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Sabato, 19 Giugno 2004 03:01

Saulo di Tarso. La vita, gli scritti, il pensiero (di Don Filippo Morlacchi)

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Saulo di Tarso
La vita, gli scritti, il pensiero
di Filippo Morlacchi



 


Un gigante spesso frainteso

Nella storia del cristianesimo, forse nessun personaggio ha giocato un ruolo così fondamentale come Saulo di Tarso. Pur senza cedere alle esagerazioni di chi ha voluto vedere in lui un "secondo fondatore del cristianesimo" (1), magari stravolgendo il senso originario dell'insegnamento di Gesù, (2) la sua personalità e la sua visione teologica hanno plasmato in modo decisivo la storia del cristianesimo tanto in oriente quanto in occidente. Fu uomo dl formazione intellettuale raffinata e cosmopolita: educato a Gerusalemme presso la prestigiosa scuola rabbinica di Gamaliele, cresciuto a Tarso (città ellenistica imbevuta del pensiero della Stoà), e infine fiero cittadino romano, Šaul / Saul / Paulus appartenne consapevolmente a tre diverse culture, e tale apertura mentale fece di lui il primo e più grande teologo del cristianesimo: "Paolo ha assicurato per sempre al cristianesimo il diritto di pensare" (A. SCHWEITZER). Le lettere che scrisse alle comunità cristiane da lui fondate o visitate esprimono ad abundantiam il vigore del suo pensiero e la ricchezza anche umana della sua personalità. Tuttavia, essendo l'epistolario paolino formato da vere e proprie lettere, indirizzate a destinatari concreti, e non da epistole fittizie composte come esercitazione letteraria, è difficile ricostruire il nucleo centrale del suo pensiero teologico. Il loro carattere occasionale fa sì che ognuna di esse riporti solo un frammento, più meno parziale, del suo sistema. Solo un confronto dei diversi scritti, unitamente alle altre fonti che ci parlano della visione teologica di Paolo (in primo luogo gli Atti degli Apostoli) possono aiutarci a ricostruire l'insieme, in modo sempre precario e imperfetto.


Impossibile in questa sede addentrarsi nel ginepraio delle varie interpretazioni della teologia paolina, divergenti fino all'inverosimile. Perciò, dopo aver riassunto per sommi capi la sua vicenda biografica, e aver presentato brevemente l'insieme dell'epistolario, tenterò di offrire una panoramica del patrimonio concettuale teologico di Paolo spiegando alcuni termini chiave da lui ripetutamente utilizzati, senza la pretesa di enunciare "il nucleo centrale" del suo pensiero - nell'ipotesi che ve ne sia uno. Cercheremo solo di avere in mano gli strumenti di base che ci permetteranno una lettura spirituale, ma non ingenua, delle lettere ai Galati e agli Efesini, che ho scelto (3) per accostarci più direttamente al "Vangelo di Paolo", ossia all'annuncio di Gesù Cristo così come l'Apostolo delle Genti lo ha compreso e trasmesso.


 


(1) W. WREDE, Paulus, Tübingen 1904; piü recentemente A.N. WILSON, Paul. The Mind of the Apostel, London 1997; tr. it. Paolo. L'uomo che inventò il cristianesimo, Milano 1997.


(2) «Già la parola 'cristianesimo' è un equivoco - in realtà è esistito un solo cristiano, e quello èmorto sulla croce. Quello che da quel momento in poi si chiama "Vangelo" era già il contrario dl ciò che egli aveva vissuto: una "mala novella", un dysangelium. [...] Alla "buona novella" seguì da presto la peggiore di tutte: quella di Paolo. In Paolo si incarna il tipo opposto al "buon nunzio", il genio in fatto di odio, di inesorabile logica dell'odio! Che non ha sacrificato all'odio questo disangelista? Innanzitutto il redentore: egli lo inchiodò alla sua croce. La vita, l'esempio, la dottrina, la morte, il significato e il diritto dell'intero Vangelo - nulla esistette più, quando questo falsario per odio comprese che cosa poteva servirgli [cioè la dottrina della vita oltre la morte... ] Ciò che egli stesso non credeva, credettero gli idioti tra i quali aveva diffuso la sua dottrina... L'invenzione di Paolo, il suo espediente per la tirannide dei preti: la credenza nell'immortalità - vale a dire la dottrina del giudizio. [...] Ciò che Paolo condusse a termine più tardi, col cinismo freddo del rabbino, non fu tuttavia che un processo iniziato con la morte del redentore» (F. NIETZSCHE, L'anticristo, §§ 39.42.44). Ancora vedi H. MACCOBY, The Mythmaker. Paul and the Invention of Christianity, New York 1986.


