bisogni, si assume oggi, drammaticamente, la consapevolezza di come il peccato dell’uomo «divoratore» abbia assunto dimensioni sovra-personali, appunto «strutturali».



3. Il dilagare della violenza




Due testi in particolare ci aiutano ad approfondire la nostra ricerca: la storia di Caino e della sua discendenza e la storia del diluvio.
La narrazione famosa del primo omicidio della storia, che non a caso si configura come fratricidio mettendo in luce la comune «origine» degli uomini, viene solitamente considerata nel suo valore esemplare, e non senza ragione, per la descrizione della dinamica della violenza nel rapporto tra gli uomini su cui si è riflettuto solitamente a partire dalla responsabilità personale. Ma la storia di Caino, il personaggio principale della narrazione, continua con la storia della generazione che con lui ha inizio: Ora Caino si unì alla moglie che concepì e partorì Enoch; poi divenne costruttore di una città, che chiamò Enoch, dal nome del figlio. A Enoch nacque Irad... e Metusaél generò Lamech. Lamech si prese due mogli: una chiamata Ada e l’altra chiamata Zilla. Ada partorì Iabal: egli fu il padre di quanti abitano sotto le tende presso il bestiame. Il fratello di questi si chiamava Iubal: egli fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto. Zilla a sua volta partorì Tubalkàin, il fabbro, padre di quanti lavorano il rame e il ferro (4,17-22).
Caino è il costruttore della prima città, posto cioè alla base della società umana. Non solo. Viene espressamente detto dal testo che dalla sua discendenza ha origine, nel suo complesso, la civiltà umana e la sua ossatura economica: la vita pastorale (4,20), la musica (4,21), la metallurgia (4,22). Tutta la civiltà porta il peso della colpa di Caino.
Non a caso padre di coloro che si specializzeranno nelle diverse arti è Lamech, discendente di Caino, di cui viene proposto il modo di pensare, la logica del suo comportamento, attraverso un canto, il secondo della Bibbia dopo quello della gioia di Adamo per la creazione di Eva (2,23):
Lamech disse alle mogli:
«Ada e Zilla, ascoltate la mia voce;
mogli di Lamech, porgete l’orecchio al mio dire:
Ho ucciso un uomo per mia scalfittura
E un ragazzo per un mio livido.
Sette volte sarà vendicato Caino
Ma Lamech settantasette» (4,23-24)
La logica che guida l’agire dell’uomo nella società che da Caino è nata è quella espressa da Lamech nel suo orgoglioso canto della violenza (Ho ucciso per una scalfittura e per un livido) moltiplicata (settantasette colte).
È utile considerare, sia pure brevemente, le principali caratteristiche dell’omicidio commesso da Caino, in cui si ritrovano le scelte che hanno per così dire ispirato, sostenuto, al di là di Caino stesso il dilagare la violenza.
La narrazione della vicenda offre poche informazioni sui personaggi, vengono messe però in risalto le differenze che caratterizzano i due «fratelli»:
Poi (Eva) partorì ancora suo fratello Abele. Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo (4,2).
Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso... (4,3-4).
La prima differenza è culturale. Indicando i due diversi lavori il testo richiama la distanza esistente tra il mondo agricolo e quello pastorale, due occupazioni dietro le quali si configura una diversa organizzazione della vita.
La seconda differenza, che scaturisce immediatamente dalla prima, è cultuale: l’offerta caratterizza il tipo di culto, diverso evidentemente nelle due culture, quella agricola e quella pastorale.
Il dramma ha inizio proprio da questa differenza tra «fratelli», una differenza messa in evidenza nella diversa accoglienza dell’offerta da parte di Dio. Da sempre la domanda sul motivo che Dio avrebbe avuto per prediligere un’offerta e non l’altra, è stata al centro dell’attenzione dei lettori. Il testo non si preoccupa di offrire una motivazione convincente, indica invece con chiarezza il punto di partenza della vicenda: la differenza. E in ultima analisi è proprio questa «differenza» non accettata che crea la crisi di fronte alla quale Dio interviene stimolando Caino alla riflessione, a prendere le distanze rispetto al pericolo di cedere ad un comportamento istintivo, tendente a eliminare la differenza (4,6-8).
AI rifiuto della differenza fa seguito, nella dinamica innescatasi in Caino, il rifiuto della responsabilità che nasce direttamente dal suo essere il «fratello». Non a caso il termine «fratello» è ripetuto sette volte nei versetti 1-11 tanto da costituire il filo conduttore del testo. Nella sua risposta Caino non solo mente dicendo di non sapere dove sia Abele, ma giustifica la menzogna rifiutando la responsabilità che deriva dall'esserne «fratello», una responsabilità molto più sentita in un tempo in cui l'istituto familiare costituiva il riferimento principale se non esclusivo per la sicurezza dell'individuo di fronte ad un mondo minaccioso ed agli inconvenienti della vita. Rifiuto della differenza e rifiuto della responsabilità di «fratello» costituiscono, in maniera diversa, i due momenti tragici che motivano e giustificano il primo gesto violento dell'umanità. Con Lamech, come abbiamo visto, questa logica della violenza viene posta esplicitamente alla base di un agire che viene ad iscriversi, benché non deterministicamente, nello stesso sviluppo della società umana.
L 'alterazione prodotta dall'azione di Caino viene segnalata sia nella conclusione del testo con il nuovo tipo di rapporto che si stabilisce tra Caino ed il suolo (4,12), sia nella minaccia di violenza che viene da chiunque incontrerà Caino (4,14).
Che la «logica della violenza» riesca a costituire un vero e proprio modo di vivere guidando e giustificando atteggiamenti comuni ad essa ispirati, appare evidente sia dal testo di Lamech, già considerato, sia, più avanti, dall'amara constatazione divina circa il dilagare di corruzione e violenza sulla terra (6,5.12.13).



4. Babele, la «porta del cielo»



Nel racconto umoristico della «torre di Babele» (Gn 11,1-9) la tecnica costituisce il nuovo supporto di una società che si organizza con l'intento di distinguersi dagli altri popoli: Si dissero l'un l'altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra» (11,3-4).
La volontà di distinguersi, «facciamoci un nome», è associata alla pretesa capacità di raggiungere il cielo. La torre di Babele diventa così la grande metafora dell'orgoglio dell'uomo civilizzato, sostenuto dall'idea che il progresso tecnico sia la chiave per «raggiungere il cielo». L 'intervento di Dio (vv. 6-9), la sua punizione, consiste non a caso nella dispersione, nella differenziazione che si esprime con la molteplicità delle lingue.
Distinguersi dagli altri popoli in virtù delle capacità tecniche alle quali è affidato il senso della riuscita umana, della risposta all'aspirazione umana verso l'Infinito rappresenta, sul-
la base del racconto genesiaco, un aspetto della logica del peccato animatrice di strutture di peccato.



Conclusione



Abbiamo indicato alcune piste di riflessione offerte da Gn 3, 11 sulla diffusione di logiche di peccato che tendono a diffondersi ed organizzarsi in strutture sovra-personali, vere e proprie «strutture di peccato». Senza nulla togliere al carattere personale del peccato (la sua origine demoniaca e l'aspetto individuale), ci sembra che il testo della Genesi suggerisca all'uomo una visione disincantata del mondo e delle strutture nelle quali egli si trova ad operare. La logica del peccato che nel racconto di Caino viene a configurarsi come logica della violenza, non solo si trasmette (Caino -Lamech -generazione diluviana) coinvolgendo in maniera sempre più anonima e generale gli uomini, ma viene amplificata dall’agire individuale, dal contributo del singolo (Lamech).
Rispetto a questa constatazione, intraprendere vie diverse, rispettose dell’equilibrio originario voluto dal creatore (Set, Noè... Abramo), costituisce una possibilità per l’uomo, una possibilità concessa in maniera definitiva da Gesù Cristo.
Sono molti i richiami storici e anche di attualità che ci inviterebbero a proseguire su questa pista di riflessione. Si pensi, per es., alle strutture economiche del mondo capitalistico che sovrastano l’individuo, rendendolo partecipe di meccanismi che esigono, a livello sovra-personale, quel rifiuto delle differenze e della fraternità in nome dell’esigenza «divoratrice» del capitale.
Una campo fecondo per una riflessione etica, già avviata in questo senso e che può trovare, ci sembra, un utile supporto in Gn 3-11 in vista di un impegno più incisivo del singolo e della comunità dei credenti in dialogo con gli uomini di buona volontà.

(da Parole di vita, 2, 2004)



Le Chiese dell'oriente cristiano
I. La chiesa assira dell’est o d’oriente
di Mervyn Duffy




Non è conosciuto esattamente  il tempo in cui il cristianesimo  ha messo le  radici nella Mesopotamia superiore, ma una presenza cristiana certamente vi era già  presente   a meta’ del II secolo. Nel terzo secolo, la zona fu conquistata dai persiani. Anche se ciò doveva farne una chiesa multi-etnica la gente assira tradizionalmente ha svolto un ruolo centrale nella relativa vita ecclesiale. La relativa posizione geografica l’ha condotta  ad essere conosciuta semplicemente come "la chiesa dell'est."

Intorno all'anno 300, i vescovi  sono stati organizzati in una struttura ecclesiastica sotto la direzione di un Catholicos, il vescovo del capitale reale persiana a Seleucia-Ctesifonte.  Questi successivamente ricevette anche il titolo  aggiunto di Patriarca.

Nel quinto secolo, la chiesa dell'est ha gravitato verso la forma  Antiochena di  Cristologia che era stata formulata da Teodoro di Mopsuestia e da  Nestorio  rompendo così la comunione con la chiesa nell'impero romano. Ciò fu dovuta in parte all'influsso significativo dei cristiani nestoriani della Persia ed avvenne dopo la condanna del cristologia di Nestorio  durante il Concilio di Efeso nel 431 ed in seguito all'espulsione dei nestoriani dall'impero romano ad opera dell’Imperatore Zenone (474-491). In più, i cristiani persiani presero le distanze dalla chiesa ufficiale dell'impero romano, perchè con esso la Persia era frequentemente alla guerra. In questo modo potettero vivere e professare la loro fede cristiana evitando di essere sospettati di essere dei collaboratori dell’impero romano

I Sinodi assiri del V secolo stabilirono delle norme ecclesiastiche, ad esempio il celibato non era obbligatorio per nessun membro del clero, neanche per i vescovi, per cui molti vescovi e patriarchi sono stati sposati finche’ nel VI secolo fu presa la decisione di ordinare vescovi soltanto i monaci che erano ovviamente celibatari. Ai preti tuttavia fu sempre permesso sposarsi anche dopo l’ordinazione.

La Chiesa assira dell’est è sempre stata una minoranza nella Persia zoroastriana, ma per molti secoli e’ stata fiorente  anche negli studi grazie alla famosa scuola di Nisibi. Ha avuto anche una grande  espansione missionaria  che l’ha portata fino in India, in Cina, in Tibet, in Mongolia
Ciò è continuato anche dopo la conquista della  Mesopotamia da parte degli arabi nel VII secolo  Il Patriarcato fu spostato a Bagdad dopo il 766. 

Nel 1318 vi erano ancora circa 30 sedi metropolitane con circa  200 diocesi suffraganee. Ma durante le invasioni di Tamerlano verso la fine del quattordicesimo secolo, questi cristiani furono quasi distrutti e nel  sedicesimo secolo erano  ridotti ad una piccola comunità di assiri in  quella che  ora è la Turchia orientale.  un ulteriore indebolimento di questa chiesa derivò anche dalla nascita della chiesa cattolica caldea .

Durante la prima guerra mondiale,  gli assiri  soffrirono molto a causa delle deportazioni e dei grandi massacri operati dai Turchi che li sospettavano di simpatie e di collaborazione con il nemico britannico Circa un terzo della popolazione assira fu sterminato. La maggior parte dei superstiti  fuggì  verso il sud in Iraq, sperando di essere protetta dai britannici. Ma nel 1933, terminato il mandato   britannico in Iraq, un disaccordo fra le truppe dell'Iraq e gli assiri si concluse con un altro massacro e con una dispersione ulteriore della Comunità. Le autorità irachene allora privarono il patriarca assiro  Mar Simon XXIII della sua cittadinanza e lo espulsero, così che dovette andare in esilio a San Francisco, California,  U.S.A.

Nel 1964 una disputa nacque  all'interno della chiesa, a causa della decisione di Mar Simon  di adottare il calendario gregoriano. Ma il problema reale era la persona di Mar Simon e l’antica pratica secolare con cui era stato scelto. Dal 1450, l'ufficio del patriarca e qualche altra sede vescovile erano diventato ereditarie  per alcune famiglie, solitamente trasmettendo la carica da zio a nipote Ciò aveva prodotto spesso dei pastori incompetenti essendo stati spesso scelti in eta’ troppo giovanile: Mar Simon stesso era stato scelto all'età di 12 anni. I dissidenti inoltre  sostenevano che fosse indispensabile che il Patriarca vivesse in Iraq con la sua comunita’

Gli oppositori di Mar Simon erano sostenuti  da Mar Thomas Darmo, il metropolita assiro dell'India. Questi nel 1968 si recò dall'India a Bagdad e vi ordinò tre nuovi vescovi. In tale occasione il Sinodo lo elesse Patriarca contro Mar Simon. Mar Thomas Darmo morì durante l’anno  seguente ed il suo successore fu Mar Addai di Bagdad.

Ma nel 1973  Mar Simon  si dimise dall’ufficio patriarcale e si sposò. Poichè  non fu possibile trovare un accordo sulla persona del successore, i vescovi assiri in comunione con lui tentarono di persuaderlo a riprendere il suo ufficio malgrado la sua unione coniugale. Ma durante queste trattative, il 6 novembre 1975, Mar Simon fu assassinato a San Jose, in California. Il vescovo di Teheran, Iran,  fu scelto come patriarca nel 1976  e prese il nome di Mar Dinkha IV.  Risiede  negli Stati Uniti.


L’elezione di Mar Dinkha ha indicato chiaramente che l’epoca della dinastia patriarcale si è infine conclusa. Ciò ha rimosso il motivo principale dello scisma  fra i due gruppi e, anche se la ferita non è ancora completamente rimarginata, le riunioni recenti fra i vescovi delle  due parti sembrano realizzare  progressi notevoli verso la soluzione della disputa. Attualmente la parte di Mar Dinkha ha undici vescovi e la parte di Mar Addai ne ha cinque .

Nel luglio 1994, in Australia, il Santo Sinodo Assiro prese un certo numero di decisioni importanti riguardo alla vita della Chiesa.  I vescovi hanno creato una commissione per le relazioni intraecclesiali e sullo sviluppo di formazione sotto la guida  del vescovo Bawai Soro per prepararsi  ai dialoghi teologici con  le altre chiese e per sviluppare la programmazione nella formazione religiosa. Il Sinodo ha inoltre stabilito ufficialmente la residenza del patriarca a Morton Grove, Illinois, USA.

Una pietra miliare nei rapporti con la chiesa cattolica è stata posta  il giorno 11 novembre 1994, quando Mar Dinkha IV e papa Giovanni Paolo II hanno firmato una dichiarazione comune di cristologia in Vaticano.
La dichiarazione afferma che i cattolici e gli assiri  "sono uniti oggi nella confessione della stessa fede nel Figlio di Dio..." e prevede una vasta cooperazione pastorale fra le due chiese, particolarmente negli ambiti della catechesi e nella formazione dei  futuri preti. Il papa ed il patriarca inoltre hanno istituito un comitato misto per il dialogo teologico e lo hanno incaricato di studiare il possibile superamento degli ostacoli che ancora impediscono la comunione completa. Il comitato ha iniziato i suoi incontri annuali nel 1995.

Questo dialogo teologico internazionale tra Chiesa Assira e Chiesa Cattolica ha prodotto  un miglioramento dei rapporti fra la Chiesa Assira dell'est e le relative controparti cattoliche, in particolare con la Chiesa Cattolica Caldea. Nel novembre 1996  Mar Dinkha IV ed il patriarca caldeo Raphael I Bidawid, recentemente scomparso, si sono incontrati  a  Southfield, nel Michigan ed hanno firmato una dichiarazione congiunta per lavorare verso una reintegrazione di rapporti e per un impegno di cooperazione pastorale, quali la progettazione di un catechismo comune, la creazione di un seminario comune nella zona di Chicago-Detroit, la conservazione della lingua aramaica ed altri programmi pastorali comuni di cooperazione fra le parrocchie e fra le diocesi  nel mondo. E’ stato ad esempio deciso  che i fedeli assiri possono partecipare alle liturgie
caldee e viceversa  nei casi in cui, gli uni o gli altri,  mancassero di sacerdoti del proprio rito.


Il 15 agosto 1997, i due patriarchi si sono ancora incontrati a Roselle,  nell’Illinois  ed hanno ratificato "Un Decreto Sinodale congiunto per la Promozione dell'Unità," che è stata firmato dai membri di entrambi i Sinodi. Il Decreto ha ridefinito le aree della cooperazione pastorale previste nella dichiarazione patriarcale congiunta, ha stabilito che Assiri e Caldei debbono riconoscere vicendevolmente come legittime le diverse prassi delle due chiese, hanno formalmente istituito  una “Commissione  Assiro Caldea per l’Unità," e dichiarato di riconoscere reciprocamente la successione apostolica, i sacramenti e la testimonianza cristiana dell'altro. Il testo  ha inoltre espresso le preoccupazioni fondamentali di entrambe le parti nel dialogo. Entrambe le chiese hanno desiderato conservare la lingua e la cultura aramaica,  Ma gli Assiri ritengono di voler conservare pienamente la loro libertà e l’autogoverno mentre i Caldei hanno affermato la necessità di  stabilire la piena comunione con Roma.

Nel 1997 è stato annunciato che la chiesa Assira dell’est e la della chiesa Ortodossa Siriaca avevano deciso di creare un dialogo teologico bilaterale, e come gesto  per promuovere  rapporti migliori con le chiese ortodosse orientali, il Santo Sinodo Assiro ha deciso nel  1997 di rimuovere dalla sua liturgia tutti gli anatemi  diretti contro altri cristiani.

Anche se gli Assiri accettano soltanto i primi due consigli ecumenici, le discussioni ecumeniche recenti  tenute sotto gli auspici della fondazione Pro Oriente  hanno concluso che in sostanza la fede della chiesa Assira è in accordo con l'insegnamento cristologico del Concilio di Calcedonia (451).

La chiesa  aderisce ufficialmente alla terminologia cristologica antiochena , secondo cui in Cristo ci sono  due nature e due qnoma ( un termine siriano che non ha l’equivalente nel greco ) in una persona.  Il  sinodo dei  vescovi assiri ha chiesto di non chiamare nestoriana la loro chiesa, poiché questo termine è stato usato in passato in senso offensivo.

Il rito siriaco orientale della Chiesa Assira sembra essere uno sviluppo indipendente dell’antica liturgia siriaca  di Emessa e conservare anche degli elementi di un rito persiano antico che è andato perduto. I servizi liturgici sono celebrati principalmente  in siriaco.

In America del Nord, il Patriarca risiede nella zona di Chicago a Morton Grove, nell’Illinois. Mar Aprim Khamis è vescovo degli Stati Uniti orientali ed inoltre amministra le parrocchie degli Stati Uniti occidentali. Mar Bawai Soro  mantiene  la supervisione episcopale di due parrocchie anglofone situate a Seattle, Washington ed a Sacramento, in California.

Complessivamente ci sono 16 parrocchie nel paese. Mar Emmanuel Joseph è vescovo del Canada, dove sono quattro parrocchie e due missioni . Gli Assiri, in Australia ed in Nuova Zelanda,  hanno tre parrocchie e due missioni, che fanno riferimento a  Mar Meelis Zaia.  Vi è inoltre una parrocchia assira  a Londra sotto la giurisdizione di Mar Odisho Oraha, che risiede in Svezia.

NAZIONI IN CUI E’ PRESENTE IL RITO ASSIRO: Iraq, Iran, Siria, Libano, America del Nord, Australia, India

PATRIARCA: Mar Dinkha IV (nato 1935, scelto 1976)
Titolo: Catholicos-Patriarca della Chiesa dell'Est
Residenza: Morton Grove, Illinois, U.S.A.
Cristiani assiri: 400.000

WEB SITE: http://www.cired.org

Giovedì, 02 Dicembre 2004 00:17

Introduzione (Mervyn Duffy)

Le Chiese dell'oriente cristiano

Introduzione
di Mervyn Duffy


Molti cristiani occidentali sono meravigliati  dalla complessità dell'est cristiano, che in effetti appare come un conglomerato, poco chiaro, di chiese nazionali e di giurisdizioni etniche, questa perplessità ovviamente riguarda una mentalità occidentale e cattolico-romana. Lo scopo di questa esposizione è quello di  fornire una descrizione  delle chiese orientali a delle persone ne’ specialiste, ne’ competenti nel settore.

Ogni chiesa sarà considerata nel suo contesto storico, geografico, dottrinale e liturgico.  Con un particolare riguardo per i territori anglofobi, perché negli anni, vicissitudini complesse hanno portato molti cristiani di rito orientale ad emigrare.

La parola chiave che sarà usata in questo libro per parlare delle chiese sarà quella di “COMUNIONE”. Descriveremo cioè essenzialmente i gruppi di chiese che sono in completa comunione tra loro.

