MARIA NELLA BIBBIA
di Alberto Valentini
I. Maria profeticamente adombrata nell''Antico Testamento
L'Antico Testamento nel suo insieme non è altro che una lenta, progressiva preparazione a Cristo: preparazione, annuncio ed anticipo di lui e della sua opera. Su questo unto è difficile non essere d'accordo.
Meno semplice è il problema se nell'Antico Testamento ci sia anche una lenta e progressiva preparazione a Maria, la Madre del Messia. "Abituati dalle narrazioni evangeliche a vederli vicini come madre e figlio, viene spontaneo chiedersi se questa associazione risalga ancor più indietro nella storia della salvezza o cominci soltanto con la storia evangelica" (O. Da Spinetoli).
Per alcuni Maria è assente nella rivelazione veterotestamentaria, o vi appare in modo così fugace e indeterminato che non è possibile tratteggiarne la figura. Per altri, al contrario, la Vergine sarebbe presente un po' ovunque nell'Antico Testamento, perché, dicono, in ogni pagina si parla di Cristo, e dunque anche di lei.
Tra queste affermazioni estreme si inserisce tutta la una gamma di posizioni intermedie. La presenza di Maria nel Primo Testamento si fonda, a nostro avviso, sul fatto che Dio è l'autore principale della storia salvifica e della parola manifestata nelle Scritture. L'unità dei due Testamenti costituisce infatti un presupposto fondamentale di ogni sana esegesi. Risuona sempre attuale l'antico assioma della lettura cristiana della Bibbia, secondo la quale il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico, e l’Antico diventa chiaro nel Nuovo. In questo senso si parla di una preparazione e presenza di Cristo nel contesto del Primo Testamento (cf Dei Verbum 15). E si può anche parlare di una presenza della Vergine Madre del Messia.
Si tratta però di annunci, di anticipazione vaghe e frammentarie, che possono essere rettamente intese solo quando gli eventi siano compiuti: ossia, alla luce del Nuovo Testamento, all'indomani della Pasqua. E' questo il metodo esegetico messo in atto da Cristo stesso (cf Lc 24,25-27).
Ed è il metodo adottato e proposto dal Vaticano II: "I libri dell’Antico e del Nuovo Testamento e la veneranda Tradizione mostrano in modo sempre più chiaro la funzione della Madre del Salvatore nella economia della salvezza, e ce la mettono quasi davanti agli occhi. I Libri dell’Antico Testamento descrivono la storia della salvezza nella quale lentamente viene preparandosi la venuta di Cristo nel mondo. E questo documenti, come sono letti nella chiesa e sono capiti alla luce dell'ulteriore e piena Rivelazione, passo passo mettono sempre più chiaramente in luce la figura di una donna: la Madre del Redentore" (Lumen Gentium 55).
In questo senso possiamo parlare di una preparazione e presenza della figura di Maria nell'Antico Testamento. Si può distinguere una triplice preparazione: morale, tipologica e profetica.
Preparazione morale
"Maria primeggia tra gli umili e i poveri del signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da Lui la salvezza" (Lumen Gentium 55).
L'Antico Testamento nel suo insieme, si è detto, è una lunga preparazione a Cristo in costante rapporto dialettico con il Dio della salvezza. E' una storia di grazia e di peccato, di amore e insieme di infedeltà. Il dialogo dell'alleanza, da parte del popolo, si muove secondo un ritmo di impegno-peccato-ritorno al Signore. E' questo un movimento che scandisce in qualche modo l’intera vicenda spirituale d'Israele.
Ma dall'VIII secolo, epoca dei grandi profeti, la teologia dell'Alleanza si trasforma: Amos, Isaia e poi Sofonia denunciano la grave situazione morale del popolo; Geremia giunge a parlare di uno "stato di peccato", che rende praticamente impossibile il ritorno al Signore.
Nessuno di questi profeti può tuttavia dubitare della realizzazione delle promesse fatte ad Israele. Essi introducono allora nella predicazione una realtà nuova, fondamentale: il tema e la teologia del "resto". Si tratta di un resto santo, del vero Israele, di un Israele qualitativo, designato per il compito che era di tutto il popolo: nel resto avranno compimento le promesse antiche.
Sofonia, per primo, scorge nel resto d'Israele un popolo di poveri (Sof 3,11-13), gli anawîm, cui i profeti promettono i beni messianici.
Maria, serva del Signore (Lc 1,38-48), è il vertice della comunità del resto d'Israele, e riassume, come dice A. Gelin, "l'immensa attesa che costituisce la dimensione spirituale d'Israele, che infine genera Cristo".
Preparazione tipologica
Sulla continuità della storia salvifica, sull'unità dei due Testamenti e sul carattere pedagogico-progressivo della rivelazione nella storia, si fonda anche il fenomeno della tipologia biblica.
La prefigurazione si può collocare ad un triplice livello: tipologia individuale, tipologia comunitaria e tipologia della "cose".
1) Nella tipologia individuale vanno collocate le donne dell'antica alleanza, specie quelle favorita da una maternità miracolosa, quelle facenti parte della linea genealogica del Messia e quelle che hanno avuto un compito particolare nella storia e nella salvezza d'Israele. "Riprendendo, riguardo a Maria, i termini che concernevano Sara: 'Vi è forse qualcosa di difficile per il Signore?' (Gen 18,14 - Lc 1,37) o Giuditta (Gdt 13,18-19 - Lc 1,42), Luca ha posto le prime basi di questa tipologia" (R. Laurentin).
2) Spesso il tipo non è costituito dal singolo personaggio dell'Antico Testamento, ma da un gruppo, dalla comunità, da Israele nel suo insieme. E' quella che viene chiamata tipologia comunitaria. Per noi moderni e occidentali questa tipologia non è così evidente. E' pertanto necessario esaminare innanzitutto il linguaggio biblico e ricollocarlo nel suo ambiente vitale d'origine.
Nel Vangelo dell'Infanzia di Luca, in particolare, Maria rappresenta ed incarna la comunità del popolo di Dio: la Vergine di Nazareth viene presentata come la vergine "figlia di Sion", di cui parla Sofonia (3,14-17). Per questo il Concilio afferma: "Con lei, eccelsa Figlia di Sion, dopo una lunga attesa si compiono i tempi e si instaura una nuova economia (Lumen Gentiun 55). Inoltre, essendo Sion il luogo della residenza di Jahvè, Luca sembra aver intravisto in Maria, figlia di Sion, la nuova Arca dell'Alleanza, la residenza escatologica di Dio salvatore. E' Luca stesso che autorizza questa tipologia mariana, anche se questo non ci autorizza ad estenderla a nostro piacimento.
3) L'interpretazione biblica ha le sue leggi. Nel caso specifico di Maria, arca dell'alleanza, abbiamo a che fare con una tipologia fondata su una riflessione che non ha per oggetto delle parole, ma delle realtà, delle "cose" dell'antica alleanza, che anticipano le realtà future e definitive del Nuovo Testamento, perciò parliamo di tipologia delle cose. In questo senso l'"arca dell'alleanza", il "tempio del signore" ed altre realtà dell'Antico Testamento sono figura di una tipologia delle "cose" riferita a Maria.
Preparazione profetica
La figura della Madre del Messia è annunciata nel Vecchio Testamento, non soltanto da realtà e figure, ma anche da parole, da testi che, pur riferendosi a un contesto storico immediato, troveranno il loro senso pieno e profondo solo quando i tempi nuovi saranno compiuto. Si tratta di annunci non facili a interpretarsi, e l'esegeta, onestamente, deve riconoscere la complessa difficoltà E' quanto rileva A. Robert: "La liturgia canta le grandezze di Maria, mutuando le parole dai profeti, da salmisti e dagli autori sapienziali. Dal canto loro, i Padri e i teologi, convinti dello stretto legame che unisce i due Testamenti e dell'armonia mirabile del piano divino (1Cor 10,11), non hanno mancato di sfruttare in senso mariano un gran numero di testi. Sollecitato a studiare gli stessi passi, dal medesimo punto di vista, che farà l'esegeta formato ai metodi moderni?".
Proprio perché affrontiamo i temi da un punto di vista biblico, ricercando innanzitutto il senso letterale dei testi, il nostro lavoro dev'essere condotto con rigore e con prudenza, senza tuttavia cedere a miopi grettezze dell'interpretazione della parola, che in Cristo e nella chiesa trova il suo compimento. Riteniamo infatti che, circa la Madre del Messia, è presente nell'Antica alleanza "una rivelazione autentica, benché soltanto abbozzata, che sarà chiarita nel Nuovo Testamento, rivelatore dell'Antico, e nell'interpretazione tradizionale della Chiesa" (R. Le Déaut).
II. MARIA NEL NUOVO TESTAMENTO
Approccio introduttivo
Se nell'Antico Testamento Maria è semplicemente adombrata, attraverso parole, simboli e figure, compresi "alla luce dell'ulteriore e piena Rivelazione", nel Nuovo testamento ella è presente in maniera diretta. Anzi possiamo dire che la "Nuova Alleanza", annunciata dai profeti (cf Ger 31,31-34), inizia proprio quando lo Spirito di Dio, promesso per i tempi futuri, discende su di lei (cf Lc 1,35).
A chiunque apra con semplicità il testo del Nuovo Testamento, Maria appare immediatamente, tra coloro che attendevano la consolazione d'Israele (al vertice dell'antico Testamento) e tra quanti hanno visto la salvezza di Dio (cf Lc 2,30) (all'inizio del popolo della Nuova Alleanza). Chi, dunque, legga il Nuovo Testamento, secondo l'ordine attuale dei libri biblici, s'imbatte subito nella figura di Maria.
La prima menzione è il termine della genealogia di Cristo: ella vi è stata collocata con un'originale espressione che spezza vistosamente lo schema stereotipato della genealogia ed introduce la novità della nascita del Salvatore: "Maria, dalla quale fu generato Gesù, chiamato Cristo" (Mt 1,16).
Matteo insiste nei primi due capitoli sulla sua figura in rapporto a Gesù (la madre di lui: 1,18; 2,11; "il Bambino e sua madre": 2,13.14. 20,21), a Giuseppe (sposa di lui: cf 1,16.18.20.24) e anche allo Spirito (1,20).
Nei primi due capitoli di Matteo la presenza di Maria è notevolmente accentuata: non si può certo dire che si parla poco di lei. Ma ecco la sorpresa: al di là dei racconti dell'infanzia, nei ventisei restanti capitoli del lungo Vangelo si parla di Maria soltanto in un testo e apparentemente in senso negativo (12,46-50). Poi più nulla. Vedremo perché, ma non subito.
Proseguendo la "lettura continua" del Nuovo Testamento, siamo al Vangelo di Marco (che tuttavia - come è noto - è il più antico e tipico tra quelli a noi pervenuto) e qui aumenta la sorpresa: Marco è ancor più reticente su Maria ed omette addirittura le narrazione dell'infanzia. Egli parla di lei solo in due circostanze e in testi che pongono non facili problemi di interpretazione (3,31-35; 6,1-6).
L'indagine su Marco procura un ben magro bottino e giustifica forse il lamento diffuso che il Vangelo parli poco della madre del Signore.
Ma appena si inizia il terzo Vangelo ecco, di nuovo, e ormai in piena luce, la figura di Maria. I primi due capitoli di Luca sono talmente mariani, per ampiezza ed intensità, da far temere a qualcuno quasi una riduzione della cristologia. Timore ovviamente non giustificato, essendo il Bambino - il Cristo Signore! - al centro dei racconti dell'infanzia.
La figura di Maria in questi brani appare molto più sviluppata che nei testi, in certa misura paralleli, di Mt 1-2. Là, Maria era vista sistematicamente in riferimento a Giuseppe e al Bambino; qui acquista un notevole rilievo e per così dire un'autonomia molto maggiore.
L'Annunciazione, in Luca, è fatta direttamente a Maria (1,26-38), che dopo un dialogo di grande fede e responsabilità, si proclama Serva del Signore (1,38). E' lei che si mette in viaggio (Giuseppe non viene neppure nominato: si pensi agli spostamenti in Matteo guidati sempre da lui) e porta la gioia messianica a Giovanni, Elisabetta e a tutta la casa di Zaccaria. Riconosciuta quale Madre del Signore, viene benedetta ed esaltata dalla madre del Battista. Lei stessa, infine, canta con accenti grandiosi e commossi la misericordia senza fine del Signore verso il suo popolo.
La Vergine, ovviamente, è protagonista nella nascita del Figlio (2,6-7) e negli eventi concomitanti: i pastori trovano Maria, Giuseppe e il Bambino (2,16). Ella non solo partecipa direttamente e in posizione privilegiata a tali eventi, ma li vive in maniera esemplare, cioè "con sapienza", cercando di scrutarne il senso salvifico. In questo atteggiamento viene additata due volte all'attenzione dei credenti di ogni tempo: Maria, poi, conservava e confrontava tutte queste cose nel suo cuore (cf 19,51).
Quaranta giorni dopo la nascita, la madre sale con il Bambino al tempio - come già un tempo Anna (1Sam 1,24ss) - per offrirlo al Signore (2,22-38): piena di stupore - insieme con Giuseppe - ascolta gli annunci grandiosi riguardanti il Bambino. A lei sola, tuttavia, (pur essendo lì presente Giuseppe), viene rivelato il mistero di dolore di questo Figlio e l'incredulità del suo popolo; mistero che trapasserà la sua esistenza come una spada.
Lo smarrimento e il ritrovamento al tempio dopo tre giorni "a Gerusalemme nella festa di Pasqua", annunciano già i tre giorni della sua Pasqua di morte e risurrezione, e vedono ancora Maria angosciata a causa di lui. Ella non può ancora comprendere il mistero di Gesù che si allontana dai suoi e che solo nella fede può esseri ritrovato, dato che ormai deve restare presso il Padre. Maria sperimenta per prima la difficoltà della fede pasquale; né lei né Giuseppe comprendono le sue parole. Non comprende, ma con rinnovata fedeltà crede alla Parola, anticipando così l'atteggiamento del vero discepolo, il quale sarà beato non per aver visto, ma per aver creduto (cf Gv 20,29).
Dopo questi episodi neppure Luca parlerà molto di Maria nel suo Vangelo. Ma ormai ella è là quale "madre del Signore", beata per la sua fede. Fede che sarà ancora messa in rilievo in due circostanze (8,19-21; 11,28); beatitudine che sarà proclamata senza fine da tutte le generazioni.
Luca non si arresta alla vita di Gesù, ma prosegue il suo racconto con la vita della Chiesa (Atti degli Apostoli). Proprio agli inizi, al sorgere della comunità primitiva egli pone in maniera significativa la figura di Maria, insieme con gli apostoli, le donne e in fratelli del Signore. Essi tutti sono in preghiera con Maria la Madre di Gesù (At 1,13-14). Questa è la Chiesa delle origini e di ogni tempo.
E siamo al Vangelo di Giovanni, in cui abbiamo due scene (2,1-11 e 19,25-27) molto importanti nelle quali è presente Maria: all'inizio e al termine del Vangelo, prima della sua "ora" e nel momento in cui la sua ora si compie: il primo e l'ultimo dei suoi segni, con i quali inizia e matura la fede dei discepoli.
Giovanni, l'evangelista che riflette maggiormente sul senso della vita, dei gesti e delle parole di Gesù e cerca di rivelarne il mistero, è anche l'evangelista che si sforza di penetrare il senso profondo e meno immediato della figura e del ruolo di Maria. I brani di Giovanni sono da leggere a più livelli e nel contesto del suo vasto e ricco simbolismo. Così nell'episodio di Cana la figura di Maria (la "donna") e il suo ruolo devono essere interpretati non solo come presenza, intervento contingente, ma nel contesto delle nozze, del vino (simboli messianico-escatologici), dell'ora, dei segni, della fede dei discepoli. L'episodio di Cana è da leggere, ovviamente, in rapporto con quello di Maria presso la croce, nel quale l'ora sarà finalmente compiuta e si realizzerà in pienezza quanto a Cana era stato annunciato ed anticipato. Il Vangelo di Giovanni costituisce, anche riguardo a Maria, un vertice della riflessione teologica del Nuovo Testamento. Ma su questi passi ritorneremo in prossimi studi.
Proseguendo nella "lettura continua" del Nuovo Testamento, ci imbattiamo nel testo di Gal 4,4ss, che in realtà è il brano più antico tra quelli citati per la marialogia neotestamentaria (con questo passo inizia il capitolo VIII della Lumen Gentium (n. 52) e la Redemptoris Mater (n. 1), anche se non si tratta d'un testo direttamente mariologico.
E infine il molto discusso capitolo 12 di Apocalisse, che si riferisce alla Chiesa, ma che, indirettamente e per estensione, indica anche Maria, la madre del Figlio, vincitore del serpente antico.
Il Nuovo Testamento, come si vede, proietta molte luci sulla figura della Vergine ma con grande differenza da libro a libro. Ogni attento lettore si domanderà il perché di tanta diversità - circa Maria, tra gli evangelisti Marco e Luca o tra i massimi teologi del Nuovo Testamento Luca e Giovanni. Perché da una parte tanta reticenze e addirittura silenzio e dall'altra una così grande attenzione? Tali differenze si spiegano con l'intento, il disegno particolare dei diversi autori (per es. Paolo concentra la sua attenzione sul Cristo crocifisso e risorto) e più ancora con la cronologia, la maggiore o minore antichità dei diversi scritti, cronologia non rispettata dall'ordine in cui si susseguono gli scritti neotestamentari. Ora la Chiesa ha preso coscienza progressivamente e ha formulato in maniera sempre più ampia e completa la sua fede. Approfondendo il mistero di Cristo ella ha messo in luce sempre più chiara la figura e il ruolo della madre. Tale approfondimento si è svolto in tappe progressive, che potrebbero essere ricostruite nel modo che segue:
1. In un primo tempo si è avuta la predicazione apostolica, centrata sull'annuncio essenziale di Cristo morto e risorto e seguita da un appello alla conversione. E' uno schema che si trova per esempio nei discorsi degli Atti degli Apostoli, i quali presentano una terminologia e una struttura molto primitive. In questa prima fase - nella quale collochiamo in particolare gli scritti di Paolo - non c'è alcun accenni diretto a Maria. Del resto non si dice quasi nulla della vita terrena di Gesù, prima della sua Pasqua di morte e risurrezione. In questo periodo si colloca tuttavia il testo di Gal 4,4-5: "Quando venne la pienezza del tempo Dio mandò il suo figlio, nato da donna…", che - lo ripetiamo - solo indirettamente può essere considerato mariano.