(3) Giustificherò più avanti le ragioni di questa scelta.



Una vita intensa, segnata da un incontro


È difficile ricostruire nel dettaglio la cronologia paolina, anche se il quadro generale della sua vita ci è sostanzialmente chiaro. È possibile seguire due schemi cronologici: quello tradizionale, che si basa sul racconto degli Atti, e quello "critico" che privilegia i dati offerti dalle lettere. La contrapposizione frontale tra il Paolo degli Atti e quello delle lettere, sostenuta soprattutto dagli studiosi che seguono il metodo storico-critico, rivela però un approccio di fondo che non sarà il nostro: a noi interessa - pur con la dovuta attenzione ai dati documentabili della storia - la figura canonica, ispirata di Paolo, così come emerge dall'insieme della Sacra Scrittura, e non la figura smunta e ridotta al "minimo storicamente verificabile" dal metodo storico-critico. (4)


Il punto di riferimento più sicuro è l'iscrizione dl Delfi, da cui risulta che il proconsole romano Gallione, fratello del filosofo Seneca, risiedeva a Corinto nel 50/51 o - al più tardi - l'anno successivo. Secondo At 18, l2ss, Paolo incontrò Gallione, anche se non sappiamo se all'inizio o al termine del suo mandato; perciò di sicuro Paolo era a Corinto verso il 51. A partire da questa data si lavora per ordinare la cronologia paolina. Ecco i dati riconosciuti più o meno unanimemente. (5)


Saulo-Paolo nasce a Tarso, in Cilicia (Turchia meridionale) nei primi anni dell'era volgare, presumibilmente una decina d'anni dopo Gesù. Lascia Tarso per continuare i suoi studi a Gerusalemme tra il 25-30 d.C., e vive nella città Santa diversi anni formandosi alla scuola di Rabbì Gamaliel. Da buon fariseo, si accanisce contro la nascente setta dei Nazirei, seguaci di un certo Gesù che pretendeva di essere il Messia (Gal 1,13). La sua conversione sulla strada di Damasco deve essere avvenuta negli anni 34-35: è l'evento chiave che spezza in due la sua vita, l'incontro decisivo che determina tutta la sua missione. Gli Atti narrano ben tre volte il fatto: nel c. 9 il racconto è in terza persona, nei cc. 22 e 26 Paolo stesso ne riferisce in maniera autobiografica. Almeno tre passaggi delle lettere accennano a questo incontro: 1 Cor 15,8: "è apparso anche a me..."; Gal 1,15-16: "Dio si compiacque di rivelarmi suo Figlio..."; Fil 3,12: "sono stato catturato da Gesù Cristo". L'incontro con il risorto comportò "un ridimensionamento totale e un'autentica trasfigurazione di tutto il sistema mentale di Paolo". (6) Il suo immediato ritiro in Arabia (Gal 1, 15-17) ha luogo nei mesi seguenti la sua chiamata, per poi tornare a Damasco. Tra il 37 e il 39 Paolo sale una prima volta, da cristiano, a Gerusalemme; è una visita di 15 giorni per prendere contatto con Pietro /Kefas. Vi incontra anche Giacomo, fratello del Signore (Gal 1,18-21). ma non altre persone della comunità. Ecco perché rimane sconosciuto alle chiese della Giudea, che sentono solo parlare dell'antico persecutore divenuto ora apostolo (Gai 1,22-24). Subito dopo si trasferisce ad Antiochia di Siria, trattenendovisi diversi anni. In questo periodo va collocato il primo viaggio missionario (durato un paio di anni, tra il 44 e il 49), intrapreso da Paolo sotto la direzione di Barnaba e su incarico della chiesa antiochena (At 13,1-3). L'itinerario tocca Cipro, patria dl Barnaba, e numerose regioni della penisola Anatolica meridionale.