Questo metodo prenderà in considerazione  quattro distinte COMUNIONI di cristiani orientali separati:
(1) La chiesa Assira dell'est, che non è  in   comunione con  altre chiese;

(2) Le sei chiese ortodosse orientali, che, anche se ciascuna è indipendente, sono in comunione  completa tra loro;

(3) La chiesa ortodossa, che è una comunione di chiese nazionali o regionali, che riconoscono il patriarca di Costantinopoli come punto di unità e che gode di determinati diritti e privilegi; 

(4) Le chiese cattoliche orientali, che sono  in comunione con la chiesa di Roma e con il suo Vescovo, il Papa. L'ordine in cui queste quattro comunioni sono elencate non è di particolare importanza; riflette soltanto la sequenza cronologica in cui sono emerse come entità distinte.
Unica eccezione  al principio della comunione per la classificazione delle chiese è  costituita dalle chiese ortodosse di condizione irregolare. Le abbiamo incluse come sottocategoria della chiesa ortodossa, ma non sono in comunione completa con essa. Tutte sono di origine ortodossa, ma oggi l'ortodossia le considera come non completamente scismatiche ma anche come non canoniche.

Questa presentazione non è e non vuole essere di parte quindi non prende posizione sui  problemi sospesi e non chiariti tra le varie chiese.

Ad esempio abbiamo elencato le chiese nell'ordine riconosciuto dal Patriarcato di Costantinopoli e dalla maggior parte delle altre chiese ortodosse ed abbiamo aggiunto la chiesa ortodossa d’ America, che è stata riconosciuta come autocefala dal Patriarcato di Mosca ma non da quello di Costantinopoli I quattro patriarcati antichi sono seguiti dai cinque patriarcati di origine più recente e poi  dalle altre chiese autocefale che non hanno il rango di patriarcato.

Una parola deve dirsi circa la condizione della Chiesa Ortodossa d’America (OCA), che abbiamo incluso fra le chiese ortodosse autocefale. Ma Costantinopoli e la maggior parte delle altre chiese ortodosse non riconoscono l'OCA come autocefala. perciò non può partecipare ad attività come i dialoghi internazionali con altre chiese cristiane. Tuttavia, funziona come chiesa autocefala e la  sua ammissione al congresso permanente americano dei vescovi ortodossi canonici indica che ha raggiunto un qualche livello di legittimità tra altre chiese ortodosse negli Stati Uniti.  Abbiamo incluso questa chiesa fra le chiese ortodosse autocefale, con una descrizione della polemica circa la situazione, ma senza prendere posizione.

Le statistiche  dei membri  di queste chiese devono essere trattate con grande attenzione. Molte chiese orientali esistono in zone dove nessun censimento è stato effettuato o dove   una indagine statistica sui membri di quella chiesa potrebbe avere implicazioni politiche esplosive.
Alcuni dati statistici sono stati tratti dai dati in possesso del Consiglio Mondiale delle Chiese, altri dalla Enciclopedia  “Cristiani nel Mondo”, altri dall’Annuario Pontificio .
.

Ma che cos'è questo stress di cui tanto si parla? Sostanzialmente si tratta di un adattamento "forzato" dell'organismo (e della mente) a sollecitazioni particolarmente forti ed intense che provengono dall'ambiente esterno.

Spiritualità Marista 

di Padre Franco Gioannetti
 




Ventisettesima parte

Per poter scrivere del Carisma Marista è necessario iniziare facendo riferimento al Concilio Ecumenico Vaticano II.

Infatti questo ha riconosciuto alla vita religiosa nella Chiesa il ruolo di segno profetico (vd. Perfectae Caritatis 1a, 12a, 13a); quindi allo stato di vita religiosa spetta un carattere particolare di segno (vd. Lumen Gentium IV 31b (ed esso è un carisma conferito da Dio alla Chiesa (vd. Lumen Gentium II 12,13).

Questo Carisma fondamentale si specifica poi nella grande famiglia delle Congregazioni religiose secondo accenti diversi ed esperienze diverse.
Ma in base a cosa avviene questa specificazione?

In base al legame della singola congregazione con il mistero della Chiesa ed alla sua funzione di rivelare al mondo un aspetto della santità inesauribile di Cristo.

Quindi il Carisma è l’intuizione profonda donata dallo Spirito Santo al fondatore di una congregazione religiosa unitamente al discernimento della fede per comprendere le esigenze del vangelo.

Cercheremo dunque di prendere in esame delle espressioni del P. Colin che ci permettano di esplicitare il Carisma Marista.


L'incarnazione, la presenza di Dio fra gli uomini non finisce con la vicenda terrena di Cristo. "Divinizzazione" è una parola con la quale i Padri della Chiesa hanno espresso la loro convinzione che «se Dio si è fatto uomo è perché l'uomo diventasse Dio».

Il dialogo interreligioso
Tante note per una sinfonia
Intervista a Raimon Panikkar