2. Un secondo stadio comporta la formazione dei vangeli, allargando la prospettiva - sempre centrata sulla Pasqua - viene narrata la vicenda di Gesù a partire dal Battesimo, vale a dire dall'inizio della vita pubblica. A questo livello sono da collocare i testi "mariani" dei Sinottici Mc 3,20-21. 31-35; Mt 12,46-50; Lc 8,19-21; 11,27-28).
3. In una terza fase si va oltre la vita pubblica e ci si interroga circa le origini, la nascita e i primi anni di Gesù. Entriamo così nell'ambiente familiare, domestico e troviamo, com'è ovvio, la ricca e molteplice presenza di Maria. Su questo sfondo vanno collocati i cosiddetti vangeli dell'infanzia (Mt 1-2 e Lc 1-2), testi molto recenti e teologicamente elaborati, premessi quale "ouverture" al resto del Vangelo.
4. La maturazione della riflessione su Cristo, proietta la sua luce su Maria sua Madre, che nel Vangelo di Giovanni e nell'Apocalisse acquista una densità teologica e simbolica particolare.
Sullo sfondo del complesso e ricchissimo mondo giovanneo bisogna leggere gli episodi di Cana (Gv 2,1-11), della Croce (19,25-27) e apocalisse 12. E' una lettura tutt'altro che semplice, anzi polivalente e in parte ancora misteriosa, ma che può fare intravedere, insieme con la concretezza la ricchezza molteplice e appunto misteriosa della figura di Maria che si intreccia in qualche modo si confonde con quella della Chiesa di Cristo.
I testi "mariani" più antichi
Dopo aver presentato un essenziale itinerario "mariano", seguendo la successione dei libri del Nuovo Testamento, da Matteo all'Apocalisse, è necessario ora compiere un itinerario più vero, che è logico e cronologico insieme: seguiremo lo sviluppo della presenza di Maria nelle diverse fasi della formazione del Nuovo Testamento.
Iniziamo dal testo ritenuto più antico.
"Nato da donna"
"Quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, che grida: Abbà, Padre" (Gal 4,4-5)
Con questo brano inizia il capitolo VIII della "Lumen Gentium" del Vaticano II (LG 52); con le medesime parole si apre l'Enciclica mariana "Redemptoris Mater (n 1).
Benché non si tratti di un testo direttamente mariano - "aperto", tuttavia, a una lettura ed esplicitazione mariana - è una pericope importante, valorizzata ampiamente dalla tradizione liturgica e dalla fede secolare della Chiesa. E' un testo notevole per antichità e ricchezza dottrinale.
Per antichità, è da collocare negli anni cinquanta dell'era cristiana, dunque tra i primissimi scritti del Nuovo Testamento. Per il contenuto, è una pericope particolarmente densa, centrata sulla "pienezza del tempo" e sugli eventi straordinari che la caratterizzano. "Pienezza del tempo" che ha colpito, in maniera straordinaria, Giovanni Paolo II, che ne ha fatto oggetto di una celebre omelia (1.1.1987) e l'ha posta quale sfondo e introduzione dell'enciclica "Redemptoris Mater".
Possiamo dire che nell'immagine della "donna", madre del Figlio di Dio, Maria è presente - anche se indirettamente - nella primitiva formulazione della fede cristiana. E data l'importanza del brano, tale "donna" è inserita, in un contesto non secondario, ma decisivo, nella storia della salvezza: nella pienezza del tempo, al centro della storia, nel momento in cui si compiono i massimi eventi, di cui sono protagonisti il Padre, il Figlio e lo Spirito.
"Questa pienezza del tempo definisce il momento fissato da tutta l'eternità, in cui il Padre mandò il suo Figlio, "perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16). Essa denota il momento beato, in cui "il Verbo, che era presso Dio, … si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,1.14), facendosi nostro fratello. Essa segna il momento, in cui lo Spirito Santo, che già aveva infuso la pienezza di grazia in Maria di Nazareth, plasmò nel suo grembo verginale la natura umana di Cristo" (Red. Mat. 1).
Dopo il testo di Galati, sempre in ordine cronologico, troviamo due brani, molto essenziali in Marco, il più antico degli evangeli a noi pervenuti: Mc 3,31-35 e 6,1-6.
Ci limitiamo al primo che, per il nostro discorso, appare più significativo.
"Sua madre e i suoi fratelli"
"Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: "Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano". Ma egli rispose loro: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?". Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: "Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre"" (Mc, 31-35).
Si tratta, com'è facile intuire, di una pericope non facile. In passato era considerata un testo antimariano, dunque negativo nei confronti della Vergine; ora, grazie ad un'esegesi più matura, non appare così.
Da questo brano - che è collegato in qualche modo con Mc 3,21 (in cui "i suoi" vanno per impossessarsi di lui) - appare chiaramente la radicalità delle esigenze del Vangelo e la nuova parentela, che scaturisce dall'ascolto della Parola e dall'adesione alla volontà di Dio. E' una dimensione fondamentale, che vale per tutti coloro che stanno "attorno a lui", per i suoi parenti e in particolare per sua madre. Maria è madre e "consanguinea" di Cristo, insieme con tutti coloro che compiono la volontà di Dio.
Già in Marco - l'evangelista più antico - si può scorgere in abbozzo la figura evangelica di Maria, che sarà sviluppata in Matteo e soprattutto in Luca. Questo episodio, apparentemente così scarno e ambiguo nel secondo Vangelo, verrà infatti ripreso dagli altri due "sinottici" (evangelisti con "ottica comune"), vale a dire Matteo e Luca (cf Mt 12,46-50; Lc 8,19-21). Questi, essendo più tardivi, testimoniano uno sviluppo maggiore della figura di Maria e una comprensione più profonda dell'episodio.
