Aspetti psicologici
Sconfitta e fallimento in famiglia, oggi.
Strategie di superamento
di
Paolo Tolomelli
Reggio Emilia
- Alcuni quadri di difficoltà, tratti dall’esperienza quotidiana. - È possibile trovare un filo conduttore, per tentare di ridurre il danno? - Una prima valutazione: la stanchezza. - Dedicare più tempo all’educazione della persona. - Allenarsi all’autocritica costruttiva. - Cercare il senso della nostra esistenza e aprire, a noi e agli altri, nuovi orizzonti.
Alcune scene realmente avvenute :
- Durante una cerimonia nuziale, in una chiesa sovraffollata di luci e deliziosamente ornata di fiori. La madre della sposa, mentre i due protagonisti, commossi si scambiano sguardi affettuosi, sussurra sconsolata: "Perché non può durare così per sempre?"; è una donna provata da tante delusioni. Fa pensare al desiderio di Pietro sul monte della trasfigurazione di Gesù (cf Mt 17,4).
- In consultorio. Alla domanda: "Risposerebbe il coniuge attuale?", la risposta è spesso negativa o comunque – se discretamente disponibile – condizionata da preventivi drastici cambiamenti da parte dell’altro. Traspare il convincimento di non aver incontrato la "persona veramente giusta…l’anima gemella".
Non si rifiuta – di solito – il matrimonio in sé.
- Nello svolgersi di consulenze di coppia. Parecchi lamentano: "Mio marito/mia moglie non mi capisce…non si rende conto di quel che sopporto…pensa soprattutto/solo a sé".
Il coniuge si difende; a volte ribalta sul partner le stesse lagnanze/accuse; adduce spesso come legittime giustificazioni esigenze di lavoro obbiettivamente pesanti, sostenute e faticosamente portate avanti "per la famiglia". Pochi sono sfiorati dal dubbio che tale situazione di incomprensione e di sofferenza reciproca sia stata facilitata o determinata da una sostanziale impreparazione alla vita coniugale e familiare, impreparazione che può essere seriamente peggiorata dal narcisismo.
- In incontri occasionali, su mezzi pubblici, durante abituali attività quotidiane…Ci si sente dire: "Non ce la faccio più!". È un’esclamazione desolata e tristissima di tante persone persuase di essere coinvolte in una sconfitta esistenziale irreversibile, senza rimedio, la cui causa è solitamente attribuita alla carenza di tempo e di spazio necessari per far fronte alle numerosissime aspettative degli altri (coniuge, figli, genitori e suoceri, istituzioni sociali…). Assai raramente ci si interroga in modo sereno e obbiettivo sullo stato d’animo e sul metodo coi quali ci si accosta a tali compiti.
UN TENTATIVO DI INTERPRETAZIONE,
PER AIUTARE A RECUPERARE LA PIENEZZA DI VITA
Esiste un filo conduttore, un denominatore comune per interpretare i quadri descritti e risolverli , almeno parzialmente? Di certo abbiamo in noi il desiderio profondo di vivere in pienezza; abbiamo l’attesa che la nostra vita sia gratificante; desideriamo amare ed essere amati; non di rado però rimaniamo sommersi dall’onda montante delle delusioni.
Per distaccarci dalla palude in cui esse stagnano e proliferano, sarà opportuno iniziare da una valutazione – prima personale e di coppia, poi con gli altri: figli ecc. – della nostra "stanchezza", oggi ben comprensibile con tanti doveri e aspettative incombenti. Può trattarsi di psicoastenia, di uno stato fisico non ottimale, di un calo delle motivazioni che prima ci avevano attivato e sostenuto ; a volte ci sono cause relazionali, morali, spirituali…
È ovvio che i provvedimenti da prendere sono specifici; mi limito ad osservare, quale esempio per le cause fisiche, che non si è ammalati soltanto quando si ha la febbre: a volte un po’ di vacanza è indispensabile, necessaria più di un antipiretico, di un antibiotico…Si tratta comunque di fenomeni che dimostrano come la scelta del matrimonio non è una risposta ad una vocazione di mediocrità, improvvisata e di semplice realizzazione. Per questo il tempo del fidanzamento è prezioso ( "di grazia" ), in quanto tempo di verifica e di preparazione: verifica della maturità psico-affettiva propria e del partner, della capacità di integrare il principio del piacere con il principio di realtà con il discernimento fra l’io ideale e l’io reale accettando – non solo nelle intenzioni e nei buoni propositi – le nostre inadeguatezze; tempo di preparazione alla capacità di donarsi con una fortezza d’animo ed una pazienza attiva e fedele che non sono innate né facili da conseguire, bensì sono il frutto di un lungo e quotidiano esercizio.
È certo che le sconfitte (da non catalogare mai definitive o irreparabili!) si possono imputare a svariate cause; tra esse è sicuramente importante la mancanza di una costante e metodica educazione della persona fin dalla nascita da parte della famiglia e della società, con carenze di aiuti adeguati. