Ecumenismo:
irrevocabile e irreversibile
di G. B.
Quarant'anni sono una misura biblica. Tempo adeguato per verifiche.
Il Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, nel quarantesimo della promulgazione del decreto conciliare Unitatis redintegratio (21 novembre 1964), ha organizzato, l'11 e il13 novembre 2004, una conferenza di bilancio del cammino ecumenico da allora compiuto (1). L'ecumenismo - ha detto il card. Kasper, presidente del Pontificio consiglio presentando l’iniziativa, il 10 novembre - non è qualcosa di secondario, non è soltanto un'appendice della missione e della pratica pastorale della Chiesa". "Esso era ed è, come lo stesso papa Giovanni Paolo II afferma nella sua enciclica ecumenica Ut unum sint, una delle priorità pastorali del suo pontificato. La scelta ecumenica di Unitatis redintegratio è - secondo la stessa enciclica - irreversibile e ha una validità permanente".
Il convegno ha avuto sostanzialmente due momenti: uno di riflessione e confronto sul cammino dottrinale; e un secondo di verifica dello sviluppo ecumenico interno alla Chiesa cattolica. A questo secondo tratto hanno dato voce le relazioni interne al Pontificio consiglio di mons. Fortino (sottosegretario) sull'azione ecumenica svolta dal Pontificio consiglio stesso in questi quarant'anni; e da mons. Farrell (segretario) sui risultati di un questionario inviato dal dicastero a tutte le conferenze episcopali.
L'indagine mostra come vi sia stata nella Chiesa cattolica una effettiva maturazione nella consapevolezza ecumenica: la ricerca dell'unità è diventata un obiettivo presente nelle Chiese locali; nella maggior parte di esse è stata creata una commissione ecumenica ed esiste un incaricato per l'ecumenismo; diffusa è oramai la partecipazione cattolica a raduni e preghiere ecumeniche e la collaborazione pastorale tra comunità cristiane; migliore il grado di conoscenza delle altre Chiese e comunità ecclesiali. Dalle Chiese locali viene anche la richiesta al dicastero romano di un maggiore incoraggiamento per la formazione teologica e il coordinamento dell'azione ecumenica. Accanto alla consapevolezza delle questioni teologiche irrisolte e ai rischi di un ecumenismo volontaristico, si sottolinea la necessità di integrare le diverse iniziative ecumeniche nell'insieme dei programmi pastorali diocesani. Le Chiese locali chiedono poi una riflessione circa le risposte da dare a un proselitismo aggressivo; evidenziano l'opportunità di associare esperti di altre confessioni alla formazione ecumenica dei sacerdoti e degli operatori pastorali. Il convegno ha risposto con il progetto di un Vademecum ecumenico per promuovere l'ecumenismo spirituale nella Chiesa cattolica.
Dai vescovi di due Chiese locali, Murphy-O'Connor (Westminster) e Koch (Basilea), sono giunte indicazioni particolari: l'uno ha insistito sull'esigenza che accanto all'ecumenismo spirituale e all'ecumenismo di verità progredisca anche l'ecumenismo di vita, cioè l'esperienza concreta di cristiani e comunità che sono in cammino con gli altri cristiani: "niente può sostituire i contatti personali"; l'altro ha sottolineato la sfida posta al cammino di unità dalla trasformazione sociale e culturale in atto, che accentua in forma indiscriminata ogni elemento di pluralizzazione. Il confronto teologico è stato affidato alle relazioni del card. Walter Kasper (presidente del Pontificio consiglio), al metropolita di Pergamo loannis (Zizioulas), del Patriarcato ecumenico e al rev. Geoffrey Wainwright, metodista, a nome delle comunità ecclesiali riformate.
Con il decreto Unitatis redintegratio siamo al centro del rinnovamento conciliare. Grazie a una nuova e più limpida comprensione della Chiesa come "popolo di Dio in cammino" il Concilio ha potuto abbracciare il movimento ecumenico, sorto al di fuori della Chiesa cattolica, attraverso la rivalorizzazione della dimensione escatologica della Chiesa. "Così compreso - ha detto Kasper - l'ecumenismo è la via della Chiesa. Non è né un'aggiunta, né un'appendice, ma è parte integrante della vita organica della Chiesa e della sua attività pastorale". Ma la dinamica escatologica e quella pneumatologica necessitavano di una chiarificazione ecclesiologica che la costituzione Lumen gentium ha fornito con la formula del "subsistit in". "Si è voluto rendere giustizia al fatto che, al di fuori della Chiesa cattolica, non vi sono soltanto singoli cristiani, ma anche "elementi di Chiesa" ed anche Chiese e comunità ecclesiali che, pur non essendo in piena comunione, appartengono di diritto all'unica Chiesa e sono per i loro membri mezzi di salvezza" (cf. Lumen gentium, nn. 8; 15; Unitatis redintegratio, n. 3; Ut unum sint, nn. 10-14 );.La Chiesa di Cristo ha nella Chiesa cattolica il suo luogo concreto, ma essa non intende più se stessa in termini di splendid isolation: "Nel formulare la sua identità, la Chiesa cattolica stabilisce un rapporto dialogico con queste Chiese e comunità ecclesiali".