In esso, anzitutto, è caduto il testo di Mc 3,21, dal quale si può aver l'impressione che Maria fosse tra quei "suoi" che volevano impedire la missione di Gesù ella non poteva certo condividere un tale atteggiamento.
Matteo racconta semplicemente che la madre e i parenti "cercano Gesù per parlargli" (Mt 12,46-50). Ciò non impedisce che il primo evangelista sia radicale almeno quanto Marco nell'affermare i vincoli spirituali e la loro preminenza su quelli della carne. Ma chi sono i veri parenti di Gesù secondo san Matteo? Non semplicemente quelli che stavano "attorno" (cf Mc 3,34), ma i discepoli. Ora è noto che i discepoli, in Matteo (a differenza di quanto avviene in Marco, ove appaiono rudi e tardi a comprendere), occupano un posto di privilegio: essi sono i sapienti, i profeti e scribi della nuova Legge (cf Mt 13,52; 23,34): sono l'immagine del vero discepolo del Regno. Maria è "madre" in tal senso, quale discepola del Signore.
Matteo vede la madre di Gesù e i suoi fratelli come li vedeva la chiesa del suo tempo, quand'egli scriveva il vangelo: in un posizione importante all'interno della comunità di Gerusalemme. Ciò gli impedisce di pensare che essi avrebbero potuto ostacolare l'attività apostolica di Gesù. In Matteo, che è posteriore a Marco, la figura di Maria è vista dunque in una luce diversa e ovviamente più positiva.
Con Luca, l'episodio della madre e dei fratelli (Lc 8,19-21 + 11,27-28) assume una connotazione tutta particolare: non dà più alcuna impressione di poter essere un testo antimariano. Come già Matteo, egli omette di riferire la scena di Mc 3,21; non solo, ma aggiunge qualcosa di molto significativo. Egli colloca l'episodio, nel capitolo ottavo, subito dopo le parabole, che hanno come scopo di inculcare l'ascolto della parola di Dio. in tale contesto, la madre e i fratelli vengono perché "vogliono vedere Gesù" (cf Lc 8,20). Coerentemente con il discorso condotto fino a quel punto, egli risponde che sua madre e i suoi fratelli sono coloro che "ascoltano la parola di Dio e la compiono" (8,21).
Se per Marco, madre e fratelli erano quelli che stavano attorno, e per Matteo, i discepoli, per Luca sono quelli che ascoltano la Parola. E' la degna conclusione del discorso in parabole ed insieme la rivelazione dell'identità profonda di Maria. Ella è madre per l'accoglienza della Parola, che in lei ha portato frutto in pienezza (cf Lc 8,8). Nella risposta di Gesù è contenuto anche l'elogio di Maria, già proclamato da Elisabetta: "Beata te che hai creduto…" (Lc 1,45) e più tardi ripetuto dallo stesso Gesù: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono" (Lc 11,28).
Considerando, a questo punto, il cammino percorso da Marco fino a Luca, siamo in grado di costatare la progressiva presa di coscienza, da parte della primitiva comunità cristiana, della figura di Maria all'interno della sua fede. Questo è avvenuto a tappe, per stadi successivi. Gli sviluppi presenti in Luca a proposito dell'episodio dei parenti non erano certo prevedibili a livello di Marco.
Si comprende allora perché nel secondo Vangelo si parli così poco di Maria, e come invece Luca abbia potuto trasmetterci il Vangelo dell'infanzia, nel quale la figura della Vergine occupa un posto unico accanto a Cristo.
III. MARIA NEI "VANGELI DELL'INFANZIA" DI MATTEO E LUCA
Dopo aver presentato i brani più antichi del Nuovo Testamento, concernenti in maniera diretta o indiretta la Vergine Maria, consideriamo ora i cosiddetti Vangeli dell'infanzia, presenti in Matteo (1-2) e Luca (1-2). Essi segnano una fase ulteriore ed una tappa significativa nello sviluppo della presenza di Maria nel Nuovo Testamento. La fede della comunità primitiva - partendo dal nucleo centrale della morte-risurrezione di Cristo - ha espresso per fasi successive, in maniera sempre più completa, il mistero della salvezza. un analogo ampliamento e approfondimento si è avuto anche a proposito della madre del Signore: dopo il timido e indiretto accenno paolino di Gal 4,4ss e dopo gli episodi della vita pubblica, presenti in Marco, Matteo e Luca, questi ultimi - più recenti di Marco - sono risaliti a una fase ancor precedente della vita di Gesù: alla nascita e all'infanzia. E qui si è aperta un'ampia possibilità di mettere in rilievo la madre e il suo ruolo. Anche all'interno di questo scritti, tuttavia, è evidente una netta progressione: da Matteo a Luca si dà uno sviluppo notevole: approfondendo il mistero di Cristo si rivela, in luce sempre più chiara, anche la figura della madre.
I primi due capitoli di Matteo e di Luca costituiscono una sezione particolare e caratteristica nella letteratura del Nuovo Testamento, sono per così dire "i gioielli dei vangeli canonici" (A. Vögtle) e le pagine più edificanti degli scritti neotestamentari. Le narrazioni (con le scene del presepio, dei magi, dei pastori, con sogni e apparizioni di angeli…) sono affettivamente molto suggestive, ma presentano difficili problemi di esegesi. In particolare ci si interroga circa l'origine e l'ambiente di queste pericopi e il loro rapporto col resto dei vangeli. Pur non potendo dare delle risposte esaustive e perentorie, circa l'origine e l'ambiente, ci si orienta verso i circoli gerosolimitani, che facevano capo alla madre di Gesù e ai "fratelli del Signore". Questi ultimi avevano un grande influsso nella comunità di Gerusalemme e più in generale in ambiente palestinese. Mentre la predicazione ufficiale prescindeva dai ricordi dell'infanzia, era ben naturale che in tale ambienti se ne continuasse a parlare.