Quattordici anni dopo la prima salita a Gerusalemme, dunque tra il 49 e il 50, Paolo vi fa ritorno per trattare la grave questione dell'osservanza della legge ebraica da parte dei pagani convertiti alla fede; porta con sé Barnaba e Tito, un credente non circonciso. È il cosiddetto concilio di Gerusalemme (At 15), in cui la tesi paolina, secondo cui l’osservanza della legge e della circoncisione non è una propedeutica necessaria alla fede, sembra prevalere. Dopo il concilio, Paolo e Barnaba tornano ad Antiochia; qui Paolo si scontra con Pietro perché - sembra dl poter ricostruire così la vicenda - a Gerusalemme e anche ad Antiochia stessa stavano diffondendosi opinioni "tradizionaliste" che imponevano ai pagani convertiti condizioni più pesanti di quanto concordato al concilio. È il cosiddetto incidente di Antiochia (riportato da Gal 2,11-21 e omesso da At). Il carattere dì Paolo si rivela focoso quando, poco dopo, litiga con Barnaba: I due partono per un nuovo viaggio apostolico. ma separatamente. È il secondo viaggio missionario, databile tra il 50 e Il 52: Paolo torna a visitare le chiese da lui fondate in Asia minore; poi, dopo una sosta in Galazia per malattia, su invito del Signore intraprende l'evangelizzazione del continente europeo: arriva in Grecia, e visita Neapoli, Filippi, Tessalonica, Atene e infine Corinto, ove rimane un anno e mezzo, ospite del coniugi Aquila e Priscilla, giunti da Roma a causa dell'espulsione dei giudei per ordine di Claudio (49 d.C.). A Corinto Paolo viene accusato di sedizione dalla comunità ebraica locale, a causa dei successi che la sua predicazione riscuote; il proconsole Gallione lo assolve, ma prudentemente Paolo abbandona la città. Accompagnato da Timoteo e Sila (Silvano), si imbarca per Efeso, prosegue alla volta di Cesarea Marittima, da dove sale a fare un saluto alla comunità dl Gerusalemme, e poi torna ad Antiochia.


Verso il 53 Paolo intraprende il suo terzo viaggio missionario. Vuole tornare a Efeso, ma stavolta per via di terra, tornando a visitare le chiese dell'Asia minore. Paolo rimane ad Efeso circa tre anni (53-56), poi riparte alla volta della Grecia. Nuovo soggiorno a Corinto, poi a Filippi, dove raccoglie fondi destinati ad aiutare la chiesa madre di Gerusalemme. Via mare torna a salutare gli anziani della chiesa dl Efeso, pronunciando un memorabile discorso d'addio (il suo "testamento pastorale": At 20).


Consapevole dell'incertezza del suo futuro, portando il denaro della colletta in favore della comunità gerosolimitana, Paolo giunge alla Città Santa nella pentecoste del 57 o 58. Viene arrestato, condotto in carcere a Cesarea, sede dell'autorità romana. È in prigione quando avviene il cambio di procuratore da Felice a Festo, nel 59 o 60. Appellatosi a Cesare, viene imbarcato per essere giudicato a Roma; il fortunoso viaggio si svolge di autunno (periodo ritenuto già pericoloso per la navigazione) tra il 59 e Il 61. Dopo aver fatto naufragio a Malta, Paolo giunge a Roma probabilmente nella primavera del 61; vi rimane agli arresti domiciliari fino alla sua morte, avvenuta in data imprecisabile tra il 64 e il 67.


 


(4) Cfr E. Rossi DE GASPERIS, Paolo di Tarso evangelo di Gesù, Lipa, Roma 1998, p. 15. Si tratta di un ottimo volumetto che sviluppa soprattutto il rapporto di Paolo con la sua matrice ebraica. Per la biografia di Paolo, anche se superata da studi più recenti, rimane vivacissima e sempre affascinante l'opera di G. RICCIOTTI, Paolo apostolo, Roma 1948. Una difesa intelligente, appassionata e ragionata del valore storico degli Atti si trova in M. HENGEL, La storiografia protocristiana, Paideia, Brescia 1985: "Sono le lettere autentiche di Paolo a rendere possibile una valutazione storico-critica degli Atti degli Apostoli; e, a loro volta, appaiono interamente comprensibili nel loro proprio contesto storico-cronologico solo grazie all'infomazione fornita da Luca. (...L'opera di Luca), pur non consentendoci dl scrivere senza lacune una "storia del protocristianesimo", ci dà tuttavia la possibilità di tracciare per sommi capi il processo che dalla prima comunità di Gerusalemme giunge alla missione universale di Paolo" (pp 61.98).


(5) Capire la vita di Paolo significa conoscere un po' anche la geografia del vicino e medio oriente: è utile trovare su una cartina le località citate, per dare concretezza a quanto descritto.


(6) F. ROSSI DE GASPERIS, cit, 32.



