La famiglia come risorsa nell’approccio ai problemi dell’infanzia
La famiglia come realtà affettiva riceve una considerazione marginale nella società, è ritenuta spesso scomoda, talora pericolosa come una bomba a orologeria: tutti ne abbiamo una eppure non parliamo apertamente, perché nessuno è soddisfatto della famiglia che ha avuto, tant’è che nei discorsi sul bambino il richiamo alla parola "famiglia" va affievolendosi - anche perché non si sa più di che famiglia parlare. L’assenza di una cultura familiare comporta che le persone che si dedicano all’infanzia siano talmente concentrate sull’infanzia da percepirla come separata da tutto il resto e da non vedere, invece, che l’infanzia è relazionale e che il bambino cresce sulle relazioni.
Al bambino non servono soltanto nutrimento e protezione. La crescita abbisogna di quel nutrimento affettivo che determina la capacità di formare l’identità individuale. Ma chi favorisce la costruzione dell’identità del bambino? Oggi osserviamo i danni provocati da famiglie incapaci di favorire la costruzione dell’identità dei propri figli, danni tanto gravi che si parla spesso di adolescenza come se fosse una malattia e non la si considera più una fase del ciclo di sviluppo della persona ma quasi una forma di psicopatologia. In realtà l’adolescente "spara" i problemi che gli abbiamo dato noi, l’adolescente è il braccio armato della nostra impotenza nel farlo crescere.
Per fortuna, anche nelle famiglie più disintegrate o abusanti, il bambino mantiene una capacità di sviluppo che trova dentro i suoi geni, ovvero il sentimento di appartenere alla sua cultura familiare. Il problema, pertanto, non è quello di sottrarre i genitori al bambino, eliminando quelle figure negative o comunque immature con cui vive ma è, piuttosto, quello di trovare operatori, strutture pubbliche o private, che restituiscano alla famiglia il suo valore di risorsa.
Prof. Maurizio Andolfi