Circa il rapporto con i rispettivi vangeli, Mt 1-2 e Lc 1-2 non solo riferiscono il periodo dell'infanzia, omessa nella tradizione sinottica, che inizia con la vita pubblica (esattamente con la predicazione di Giovanni Battista (Mc 1,1-8; Mt 3,1-12; Lc 3,3-18), ma ne costituiscono al tempo stesso l'inizio e il termine, la premessa e il punto d'arrivo. In altre parole, nell'infanzia di Gesù (presentato da Matteo come il "Dio-con-noi" che i Magi adorano e da Luca quale Cristo Signore, luce delle genti e gloria d'Israele) è proiettata la gloria del Risorto. In questa luce i vangeli dell'infanzia appaiono composizioni postpasquali altamente teologiche, che manifestano la fede ella Chiesa che ha contemplato la gloria della risurrezione. La luce e la gloria si riflettono, oltre che sul Figlio, anche sul volto della madre.
Una Madre Vergine
Iniziamo con Matteo, che cronologicamente precede Luca e nel quale la figura di Maria, pur sottolineata, non attinge gli sviluppi del terzo Vangelo.
L'interesse di Matteo, non è direttamente mariologico, ma cristologico come viene proclamato a chiare lettere fin dal primo versetto: "Libro della 'genesi' di Gesù Cristo, figlio di David, figlio di Abramo" (1,1) e - subito dopo la genealogia (vv 1-17) - narrando il modo della sua nascita: "Così avvenne la 'genesi' di Gesù Cristo" (v. 18).
Di Maria si parla all'interno della genealogia (v. 16): non c'è ascendenza reale di Cristo senza di lei, se ne parla ancora all'interno della nascita di Gesù, nel racconto che piega "come" effettivamente avvenne la sua generazione.
Non solo l'interesse è eminentemente cristologico (si parla di Maria sempre in riferimento a lui), ma inoltre l'attenzione di Matteo à in questo profondamente giudeo - è concentrata su Giuseppe: egli non è semplicemente il rappresentante dinastico (v.- 1,16) e il responsabile della famiglia di Nazareth, ma anche colui, al quale l'angelo rivela il mistero della natività per opera dello Spirito. Ciò che in Luca, nell'annunciazione, sarà comunicato direttamente a Maria.
Nonostante tali prospettive, la presenza di Maria è marcata e significativa. Anzi proprio in tale contesto i riferimenti alla Vergine acquistano speciale rilievo.
Ella è presentata anzitutto come la madre di Gesù:
"…Maria, dalla quale fu generato Gesù chiamato il Cristo" (v. 1,16);
"…la madre di lui, Maria…" (v. 1,18);
"…videro il Bambine con Maria, sua madre" (v. 2,11);
"…il Bambino e sua madre (v. 2,13.14.20,21), formula caratteristica e particolarmente efficace, ripetuta quatto volte, a sottolineare il mistero di quella maternità. Sì, perché di mistero si tratta: siamo di fronte a una nascita miracolosa.
Matteo presenta Maria come madre di Gesù, ma tutte le volte che ne parla fa notare, per lo più discretamente, che si tratta di una maternità verginale. Nella genealogia, giunti a Giuseppe - ultimo anello della catena che da Abramo e da Davide conduce a Cristo non si ripete come per tutti gli altri antenati: ""generò", ma, con formula originalissima: "Giuseppe, sposo di Maria, dalla quale fu generato Gesù…" (v.1,16). La locuzione efficace, ma alquanto enigmatica in sé, viene presto spiegata (a Giuseppe) con grande chiarezza: ella è "incinta per virtù dello Spirito Santo" (v. 1,18); "quel che è generato in lei viene dallo spirito Santo" (v. 1,20). "Tutto questo avvenne affinché si compisse la parola del Signore che dice per messo del profeta: 'Ecco la Vergine concepirà e darà alla luce un Figlio…" (v. 1,22s).
In questa luce - tralasciando diversi altri indizi, va notata l'espressione caratteristica già citata: "il Bambino e sua madre". Essa cela un mistero che riguarda il Figlio e la madre, nel quale Giuseppe - presente sulla scena e da protagonista - non entra, ma si ferma discretamente sul limitare.
Maria, dunque, nei primi capitoli di Matteo, appare come la Madre-vergine dell'Emmanuele. L'evangelista è testimone prezioso di tale fede della comunità primitiva. L'origine del mistero viene spiegato a Giuseppe: "quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo" (v. 1,20).
La Madre del mio Signore
Luca, non meno di Matteo - anzi, con maggior arte e attenzione - sottolinea la centralità di Cristo nei primi due capitoli del suo Vangelo. Ma, a differenza di Mt 1-2, in cui Maria appare quasi esclusivamente come "la madre di Gesù", in Luca la figura della Vergine acquista contorni più netti e diverso spessore.
In Matteo, inoltre è in primo piano Giuseppe, al quale ufficialmente e giuridicamente fanno capo il Bambino e la madre. Gesù si innesta sulla genealogia del suo popolo, grazie a Giuseppe (v. 1,16), che viene salutato come "figlio di Davide" (v. 1,20); a lui si rivolge l'angelo del Signore (vv. 1,20; 2,13.19.20); lui impone il nome al Bambino (v. 2,14), di ritornare nella terra d'Israele (2,21) e di fissare la residenza a Nazareth (v. 2,23).
In Lc 1-2, al contrario, Giuseppe rimane nell'ombra e la figura della vergine appare in primo piano. Ella è la "creatura amata" oggetto della costante benevolenza di Dio; riceve un saluto denso di gioia messianica (v. 1,28); ha trovato grazia davanti al suo signore (v. 1.30): sarà madre del Salvatore, Figlio dell'Altissimo e discendente davidico (v. 1,32); è serva del Signore (v. 1,38), nella quale si compirà la Parola di salvezza. porta la gioia messianica ad Elisabetta e viene salutata, con grida di festa, "Madre del mio Signore" (v. 1,43) e beata per aver creduto (v. 1,45). Ella stessa dà libero sfogo ai sentimenti del suo cuore con un canto sublime (vv. 1,46-55) di esaltazione e di lode a Dio Salvatore, che ha guardato la sua miseria ed ha fatto cose portentose per lei e per tutto Israele suo servo.
