Ecumene

Domenica, 30 Gennaio 2005 20:46

I. "Dio si è fatto uomo, affinché l'uomo diventasse dio" (Michelina Tenace)

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Ci chiediamo in questa seconda tappa perché proprio l'incarnazione faccia da sfondo al compimento della somiglianza dell'uomo con Dio.

I. "Dio si è fatto uomo, affinché l'uomo diventasse dio"

La vicenda dell'uomo, la comprensione della sua identità e quindi del suo sviluppo vitale si concentra nell'antropologia cristiana intorno a questa affermazione: l'uomo ha per destino la divinità secondo l'iniziativa di Dio. 'Dio si è fatto uomo affinché l'uomo diventasse dio': è la frase che secoli di teologia hanno trasmesso ad un'umanità sempre più ignara del significato di tale affermazione. Eppure questa frase non contiene l'opinione di qualche pensatore sporadico, ma porta l'essenziale del messaggio cristiano che lega insieme il mistero dell'incarnazione - Dio si è fatto uomo - con il mistero della redenzione espresso in termini di divinizzazione. E questa è la fede di tutta la Chiesa, dogma principale che riguarda l'antropologia.

Abbiamo visto nella prima tappa della nostra riflessione il significato ampio della parola "divinizzazione". Ci chiediamo in questa seconda tappa perché proprio l'incarnazione faccia da sfondo al compimento della somiglianza dell'uomo con Dio. Non si può riflettere da soli e in modo astratto su un argomento così concretamente determinante. Perciò risaliremo alla fonte dell'affermazione più conosciuta che lega incarnazione e divinizzazione per capire con il suo autore - Atanasio di Messandria - alcune implicazioni di tale tradizione.

La nostra riflessione è partita da una curiosa constatazione: Atanasio non ha solo detto che Dio si è fatto uomo affinché l'uomo diventi dio, ma ha anche lasciato un testo-testamento che dice in che cosa consiste per l'uomo diventare come dio. Il legame dell'antropologia con la cristologia mette al primo posto Cristo, certo. È interessante però allora che la cristologia di Atanasio non rifletta sul modo dell'unione in Cristo delle due nature, ma sul fatto che tale unione è salvifica, e ne cerca il perché e il come. La venuta di Cristo in mezzo a noi ha cambiato l'umanità. Tale cambiamento deve essere tanto concreto e reale da poterlo descrivere, mostrare, raccontare. Da qui il legame tra il dogma dell'incarnazione e la tradizione di scrivere la vita dei santi perché, una volta accolta per fede l'incarnazione di Dio, bisogna accogliere nella pratica (le opere) ciò che vi corrisponde, la divinizzazione dell'uomo.

Nella Vita di Antonio, Atanasio descrive il cammino che porta l'uomo dall'immagine alla somiglianza e che è fondamentalmente il movimento dell'incarnazione vissuto da parte dell'uomo. La santità è l'incarnazione vista dalla parte dell'uomo. Quando un uomo è "di Dio" (Antonio viene chiamato "uomo di Dio", come tanti altri santi successivamente, ad esempio san Bernardo), allora incarna Dio e scioglie le molteplici ambiguità e perversità del peccato. Il Dio-Uomo è Cristo. L"'uomo di Dio", l'uomo divino, è il santo. È proprio Atanasio, il teologo dell'incarnazione, che scriverà una delle più belle vite di santi, raccontando come il monaco Antonio, attraverso l'ascesi e il discernimento, esprima come il corpo e la mente possano essere riordinati in funzione dell'amore, in funzione della relazione nella libertà di scelta, ma anche nella perseveranza della testimonianza (nel martirio di sangue odi coscienza).

Nella figura di Antonio, Atanasio fa il ritratto dell'uomo divinizzato e fa leggere per intero la parabola della salvezza: la centralità dell'incarnazione - quindi il superamento del paganesimo - e la vita nuova che è allenamento alla carità e alla libertà per le vie dell'ascesi e del discernimento.