AHN: Come condirettore del Parlamento delle Religioni, che bilancio traccerebbe del dialogo interreligioso?
Raimon Panikkar: In primo luogo, ho il vantaggio di essere stupido e di conseguenza di non fare bilanci. Tutto si può "bilanciare" positivamente e negativamente, sottolineando una cosa o un’altra. Tutto il mondo è paese. Ma, tutto sommato, il bilancio non è negativo.
Dal punto di vista sociologico, anzi, è molto positivo. Finora abbiamo vissuto sempre più in compartimenti stagni. Si parla molto di globalizzazione, ma non di un incontro umano di una certa profondità.
La mia critica è che non si è ancora arrivati dove io avrei voluto che si arrivasse: a un incontro, non solamente di cuore, cordiale, ma umano in senso profondo, di menti e cuori allo stesso tempo. Non per dire tutti le stesse cose, ma per comprendersi e amarsi con un po' più di intelligenza e di profondità. Non si tratta di una concordia esterna. Non andiamo a parlare solo perché l'altro non dispone di armi atomiche e non intende distruggermi, si tratta di qualcosa di più.
A mio modo di vedere, questo qualcosa di più non è uniformità, ma la possibilità di godere dell'arcobaleno. Io non voglio che il verde sia rosso né che il rosso sia giallo, ma voglio poter godere della sinfonia di colori anziché di una melodia monocolore. Il fatto è che, lo vogliamo o no, siamo ancora monoculturali, soprattutto l'occidente. Non si può essere multiculturali, cioè essere al di sopra di coloro che hanno una sola cultura. Bisogna essere interculturali, cioè aprirsi alla fecondità mutua tra gli uni e gli altri. La metafora è duplice, spirituale e sessuale. Io posso apprendere molto dall'altro, sempre che io permetta anche all'altro di fecondarmi e apprendere da me. C'è una certa inculturazione tra coloro che vogliono apprendere molto dagli altri, per essere migliori di loro. Ma il movimento deve prodursi in entrambe le direzioni perché ci sia una vera comunicazione.
E di questo si stanno ponendo le basi. Perché, avendo toccato il fondo, siamo arrivati a un punto in cui appare chiaro che così non si può continuare. Questa è la mia opinione paradossalmente ottimista. Non è uguale litigare prendendosi a pugni o farlo con le bombe atomiche. Se non cambiamo, presto o tardi arriveremo a questo. E poiché siamo disposti solo a porre cataplasmi, palliativi e iniezioni di acqua fresca, non arriviamo al fondo delle cose. Ma il mondo sì che ha toccato il fondo. La riforma non serve, bisogna realizzare una trasformazione (metamorfosi, in greco) e aiutare la gente a prendere coscienza del fatto che con i palliativi non si va da nessuna parte.
Se il rimedio deve essere efficace, ci deve coinvolgere completamente. E, a volte, non siamo disposti a correre il rischio. Predicare sì, sappiamo farlo d'avanzo. Ma essere l'incarnazione di quello che predichiamo, cioè lasciar da parte tutte le sicurezze, già è più difficile. Siamo ossessionati dalla sicurezza ma, per valutare l'importanza delle idee, bisogna assumere i rischi. 'Il signore delle Carte', Cartesio, era ossessionato dalla ricerca della verità. Ma oggi, dall'ossessione di Cartesio per la certezza, siamo passati alla patologia della sicurezza, che ci rovina la vita. Bisogna correre il rischio di essere vulnerabili. Puoi portare un pugnale nascosto per uccidermi o avere qualsiasi altra intenzione occulta, ma se io sono sospettoso dall'inizio non esiste più relazione umana. Senza fiducia, non si può essere felici.

AHN: Si è riusciti a generare questa fiducia qui nel Forum, nel Parlamento delle Religioni?
RP: C'è molta simpatia, c'è scambio di conoscenze. Quando ho cominciato a difendere l'Islam, molta gente ha riconosciuto che da questa religione non c'è da temere tanto. Si è rotto una specie di tabù e molti fraintendimenti sono caduti. Gli stessi cattolici si sono resi conto che non ogni cattolico deve essere inclusivista, si può essere cattolici senza aver questo atteggiamento. Io credo che si sia ottenuto abbastanza, ma mi piacerebbe passare dal sociologico al metafisico.

AHN: Assenze significative come quella del Dalai Lama crede che lancino un messaggio al Parlamento delle Religioni?
RP: Non c'è male da cui non venga un bene. Il Dalai Lama è un mio intimo amico. L'ho conosciuto nel 1959 in un piccolissimo paese accanto a Benares (una delle sette città sacre della religione hindù, presso il Gange), come piccolo monaco buddista. Quando venne qui, 10 anni fa, tutti volevano conoscerlo, perché emana una grande luce, e alla fine l'ho presentato io, che non sono nessuno...

AHN: Negli incontri delle e sulle donne del Parlamento, in cui c'è un grande scambio di energie, si notano tutte le differenze rispetto agli incontri maschili in cui si parla in modo solenne. Quanto è necessario secondo lei il contributo femminile alla soluzione dei problemi di questo mondo?
RP: Provengo, per parte di mio padre, da una società millenaria in cui comandano le donne. E, per me, la cosa più importante è che le donne non imitino gli uomini. Una donna indigena mi disse molto tempo fa che provava compassione per gli uomini, che avevano lasciato alle donne la cosa più importante che è la casa e la famiglia, mentre loro si dedicavano solo al lavoro. Ma nella società attuale questo non funziona, perché le donne hanno voluto imitare gli uomini e lavorano anche loro.
È necessario sviluppare l'aspetto femminile di ogni uomo. Gli uomini non posso monopolizzare la mascolinità, tutti siamo maschi e tutti abbiamo la metà dei cromosomi femminili. Non possiamo diventare uguali, dobbiamo confrontarci. La complementarità deve essere pacifica e amorevole. Al momento, abbiamo una società ad egemonia maschile. Ed ecco vediamo dove stiamo andando. Non credo nella competizione tra donne e uomini, perché nelle circostanze attuali sono le donne che perderanno. Questo non porta da nessuna parte. C'è bisogno di un'altra cosa: la complementarietà, l'amore...
Questo nuovo stile di vita necessita del contributo femminile, ma non solo quello della donna. Ci sono donne maschiliste. C'è una specie di razzismo sessuale (non di genere, che è un'invenzione linguistica). Fortunatamente, le donne oggi si stanno ribellando.
Le donne che rappresentano la femminilità (quando la rappresentano senza impiegare i mezzi dialettici maschili dello scontro) devono aiutarci a creare una società più umana, più amorevole, più duttile, più flessibile. C'è un'arte che gli uomini hanno smarrito, mentre per le donne è quasi innata: l'arte di sedurre con semplicità. Non è vanità, è umanità.
Con la lotta non si ottiene niente. Si ottiene solo che gli altri si ripieghino in se stessi, si induriscano e diano battaglia. Allora si perdono. Io sono tanto maschile quanto femminile, senza essere omosessuale né altro. C'è una dimensione femminile in tutti noi che bisogna coltivare e risvegliare.