Nella nascita di Gesù ella è al centro della scena: nei vv. 2,5-7 si parla quasi esclusivamente di lei. Non soltanto vive gli eventi da posizione privilegiata, accanto a Cristo, ma riflette, medita con atteggiamento sapienziale (cf 2,19.51) tutto quanto concerne il Figlio.
In occasione della presentazione al tempio offre Gesù al Padre e forma con lui come un unico sacrificio. Simeone la accomuna nel destino del Figlio, segno contraddetto, di fronte al quale si sveleranno i pensieri perversi dei cuori.
Nello smarrimento e ritrovamento al tempio - episodio misterioso e premonitore del mistero pasquale - in cui Gesù scompare per tre giorni e in fine viene ritrovato, la fede di Maria - come avverrà un giorno per quella dei discepoli - è messa duramente alla prova. In quel momento s'affretta ad aggiungere: "la madre di lui conservava tutte queste cose nel suo cuore" (v. 2,51). In tale atteggiamento Maria è immagine del discepolo del Signore, che accoglie la parola in cuore sincero e generoso (cf Lc 8,15), la custodisce e porta frutto nella perseveranza.
Si può dire, in conclusione, che in Lc 1-2 non solo Maria è costantemente presente, ma che gli avvenimenti sono raccontati in larga misura dal suo punto di vista. Ella è talmente al centro dell'attenzione da far quasi temere una carenza di cristocentrismo.
La sua importanza è dovuta alla missione da lei svolta nella nascita e nell'infanzia del Signore e alla sua fede, che la rende tipo del credente e per la quale, nel Vangelo di Luca, ripetutamente viene proclamata beata (v. 1,45.48; cf 11,28).
In Lc 1-2, Maria è non solo immagine del credente, ma anche figura della comunità dell'alleanza: tema che qui non possiamo sviluppare, ma col quale vogliamo concludere. La Vergine povera ed eccelsa figlia di Sion (cf LG, 55), Maria compendia in sé la spiritualità dell'antico Israele e inaugura la fede della Chiesa sposa senza macchia del suo Signore.
IV. MARIA A CANA
Queste scene neotestamentarie fanno parte della letteratura giovannea, la più tardiva e dunque la più matura, particolarmente densa di riflessione teologica. Qui, più che altrove, il racconto è al servizio del messaggio.
Non che gli scritto giovannei non siano occupino di storia; si tratta però di una storia "sacramentale", che nasconde e rivela al tempo stesso realtà altamente spirituali. Nell'umiltà delle vicende di questo mondo ha fatto irruzione la divinità ("Il Verbo si è fatto carne") e la realtà è stata investita e trasfigurata dalla gloria di Dio.
Eventi, azioni, gesti e personaggi presentano un marcato orientamento cristologico: sono al servizio della rivelazione del Figlio di Dio. in tale luce va considerata anche la figura di Maria.
La tradizione giovannea - a differenza di quanto avviene in Luca - appare piuttosto sobria, quantitativamente, nei confronti di Maria: ne parla solo all'inizio (a Cana) e al termine del vangelo (presso la Croce) e indirettamente in Apocalisse 12.
Ma, almeno per quanto concerne il Vangelo, è il caso di dire che la quantità è inversamente proporzionale alla qualità: nei due episodi - di Cana e presso la Croce - si tocca il vertice della riflessione su Maria nel Nuovo Testamento. Ella non è più soltanto la credente e la madre di Gesù, ma - proprio in quanto credente e madre - è posta all'inizio e al termine del Vangelo, al servizio della fede e della vita dei discepoli del Signore. In tal modo ella è coinvolta direttamente e in maniera unica con "la persona e l'opera del Figlio" (cf LG 56).
Le nozze di Cana
Gv 2,1-11 (12) è un brano che tanti hanno studiato, ma che cela ancora ricchezze misteriose, quasi inesauribili. E' un episodio-chiave non solo per la comprensione della figura di Maria, ma anche per penetrare nel cuore del vangelo di Giovanni, nel suo messaggio e in particolare nella sua cristologia.
Dopo il fondamentale capitolo primo, comprendente il Prologo al Vangelo, la testimonianza resa a Gesù da Giovanni Battista e la chiamata dei primi discepoli (il tutto scandito da una sequenza precisa di giorni e di ore, importanti per l'evangelista), ecco, subito, nel capitolo secondo, la presenza dilla madre di Gesù. La pericope di Cana non riguarda in primo luogo Maria, nonostante ella vi sia profondamente inserita. Tuttavia, proprio perché "incastonata" nel mistero di Cristo, tra realtà teologico-salvifiche grandiose, la figura della Vergine acquista un rilievo particolare. Ciò appare più evidente se si confronta questo episodio con quello di Maria presso la croce (Gv 19,25-27). Posti all'inizio e al culmine del mistero di Gesù e dei "segni" che lo rivelano, i due brani formano come una grande inclusione. Costituiscono, in certo modo, gli estremi in mezzo ai quali si compie l'intera opera salvifica di Cristo.
Il "principio" dei "segni"
Come si può già intravedere, la ricchezza della scena di Cana è impressionante; ma per non affastellare gli elementi, cominciamo a presentare il brano con le sue parti.
Il testo inizia con una determinazione di tempo e di luogo e si conclude con un'indicazione locale:
v. 2,1: "E il terzo giorno ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea…"
v. 2,12: "Dopo questo discese a Cafarnao…".
Un episodio inquadrato con tale cura e solennità - lo si capisce subito - non può essere una normale festa di nozze, ma un evento di salvezza che si svolge nel tempo e nello spazio dell'esistenza umana. A dissipare ogni equivoco, giunge puntuale la voce dell'evangelista che, al termine dell'episodio, commenta: "questo fece Gesù come "principio" dei "segni"…" (v. 11).
Il "segno" è un'azione o un'opera compiute da Gesù per rivelare la sua identità di Figlio di Dio, la presenza in mezzo a noi del Verbo fatto carne.