Gli scritti


La collezione dei testi tramandatici con il nome dl Paolo consta di 13 lettere, a cui si deve aggiungere la cosiddetta lettera agli ebrei, che pur non essendo scritta da lui, gli è stata attribuita. Delle tredici, sette sono ritenute da tutti autentiche (lTs; 1 e 2Cor; Gal; Rm; F'il; Fm): scritte tra gli anni 50 e 60, esse sono gli scritti più antichi del cristianesimo. Nelle altre lettere la maggioranza dei critici è incline a ravvisare la mano di qualche discepolo, se non addirittura la pesudoepigrafia (7) secondo una usanza in voga in quei secoli. Ecco uno schema del cosiddetto "corpus paolinum":





























Autenticità sicura Romani

protopaoline

 1-2 Corinzi
  Galati
  1 Tessalonicesi
  Filippesi
  Filemone


 

















Autenticità problematica Colossesi

deuteropaoline

 Efesini
  2 Tessalonicesi


 













Autenticità improbabile 1-2 Timoteo

tritopaoline

 Tito


 









Non paolina Ebrei




Per quanto riguarda la cronologia delle lettere, possiamo ritenere abbastanza sicuro quanto segue:




50 d.C. 1Ts (per chi ne ammette l’autenticità, 2Ts subito dopo)


54/56 d.C. 1 Cor


56 ca. d.C. Gal e 2Cor (che però racchiude almeno due lettere)


56/58 d.C. Rm


62 ca. d.C. Col e Fm


Il Paolo autentico va cercato in questi scritti; le lettere deutero e tritopaoline sono da considerarsi ovviamente ispirate e canoniche, dunque "parola di Dio", ma sono espressione di quello che è stato chiamato il paolinismo, ossia la corrente teologica influenzata dalla straordinaria personalità di Paolo. Per quanto riguarda la ricostruzione del pensiero paolino più originario, occorre ricordare che egli fu, si, teologo, ma non un sistematico: non ha prodotto una summa theologica, e la stessa lettera ai Romani, che è la sua opera più completa, rimane uno scritto di occasione. "Si è occupato invece dl concrete situazioni delle sue chiese e ha inteso risolvere, in maniera teologicamente fondata, problemi storici particolari che progressivamente si imponevano al suoi interlocutori e a lui stesso. In breve la sua potrebbe essere definita una teologia applicata". (8) Non dobbiamo dunque illuderci di poter ricostruire un sistema teologico organico e completo; e tuttavia la sfiducia di poter risalire a cosa pensava Paolo risulta ingiustificata.


 


(7) Uno scrittore poco noto poteva attribuire la paternità della sua composizione ad un autore famoso, e far circolare la sua opera sotto il patrocinio e l'autorità altri, assicurandole così una maggior diffusione.


(8) G. BARBAGLIO, Le lettere di Paolo, Borla, Roma 1980, 60s.



Perché Galati ed Efesini?


Mi sembra che un primo approccio con la complessità della figura di Paolo possa essere svolto bene attraverso la lettura integrale e successiva di Gal ed Ef. Già il semplice confronto di queste due lettere - una autentica e l'altra deuteropaolina - potrà aiutarci a cogliere elementi preziosi. Galati affronta un problema concreto, quello della libertà dalla legge, che diede molto da fare alle primitive comunità cristiane, divise tra il desiderio dell'accoglienza del pagani e le istanze giudeocristiane più tradizionaliste e legate alla torah. Affrontando questo problema specifico, Paolo però ci offrirà uno spaccato interessante dl tutto il suo pensiero. Inoltre gli abbondanti tratti autobiografici presenti in Gal ci aiuteranno a gustare lo stile sanguigno e concreto dell'apostolo dei pagani.


La lettera agli Efesini presenta una visione teologica più ampia e pacata, che rivela una mano diversa. Si tratta dl uno degli scritti più rilevanti del paolinismo, e ci darà occasione di meditare sull'intera storia della salvezza e sul progetto di comunione universale che il Padre ha voluto realizzare con il dono del suo Unigenito.


Certo, scegliendo queste lettere non avremo occasione di leggere la complessa trattazione della giustificazione del giusto mediante la fede, presente in Rm, nè la presentazione della logica della croce di 1Cor, nè il sublime inno all'amore della medesima lettera, nè le infiammate parole sull'attesa imminente del ritorno glorioso del Risorto vergate da Paolo in lTs...: tutti temi paolini che meriterebbero un approfondimento. Ma Gal ed Ef, lettere di lunghezza contenuta e straordinaria ricchezza teologica, costituiscono una via di accesso interessante alla figura di Paolo e al suo pensiero.