AHN: Melloni ha detto che la società secolare sta adottando una dimensione sempre più trascendente, che è sempre più credente. In che modo le società occidentali possono avvicinarsi non più alla religione ma al sentimento religioso?
RP: Non lo esprimerei in questo modo. Lo avranno riportato così i giornali, ma io non leggo la stampa, non ascolto la radio, non vedo la televisione e, naturalmente, non ho l'automobile. Vedo gli amici, parlo con la gente e leggo libri e studi che gli autori hanno passato molto tempo ad elaborare. Leggo solo "Le Monde Diplomatique" che dà un informazione meno immediata e più analitica. Oggi ho sfogliato "El Paìs" e, dopo due minuti, già non ne potevo più. Leggendo solo di assassinii, suicidi, attentati che visione possiamo avere del mondo? È questo il mondo? Sì, anche, ma non è totalmente né essenzialmente così. La visione che lentamente stiamo facendo passare è basata solo sull'eccezionale e l'eccezionale non è categorico.

AHN: Nella sua "Lettera a un giovane" raccomandava ai giovani di scegliere quello che amano non quello che si vuole loro imporre. Direbbe loro lo stesso oggi?
RP: Sì, ma senza amarezza. Il massimo dono della vita è la vita, che abbiamo già. Io non mi sento scoraggiato dall'ingiustizia che vedo, per quanto la denunci e lotti contro di essa. Arriva però a spaventarmi. Perché Solzyenitzin era il nemico numero uno dei sovietici? Solo perché era antisovietico, come la maggior parte dei russi? Perché era lento? No. Perché con i suoi romanzi faceva in modo che la gente scoprisse che anche in un campo di concentramento si può essere umani. Questo fa sì che perdano il potere di spaventarti, di minacciarci. Se non ho paura, non cado nella paranoia della sicurezza. La vita è rischio.

AHN: Cosa vede per il futuro? Come lo immagina? Esiste?
RP: Il futuro è una proiezione mentale, non esiste. Quando arriva, è già presente. Per questo ho inventato la parola "tempernità", che non è tempo ora ed eternità dopo, ma l'unione del tempo e dell'eternità

(da Adista n.70, 9 ottobre 2004)


Martedì, 30 Novembre 2004 01:43

Pregare imprecando (Faustino Ferrari)

Pregare. Imprecare. La radice dei due termini è la medesima. Semanticamente, nella nostra lingua, esiste una profonda correlazione tra questi due atti umani.

La tragica stupidità della guerra
presente-prossima-ventura
di don Gianfranco Formenton



Se qualcuno ricorda la polemica del crocifisso di qualche mese fa potrà ancora meglio comprendere la tragica sequenza che da sempre accompagna le guerre e i disastri mondiali. Ricordate? Uno sconosciuto fondamentalista-estremista islamico chiede provocatoriamente alla competente autorità di rimuovere un crocifisso da una scuola materna di un qualunque paese italiano. Immediatamente, nel Paese del "lei-è-favorevole-o-contrario?", si scatenano i fondamentalisti-estremisti cristiani, calano dal nord le squadracce di Ordine Nuovo, intervengono i politici, il presidente della Repubblica, il papa... Il vicepresidente del Senato si applica un crocifisso da prete al bavero della giacca, Bossi fa la sua professione di fede cattolica-tradizionalista, Bruno Vespa organizza la sua liturgia notturna invitando il gotha della cultura televisiva... e inizia la sagra della stupidità.

Nascono sempre così le guerre, quando la ragione viene obnubilata dalle ideologie e dalla stupidità. Esattamente così abbiamo marciato verso la tragedia della seconda guerra mondiale quando dopo due decenni di farneticazioni fondamentaliste-fasciste-naziste, logicamente si è arrivati ad un bagno di sangue epocale. C'è sempre un crocifisso di plastica, un velo islamico, un muro israeliano, dietro le tragedie di questa umanità e la tragedia è che le voci libere vengono messe a tacere, chi si ostina a credere che questa stupidità è pura follia, a chiedere: "Ma di che cosa stiamo parlando?"... non trova patria nella politica tutta tesa ad organizzare il grande duello.

È esattamente la tragedia che stiamo vivendo. Oramai ci siamo. La strage è stata programmata, i crocifissi di plastica, i veli islamici, i muri israeliani sono pronti a fare da bandiera per la nuova barbarie. Il presidente del Senato della nostra Repubblica ha indetto la nuova crociata, un "patto per l'occidente", quella guerra tra civiltà già pronosticata da Silvio Berlusconi. Il grande condottiero dell'impero Statunitense ha lanciato il grido: "Vinceremo!". Il governatore della California cita Terminator-se stesso e risponde: "l'America è tornata!". Il nuovo zar di Russia fa eco: "Non ci arrenderemo mai!"... Quasi improvvisamente udiamo di nuovo urla di guerra preventiva, le stesse da secoli, da millenni... lugubri presagi di stragi annunciate.