Cana è il "principio" dei segni che seguiranno: un archetipo, un segno-tipo, che sta all'inizio, prefigura e anticipa tutti gli altri, rivelandone il senso e la finalità. Non si tratta dunque di un semplice episodio, ma di un evento fondamentale, che inaugura la missione di Gesù. Con esso egli rivela la sua gloria, lo splendore e la potenza che aveva presso il Padre prima della creazione del mondo (cf 1,1ss; 17,5) e quella di cui sarà rivestito nella sua risurrezione. Il segno manifesta la gloria, e la contemplazione della gloria conduce alla fede: "e i suoi discepoli - conclude l'evangelista - credettero in lui!" (v. 11). Queste realtà fondamentali della teologia giovannea: segno-gloria-fede mostrano come la pericope di Cana sia profondamente radicata nel quarto Vangelo, e ne annunci i principali sviluppi.
Non saremo dunque stupiti quando sotto termini e realtà apparentemente comuni vedremo emergere realtà e simbologie densissime.
"Il terzo giorno"
Il brano inizia dunque con l'espressione: "il terzo giorno" (v.1). Non si tratta ovviamente di un semplice dato cronologico: la formula evoca il mistero della risurrezione, il segno per eccellenza, nel quale effettivamente si manifestò la gloria di Gesù e i suoi discepoli credettero in lui. "Il terzo giorno" esprime ancor oggi la nostra fede nella risurrezione.
In tale ampio e denso contesto di memoria e profezia il quarto Vangelo introduce Maria: "e la madre di Gesù era là" (v. 1). Il racconto inizia sottolineando la sua presenza. Nel brano ella viene indicata ripetutamente con la formula "la madre di Gesù" (vv. 1.3.5.12). come tale, nel v. 3, ella interviene presso Gesù perché ponga rimedio a una situazione difficile.
La madre di Gesù, la "donna" e l'"ora"
Maria - secondo lo stile dei personaggi giovannei (cf. Nicodemo, la samaritana, i giudei, il cieco nato…) - all'inizio si colloca e parla su un piano umano: "non hanno il vino" (v. 3). Gesù però la trasporta immediatamente ad un livello diverso e superiore, prospettandole un altro tipo di intervento e di presenza: "che c'è tra me e te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora" (v. 4).
E' una frase a prima vista enigmatica e sconcertante, dalla quale emergono tuttavia rivelazioni preziose.
Chiamandola "donna" e non madre (come sarebbe stato logico) Gesù prende distanza dai legami familiari, per riaffermare la sua identità e la sua missione. La sua risposta echeggia quella data nel tempio di Gerusalemme al "padre" e alla madre: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo stare presso il Padre mio?" (Lc, 48-49); e richiama le parole riferite dai sinottici circa sua madre e i suoi fratelli (cf. Mc 3,31-35; Mt 12,46-50; Lc 8,19-21). La carne ed il sangue devono cedere il posto alle esigenze del Padre e della missione da lui ricevuta.
D'altra parte il termine "donna" verrà ripreso ufficialmente nel testo parallelo della Croce (Gv 19,26), come titolo dato a sua madre, per sottolinearne una nuova identità e un compito particolare nel mistero della redenzione.
Già qui a Cana il temine sembra rivestire un senso positivo e nuovo, come si può arguire dalle parole che Maria pronuncia immediatamente dopo.
Gesù dunque rivendica un suo spazio anche nei confronti della madre. Per il momento, del resto, non è ancora giunta la sua ora (cf v. 4).
L'"ora" di Gesù è il tempo della sua passione- morte e glorificazione, nella quale il Padre e il Figlio saranno glorificati (cf. Gv 13,31; 17,1). A quest'ora è orientata tutta l'esistenza di Gesù. indubbiamente c'è un'inclusione ed una tensione su cui si muove tutto il quarto vangelo, tra l'espressione iniziale "non è ancora giunta la mia ora" (2,4) e quella del compimento "Padre, è giunta l'ora" (17,1). Essa determinata dal Padre e nessuno vi può interferire.
Dopo la risposta misteriosa e insieme rivelatrice di Gesù, l'intervento di Maria - prima legato a una situazione contingente à si trasforma e diventa invito ai servi a fare la volontà del Figlio: "Fate quello che egli vi dirà" (v. 5). Tale formula - si noti -echeggia l'antica professione di fedeltà all'alleanza (cf. Es 24; 7). Con quelle parole, legate a un fondamentale evento passato, ci si apre ad un evento nuovo che qui si va compiendo, ad un "segno" che rivelerà la gloria del Figlio di Dio.
Simbolo, memoria e profezia
E' sempre più evidente che l'episodio di Cana non è una semplice festa di nozze: tutto appare sacramentale e simbolico ed evoca altri gesti, come quello in cui Gesù moltiplica i pani, per poi rivelare che vero pane è il suo corpo e vera bevanda il suo sangue (cf. Gv 6,55). Tutto a Cana diventa simbolo, memoria e profezia: le nozze sono il segno della comunione finale di Dio con il suo popolo, nozze che si attuano in Cristo, sposo della Chiesa (si noti che nel capitolo seguente, in Gv 3,29, il Battista si definisce "amico dello Sposo", che, evidentemente, è Cristo).
Nelle nozze c'è naturalmente un banchetto, e sulla tavola non può mancare il vino. Il vino è particolarmente sottolineato nel nostro brano (ricorre cinque volte sulle sei di tutto il quarto vangelo) e il suo significato emerge in particolare da contrasto con l'acqua. L'acqua di cui qui si parla è lustrale, usata per la purificazione dei giudei. Come elemento rituale è legata alla legge antica. Essa viene trasformata nel vino nuovo, simbolo dei tempi messianici finalmente presenti, con la gioia che li caratterizza.
Il vino indica non solo i tempi messianici con la nuova legge e la gioia concomitante, ma Cristo stesso. Il maestro di tavole, infatti, non sa "donde venga" (secondo il tipico linguaggio giovanneo, il mondo non sa "donde venga" Gesù), a differenza dei servi che, avendo fatto quello che egli ha detto, sono diventati suoi amici, ai quali Gesù ha rivelato tutto (cf. Gv 15, 14s). Egli non comprende come mai lo sposo (che in realtà è Gesù) abbia riservato il vino buono fino a quel momento.