Ovviamente, il modo di pregare su queste pagine sarà ben diverso da quello utilizzato finora! Le pericopi narrative dei vangeli ci hanno abituato a contemplare la scena, i personaggi, la figura di Gesù ecc. Ora si cambia registro; la meditazione dovrà concentrarsi su frasi, concetti, situazioni da approfondire con una lenta ruminatio. Dovremo imparare a riflettere pregando, ovvero cogliere il riflesso del Signore Risorto presente nell'esperienza personale di Paolo, nelle soluzioni da lui offerte ai problemi della vita comunitaria, nelle abbondanti sezioni parenetiche. Per fare questo saranno necessarie alcune chiavi interpretative, o concetti chiave, che ci apriranno il tesoro della spiritualità di Paolo.



Chiavi della teologia paolina


Paolo non ha conosciuto Gesù di persona, e temi centrali della predicazione gesuana - come l'annuncio del Regno di Dio - sembrano assenti nella sua teologia. Il suo pensiero si concentra sulla fede nel Kyrios, il Signore Gesù morto e risorto, e da qui sviluppa una riflessione sull'amore provvidente del Padre e sul dono dello Spirito che edifica la Chiesa fino al compimento del progetto di salvezza universale. Questo è quello che egli stesso ha chiamato "il suo vangelo" (cfr Rm 2,6; 2Tm 2,8).


In passato, molti studiosi hanno tentato dl fornire un quadro d'insieme della teologia di Paolo; ma - come già accennato - dobbiamo ammettere che probabilmente lui stesso non ha elaborato una simile teologia in modo compiuto. Per accostarci ai suoi scritti mi sembra dunque più saggio presentare alcune idee portanti, che ricorrono spesso nel corpus paolinum e che possono aiutarci. Un po' come abbiamo fatto con l'evangelista Giovanni - altro autore che può essere utilmente accostato a partire da alcuni termini chiave - avremo cosi a disposizione delle "griglie interpretative" per cogliere il senso delle espressioni - spesso oscure (9) - di Paolo. Il complesso del pensiero paolino emergerà più dalla costellazione di queste idee chiave che dall'identificazione di un nucleo essenziale - pur nella consapevolezza che questo nucleo esiste, ed è la persona di Gesù risorto, il risorto da lui incontrato sulla via di Damasco. Ma non si tratta più di un semplice nucleo teologico: è la persona viva di Cristo. Chi cerca altrove il cuore della riflessione paolina non lo troverà mai.


 


(9) La difficoltà nel seguire alcuni ragionamenti di Paolo è riconosciuta da sempre: "...il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data: così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta dl queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano..." (2Pt 3,15-16).



Ecco dunque le Intuizioni basilari del Paolo storico e del paolinismo.


1. Il disegno salvifico del Padre (pròthesis)


All'origine di tutto sta li disegno salvifico del padre ispirato da un amore eterno e comunicativo, il quale chiama tutti gli uomini - ebrei e pagani - e la creazione stessa alla grazia e alla gloria. E in conseguenza di questa elezione ab aeterno che Dio chiama nel tempo. Il termine pròthesis. "progetto" ricorre 6 volte nel corpus paolinum, soprattutto in Ef (1,9.11;3,11) e Rm (8,28; 9,11). Tutta l'iniziativa della salvezza è del Padre, il Dio trascendente e misterioso che ama le sue creature. È un progetto vagheggiato dall'eternità, più da artista che da ingegnere, più creativo che calcolatore. Tutta la disputa sulla predestinazione viene da un fraintendimento del senso di questo progetto: il pro- non indica un prima nel tempo, ma una trascendenza nell'essere. Il testo che esprime In modo più compiuto questa idea dominante è Rm 8,28-30:


Rm 8,28 Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. 29 Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli: 30 quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati: quelli che ha chiamati li ha anche giustificati: quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.