Atanasio

Nel 325 un diacono di nome Atanasio partecipa al primo concilio ecumenico a Nicea. Nominato poco dopo vescovo, egli vive per ben 45 anni come pastore della sua Chiesa, la straordinaria vicenda della messa a punto verbale (dogmatica) dell'essenziale del cristianesimo avvenuta a Nicea. A Nicea si precisa che Ario - all'epoca un teologo di successo - sta sbagliando nel limitare l'importanza di Cristo alla sua eccezionale umanità. Perciò il concilio ribadisce per definizione la "consustanzialità del Padre e del Figlio", ossia che Cristo uomo è anche Dio. Atanasio, per rimanere fedele alle definizioni del concilio, subirà cinque volte la pena dell'esilio e i 17 anni trascorsi da esiliato non toglieranno forza alla sua instancabile attività: questo vescovo impegnato è un uomo d'azione, un pastore più che altro, ma sente che per servire la Chiesa deve scrivere e mettere in atto tutti gli argomenti per diffondere e difendere l'essenziale ed intoccabile verità del cristianesimo: la divinoumanità di Cristo Salvatore. In questa verità si cela tutto il mistero dell'uomo salvato e la visione cristiana del mondo, della storia, persino della politica. Non a caso l'arianesimo ha l'appoggio dell'imperatore, perché è una religione che esalta la straordinaria umanità di Cristo senza confessarne la divinità, lascia quindi il campo libero all'adorazione di qualsiasi altra superumanità, compresa quella dell'imperatore di turno. L'identità di Cristo vero Dio e vero uomo significa per l'umanità un salto in avanti a tutti i livelli.

L'aspetto polemico degli scritti (i numerosi Contra che troviamo nei titoli) evidenzia più un atteggiamento propositivo che oppositivo: Atanasio comunica la sua preoccupazione sotto l'invito rivolto ai pagani ed agli eretici di non tornare indietro, ora che Cristo ha manifestato una vita nuova, e di vagliare tutto ciò che c’è in giro, di dottrine e di filosofie, del passato o del presente, con la misura di Cristo e la novità che contiene il vangelo. "Infatti quando venne Colui che era stato annunciato, che bisogno c'è ancora di annunciatori? [...] una volta venuto il Santo dei santi [...] che cosa non è stato ancora compiuto?" (1). Un'eresia, oltre ad essere una verità parziale eretta a totalità, è spesso l'espressione dell'incapacità di accogliere l'antinomia, il mistero nella sua insolvibile complessità e novità.

Perciò ad Atanasio, come agli altri Padri, non interessa tanto condannare l'idolatria, il politeismo, o l'arianesimo in sé. I Padri in realtà non fanno polemica, se non quando si tocca l'essenza del cristianesimo, ossia la persona di Cristo. Piuttosto non perdono l'occasione di dire il loro amore per Cristo, verità-relazione per la quale sono pronti a dare la vita. Proprio come fa Atanasio che sotto vari titoli afferma sempre la stessa professione di fede nel Verbo-Dio incarnato, verità dogmatico-salvifica all'epoca oscurata dalle eresie, e perciò l'urgenza da parte dei Padri di ribadire che non si può accettare nessun riduzionismo cristologico: è veramente il Verbo, Dio, che si è in-carnato (o in-umanizzato come dice la parola greca); è veramente "per noi e per la nostra salvezza", come afferma la formula del Credo di tutta la Chiesa. Il contenuto, il motivo della "in-umanizzazione" di Dio è la divinizzazione dell'uomo. La vera novità del cristianesimo alla fine si può riassumere con quelle famose parole così spesso citate e che appartengono al trattato Sull'incarnazione: "Il Verbo di Dio si è fatto uomo affinché l'uomo diventasse dio". (n. 54), affinché "noi fossimo deifìcati", come dice un'altra traduzione. L'antropologia cristiana è fondata sulla cristologia. Va ricordato che i Padri non si accontentano di nessuna soluzione psicologica, morale, sociologica, filosofica: per loro - ed Atanasio ne è un vero esempio - ciò che conta è confessare il mistero di Cristo che contiene il mistero dell'uomo. Il dogma della divinoumanità in fondo è questo velo, nocciolo del simbolo che dice e non dice, rivela e nasconde quella verità che solo nella vita incarnata assume forza di convinzione.

Il legame tra l'incarnazione e la divinizzazione presuppone l'affermazione che tra Dio e l'uomo c'è una parentela che nell'incarnazione è rivelata, nella divinizzazione è compiuta, ma che è data nella creazione. Si afferma anche la realtà della lontananza (miseria) in cui si trovava l'uomo che aveva bisogno di essere visitato da Dio, liberato, sanato, salvato per riacquistare la sua vera identità. Il mistero del peccato, come le tenebre, si illumina con la venuta della luce, e non l'inverso. La comprensione della creazione (alla luce di ciò che poi l'incarnazione manifesta), e del peccato (alla luce di ciò che la divinizzazione comporta) ci aiuteranno a seguire l'argomentazione di Atanasio.

Michelina Tenace

Nota

(1) De incarn. Verbi, 40.
 

Letto 5740 volte Ultima modifica il Domenica, 13 Novembre 2011 16:48
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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