La guerra nasce quando si arriva al punto di non ritorno. I fondamentalisti-estremisti islamici od occidentali hanno questo di tragico, che sono convinti di possedere la verità e costringono milioni di persone a dover scegliere, ad un certo punto, se stare dalla parte della loro verità o dalla parte della verità degli altri fondamentalisti-estremisti. In questo il fondamentalismo-estremismo occidentale non è diverso da quello islamico. L'Occidente delle democrazie totalitarie non si differenzia dal fondamentalismo-estremismo degli ostaggi uccisi e degli aerei abbattuti. Non c'è nessuna differenza, se non nelle parole e nelle proporzioni, tra un terrorismo degli eserciti regolari e un terrorismo fatto di bande armate al servizio di qualche mente malata. Uccidono, inesorabilmente, implacabilmente, gli uni e gli altri. Gli uni con bombe da duecentocinquanta chili, con attacchi mirati, con le guerre preventive, con le torture "comprensibili", gli altri con i coltelli, i Kalasnikov, gli aerei, le bombe nelle scuole e i kamikaze. Gli uni e gli altri hanno bisogno di alimentarsi da ideologie mascherate di ragionevolezza (i valori occidentali, la democrazia, la libertà, un dio della violenza e della guerra...) Non a caso una delle prime operazioni di guerra in Iraq si chiamava: "Colpisci e terrorizza"!

Per le vittime, sempre le stesse, sempre gente che non c'entra niente, sempre bambini, sempre innocenti... nessuna pietà se non quella formale dei telegiornali e delle candeline accese nella notte, ma nessun rispetto per la loro vita, né da parte di chi li sequestra né da parte di chi fa i blitz per "liberarli" a costo della loro morte... liberi da morire per l'orgoglio dei cesari di turno! E ogni volta le stesse dichiarazioni folli: la lotta al terrorismo globale! La parola d'ordine che giustifica ogni nefandezza in nome dei valori occidentali. "Loro" sono i cattivi... E televisioni a iosa per le vittime "occidentali" del terrorismo, nessuno a testimoniare il martirio quotidiano della gente che ogni giorno muore sotto le bombe della guerra democratica e per un sistema economico folle che pianifica, con folli politiche sancite dal Fondo Monetario Internazionale, la morte per fame di milioni di persone ogni giorno.

Non è più tempo di candeline e di fiaccolate, di ipocrite riunioni di "unità nazionale", di equilibrismi politici, di palloncini di solidarietà lanciati verso il cielo... È tempo di dire la verità sulla guerra presente-prossima-ventura, sulla violenta, cieca, ignorante politica guerrafondaia degli Stati Uniti d'America e dei suoi vassalli, valvassori e valvassini sparsi in tutto il mondo, sulle farneticazioni dei giornalisti di guerra, sui calcoli dei politici in cerca di legittimità, dei personaggi dello spettacolo...

Qualche giornalista e intellettuale, ogni volta che si parla di Cecenia, o di Ossezia, o di Iraq, o di Sudan... ci spieghi la storia di queste nazioni, il terrore quotidiano delle innocenti vittime di questi Paesi e di tutti i Paesi che giacciono sotto il giogo dell'oppressione economica e politica dell'Occidente, ci dica chi sono queste donne vedove che si fanno uccidere pur di vendicarsi di chi gli ha ucciso il marito, o costrette da falsi valori islamici, ci parli dei petrolio, del colonialismo russo, della folle tirannia dei mercati, delle borse e dello strapotere delle multinazionali...

Il male è la guerra, la stupida, inutile, ideologica guerra che è seguita allo stupido, inutile, folle, ideologico undici settembre. Il male è la violenza che si erge come sistema di governo globale e che nasconde gli interessi di pochi e la tragedia di molti. I criminali-terroristi sono tra le grotte delle montagne dell'Afghanistan e tra i palazzi del potere occidentale. Gli uni e gli altri si alimentano a vicenda. Sì, proprio criminali e terroristi... sia gli oscuri personaggi barbuti di Belsen sia i folli reggitori della politica-mercato di questo villaggio globale. Non c'è nessuna differenza tra i bambini immortalati dalle televisioni e i bambini che muoiono nel silenzio della povertà normale per la maggioranza dell'umanità.

Baldoni, Simona e Simona... non si meritano questa sagra della stupidità, questa fiera di banalità. Non sono "pacifisti" come intendono "Libero" e "Il Giornale". Sono operatori di pace, gente che se ne fregava del perbenismo nazionale di questi "integralisti nazionali" e hanno messo sul conto che il loro impegno comprendeva anche la morte. In questo sono grandi, hanno rifiutato le logiche nazionalistiche, l'ideologia della violenza e della guerra. Hanno accettato la logica dell'essere "con" e "per" e non "contro"...

Risparmiategli, per favore, quest'ultima offesa alla loro integrità morale che è l'esatto contrario dell"'integralismo" dei loro defilati e vigliacchi detrattori.

Che Dio-Jawhe-Allah ci liberi dai crocifissi di plastica, dai veli islamici e dai muri israeliani, dai fondamentalisti-estremisti cristiano-occidentali, dai fondamentalisti-estremisti islamici, dai fondamentalisti-estremisti israeliani, dagli scrittori accecati dalla "rabbia e l'orgoglio", dai giornalisti ignoranti e rozzi e dai politici senza memoria storica e senza cultura.

(da Adista n. 66, 25 settembre 2004)


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