2. Il "vangelo" (euanghèlion)


Il termine vangelo (euanghélion) compare 76 volte nel Nuovo Testamento; 60 occorrenze (il 79%!) sono negli scritti paolini. Questo semplice dato statistico rivela quanto il concetto sia caratterizzante il nostro autore. Il termine stesso è probabilmente coniato da Paolo, anche se in qualche modo circolava nella comunità dl Antiochia (dove, tra l'altro, "per la prima volta i discepoli furono detti cristiani": At 11,26). Paolo padroneggiava perfettamente la lingua greca e la sua creatività linguistica è frequentemente attestata (10) nulla di più facile che sia stato lui a compendiare l'annuncio della fede nel termine sintetico ed icastico "buona notizia". Questo vangelo è un messaggio trascendente che l'apostolo ha ricevuto in dono, e dunque è "Vangelo di Dio" (Rm 1,1); ma poi egli lo ha fatto suo, lo ha "personalizzato", tanto da poter dire senza scrupolo "il mio vangelo" (Rm 2,6). L'euanghélion non è solo una "buona notizia", ma:



  • 1. annuncio di Cristo morto e risorto "per...": la pasqua è per la salvezza di ogni uomo;
  • 2. Interpella l'uomo raggiungendolo dove è: il vangelo non impone una trafila penitenziale, ma si offre ad ogni uomo così come egli si trova a vivere;
  • 3. l'uomo interpellato deve scegliere: sì o no. Dinanzi al vangelo è necessario prendere posizione.
  • 4. Da questa scelta dipende la salvezza o perdizione finale dell'uomo: chi si chiude al vangelo si perde, chi lo accoglie si realizza come persona.

 


(10) Basti pensare ai numerosi termini composti con la preposizione syn (con) da lui inventati per esprimere la comunione del credente con Cristo: con-morire, con-risuscitare, ecc. (Rm 6,8; Col2,12...).



3. Fede (pìstis)


Se nel IV vangelo il verbo credere ricorre con straordinaria frequenza, il corpus paolinum è invece caratterizzato dal sostantivo fede. Giovanni, il contemplativo, sembra più interessato a mettere in luce l'atto costante di abbandono fiducioso a Dio; Paolo, l'apostolo dal carattere di fuoco, mette al centro dell'attenzione la decisione dell'uomo davanti alla sorprendente proposta dell'annuncio. La fede e la risposta positiva dell'uomo interpellato dal vangelo, l'apertura totale al contenuto del vangelo. Si sviluppa in tappe progressive:



  • 1. Adesione iniziale: è il sì all'annuncio che sfocia nel sacramento del battesimo (cfr 1 Cor 15,11: "cosi abbiamo annunciato e così avete creduto").

    2. Assimilazione progressiva: la fede ricevuta si estende e gradualmente investe tutta la vita del credente. Ciò che non si lascia trasformare dalla fede "va in necrosi", diventa errore e peccato.


    3. Espressione comunitaria: la fede della chiesa si fonda sulla fede dei singoli; ma "quando siamo insieme scatta qualcosa di nuovo e diverso. Questo "di più" è la chiesa. Il linguaggio proprio della fede ecclesiale è la confessione di fede e la celebrazione liturgica.


    4. Spinta missionaria. L'annuncio ricevuto, che ha trasformato la vita del singolo e della comunità, chiede di essere condiviso con tutti.


  • La trasformazione dell'uomo (o giustificazione, come ora vedremo) avviene grazie alla fede nella persona di Gesù risorto e Signore, e non grazie alla realizzazione delle opere prescritte dalla legge. Anzi, solo l'uomo interiormente trasformato dalla fede può avere la forza di compiere le opere della legge; e tuttavia la fede "opera mediante la carità" (Gal 5,6), cioè si manifesta necessariamente nelle opere dell'amore. È importante però rispettare l'ordine delle cose: è il cuore nuovo, rinnovato tramite la fede, che - solo - può compiere le opere dell'amore.



    4. Giustificazione (dikàiosis) e giustizia


    Si tratta di un tema di importanza assolutamente centrale nel pensiero paolino, ma che spesso è stato male interpretato (basti pensare alla controversia con i protestanti!). Il senso del termine giustificazione e di tutta l'area semantica legata al verbo greco dikaiòo (giustificare) viene del tutto frainteso se lo si assume a partire dal significato forense e legale; Paolo infatti deriva il termine non dalla matrice greca, ma da quella giudaica. Il termine di riferimento è l'ebraico s daqah, giustizia. L'immagine che soggiace a tale idea è quella del "pareggio del bilancio", del portare una realtà alla sua misura: da sempre la bilancia a due bracci è simbolo della giustizia. Dio ha un progetto - come sappiamo - per l'uomo e per l'intero creato; questo ideale possiamo chiamarlo "il peso forma" della creatura, la "formula uomo". Quando questa misura pensata da Dio viene attuata nella realtà, si compie la giustizia: il "pareggio tra la formula ideale e la realtà storica". La giustizia divina è il pareggio tra ciò che Dio ha liberamente promesso e ciò che egli attua nella storia. Autore della giustificazione dell'uomo è perciò necessariamente solo Dio, "giusto è giustificante" (Rm 3,26). Non si tratta perciò di una "giustificazione forense", estrinseca, come se Dio volesse trovare delle attenuanti al fatto che l'uomo è peccatore e non conforme al suo progetto originario; è una trasformazione oggettiva e reale dell'uomo, che - grazie alla fede nella risurrezione di Cristo - riceve l'adozione a figlio e il dono dello Spirito, diventando capace di amare come Gesù e dunque raggiungendo la "piena statura di Cristo" (cfr Ef 4,13), la vera "formula uomo".