Questa prospettiva escatologica e spirituale introduce una teologia della conversione, del rinnovamento e del perdono. Lo scopo dell'ecumenismo non può essere concepito come un semplice ritorno degli altri, nel seno della Chiesa cattolica. La meta della piena unità può essere raggiunta soltanto attraverso l'impegno animato dallo Spirito di Dio e la conversione di tutti all'unico capo della Chiesa, Gesù Cristo. La misura dell'unità a Cristo diviene misura dell'unità reciproca e condizione per realizzare in pienezza la cattolicità propria della Chiesa. "L'unità nel senso della piena communio non significa uniformità, ma unità nella diversità e diversità nell'unità. All'interno dell'unica Chiesa vi è posto per una diversità legittima di mentalità, di usi, di riti, di regole canoniche, di teologie di spiritualità (Lumen gentium ,n. 13; Unitatis redintegratio, nn.4; 16s). Possiamo anche dire che l'essenza dell'unità concepita come communio è la cattolicità nel suo significato originario che non è confessionale ma qualitativo; essa indica la realizzazione di tutti i doni che le Chiese particolari e confessionali possono apportare".
Per Zizioulas, l'apertura avviata dal decreto conciliare "delle frontiere della Chiesa e del riconoscimento della presenza dello Spirito al di fuori delle sue frontiere canoniche, assieme all'ammissione dl colpevolezza per la divisione della cristianità da parte degli uni e degli altri, fonda l'ecumenismo su una solida base ecclesiologica". A proposito dell’importanza del decreto per le relazioni tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica, il metropolita ha rilevato che il testo "non esita a chiamare le Chiese ortodosse con il nome di Chiesa, nel significato pieno del termine" e a riconoscere che vi è una piena realtà e vita sacramentale in queste chiese (cf. Unitatis redintegratio, n. 15). Egli ha inoltre sottolineato che nel decreto il concilio "dichiara solennemente che le Chiese dell'Oriente, pur consapevoli della necessità dell'unità di tutta la Chiesa, hanno il potere di governarsi secondo le proprie discipline".Egli ha poi osservato che "poiché, dal punto di vista cattolico, l'unità di tutta la Chiesa è salvaguardata e mantenuta attraverso il ministero petrino, ne consegue che tale ufficio deve essere riconosciuto dalle Chiese ortodosse affinché l’unità possa essere ricomposta".
Il rev. Wainwright ha affermato che "presupposto fondamentale del l'ecumenismo è che il cristianesimo esiste in qualche forma al di là dei confini dell'istituzione alla quale l'individuo appartiene, in un mondo cristiano diviso". Così, il principale compito ecclesiologico del XX secolo è stato quello di definire e situare "l'unica Chiesa, santa, cattolica, e apostolica, alla quale tutti i cristiani appartengono realmente o idealmente".
Wainwright ha anche esaminato le questioni riguardanti il mistero petrino, sollevate dall’enciclica Ut unum sint. ln tale contesto egli ha avanzato un suggerimento personale, chiedendo che "il vescovo di Roma inviti quelle comunità cristiane che egli ritiene essere in una comunione reale sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica romana, a nominare rappresentanti affinché collaborino con lui e con i suoi incaricati alla formulazione di una dichiarazione che possa esprimere il Vangelo da predicare al mondo oggi. In tal modo il dialogo fraterno voluto da Giovanni Paolo II passerebbe dalla teoria dell’ ufficio pastorale e dottrinale alla sostanza di ciò che si crede e che si predica. E lo stesso esercizio dell'elaborazione di una dichiarazione di fede... mette in luce la questione di "un ministero che presieda nella verità e nell'amore"".
(1) A Rocca di Papa, dove si è svolta la "Conferenza sul XL anniversario della promulgazione del decreto conciliare Unitatis redintegratio", erano presenti 260 delegati e invitati: rappresentanti delle conferenze episcopali di tutto il mondo, delegati fraterni delle Chiese ortodosse, delle Chiese orientali ortodosse, delle Chiese e delle comunità ecclesiali derivanti dalla Riforma e protestanti; i co-presidenti delle Commissioni miste internazionali incaricate dei dialoghi ecumenici; rappresentanti dei dicasteri della Santa Sede. Il giorno 13, il papa ha ricevuto in San Pietro per i vespri i partecipanti al convegno.