    5. Chiesa (ekklesìa)


    Nella fede dl Israele, la comunità riunita da Dio (l'assemblea, la qahal JHWH) trova la sua piena realizzazione neLla liturgia del tempio: nell'attività cultuale Dio si accosta al suo popolo, l'uomo abbandona le attività quotidiane per purificarsi e accostarsi al suo Dio: questo contatto con la realtà di Dio rivitalizza il popolo e lo rinnova. Per Paolo, la funzione del tempio è ora svolta da Cristo risorto, presente nel suo nuovo popolo: chi si riunisce nel nome di Cristo ne riceve l'influsso vitalizzante e rinnovatore. È il dono dello Spirito che rende i credenti un solo corpo, pur nell'articolazione dei diversi carismi (cioè dei "doni" che lo Spirito elargisce ai singoli per il bene di tutti). Il corpo non è affatto disprezzato da Paolo (11): il corpo è la concretezza relazionale, ciò che rende possibile entrare in comunione, ed è dunque realtà preziosissima. La Chiesa è dunque l'insieme di coloro che partecipano già ora della risurrezione di Cristo: la chiesa è il corpo di Cristo, nel senso che coloro che partecipano della vitalità del Risorto sono il suo corpo. In fondo non esiste che una sola resurrezione: quella di Cristo, che viene partecipata a tutti i credenti. Quando questo procedimento, già incoativamente in atto nella storia, sarà compiuto, allora Dio sarà tutto in tutti, il Regno sarà perfettamente realizzato, la Chiesa sarà giunta alla sua pienezza.


     


    (11) Ciò va fermamente ribadito contro tutti coloro che hanno voluto vedere nel cristianesimo una religione del disprezzo del corpo in favore della superiorità dell'anima: in realtà è l'influsso di certo platonismo che ha portato alcuni padri della Chiesa a sviluppare una opposizione anima-corpo che è invece del tutto assente negli scritti del Nuovo Testamento.



    6. Dimensione escatologica


    La redenzione che si acquisisce in Cristo è per Paolo una salvezza attuale e presente, ma il suo compimento rimane ancora nell'attesa. Non si avrà che con la resurrezione completa dei nostri corpi mortali, quando ci sarà la manifestazione gloriosa di Cristo che, vinta ogni resistenza del male e della morte, consegnerà il Regno al Padre (cfr 1Cor 15,25). È diventato usuale nel gergo cristiano esprimere questa situazione paradossale e stimolante con le espressioni "già" e "non ancora". Qui si innesta il dinamismo della speranza, fondamentale nell'esistenza cristiana secondo San Paolo: "nella speranza siamo stati salvati" (Rm 8,24).


    È possibile leggere in concatenazione i 6 punti sopra esposti, a mo' di schema della teologia di Paolo: tutto prende le mosse dal progetto di Dio, da lui concepito fin dall'eternità, che vuole la salvezza e la pienezza di vita per ogni uomo. Tale progetto, data la condizione reale dell'uomo, segnato dalla debolezza e dal peccato, si può realizzare soltanto grazie al dono del Figlio: il vangelo è l'annuncio che Gesù è il Figlio di Dio morto e risorto per l'uomo, l'annuncio della possibilità dl realizzare il progetto di Dio. La fede è l'accoglienza incondizionata del contenuto del vangelo, l'accoglienza di Cristo nascostamente operante nel cuore dell'uomo. Si realizza cosi la giustificazione del peccatore: Cristo libera l'uomo dal male e trasforma in figlio di Dio e tempio dello Spirito. L'uomo inizia così finalmente ad essere proporzionato alla sua "formula originaria", realizzando il "pareggio" tra il reale e l'ideale. Si forma cosi la chiesa, l'insieme degli uomini vitalizzati dal contatto con la resurrezione di Gesù. La chiesa però non è statica nè perfetta: cammina nel tempo verso il compimento definitivo, quando tutto il creato sarà permeato della forza della risurrezione, quando tutto sarà "spiritualizzato" e Dio "sarà tutto in tutti".



    7. Antropologia paolina


    Da tutto ciò risulta una visione della realtà umana eccezionalmente dinamica. Il dinamismo contraddistingue l'esperienza umana. Si trova in Paolo un conflitto di realtà nel cuore dell'uomo; ma tale conflitto non avviene tra anima e corpo, tra realtà materiale e realtà immateriale. Esso si gioca tra lo spirito (pnèuma) di Dio (o di Cristo), ossia la realtà divina già presente nell'uomo che crede, e la carne, ossia la realtà umana (corpo e psiche, sentimenti e pensieri) che si ostina a non lasciarsi permeare dalla vita nuova del Risorto:


    1Cor 2,14 L'uomo naturale (psychikòs ànthropos) però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. 15 L’uomo spirituale (pneumatikòs) invece giudica ogni cosa.


    La lettera ai Romani presenta ai capitoli 7 e 8 lo scontro tra l'uomo succube della propria carne e l'uomo giustificato che vive la libertà dello Spirito.



    Il testamento pastorale di Paolo (At 20, 16-38)


    Per introdurci alla spiritualità di Paolo ho pensato di iniziare con un testo - paradossalmente - non di Paolo ma di Luca. È il discorso di addio agli anziani di Efeso, ambientato da Luca nella città di Mileto. Paolo ha vissuto a lungo ad Efeso, ed ora va a Gerusalemme con il triste presentimento di dover affrontare pericoli gravissimi e forse, come il Maestro, la morte. Al termine del suo terzo viaggio apostolico vuole passare a salutare i suoi amici e "cedere il testimone". Egli è stato padre e pastore in quella comunità; altri ora devono assumere il suo compito, raccogliere la sua eredità, trasmettere alle generazioni future il messaggio del Risorto. È un congedo doloroso che ci presenta il cuore dell'Apostolo e del pastore, ma anche dell'uomo e dell'amico.


    Dobbiamo chiederci: è un discorso di Paolo o di Luca? Indubbiamente, anche se a pronunciano è Paolo, le parole sono di Luca: "è possibile trovare in esso anche Paolo, ma solo a livello dei materiali impiegati". (12) Tuttavia il nostro approccio, lo abbiamo già detto, è quello spirituale, che considera tutta la bibbia nel suo insieme come testo ispirato che ci comunica la Parola di Dio. Ricordiamo certamente dagli scorsi anni che, se Marco è "il vangelo di Pietro", Luca è "il vangelo di Paolo". Ebbene, stasera è San Luca, l'evangelista che fu più legato all'apostolo delle genti, a presentarci un suo ritratto. Un ritratto che ce lo presenta al culmine del suo zelo pastorale e consapevole di dover seguire fino in fondo il Signore sulla via della croce. (13) Accogliamo stasera questo prima immagine, cercando nel prossimi incontri di ricostruire i tratti più autentici ed autobiografici dell'apostolo nella lettura della lettera ai Galati.


    Il Paolo che emerge da At 20 è molto simile a quello delle lettere pastorali (l-2Tm e Tt): un uomo che vuole "portare a termine la sua corsa", che si sente responsabile delle persone della comunità, che vuole annunziare loro "tutta la volontà di Dio" (ossia il Vangelo nella sua integralità e con le sue esigenze), ma soprattutto consapevole del primato della grazia e fiducioso nell'affidare i suoi cari alla "potenza della Parola": anch'essi sanno ormai che solo l'amore e il dono di sé può riempire di gioia il cuore dell'uomo.


     


     


    (12) J. DUPONT, Il testamento pastorale di Paolo, Ed. Paoline, Roma 1980, 24. Il volume è un eccellente e massiccio (500 pp.) commento al discorso.


    (13) Paolo è tratteggiato da Luca in tutto il libro degli Atti come "il discepolo che segue in tutto il Signore". Sappiamo bene infatti come tutto il Vangelo di Luca sia costruito sulla base del "viaggio di Gesù verso Gerusalemme"; non a caso il Paolo di Luca conclude il suo terzo viaggio con una "salita a Gerusalemme": per portare il denaro alla comunità madre giudeocristiana, certo, ma - è questo l'intento di Luca - anche e soprattutto per compiere anche lui il suo "viaggio verso Gerusalemme" seguendo fino alla fine le orme del Maestro.

    Letto 4183 volte Ultima modifica il Sabato, 19 Giugno 2004 13:02

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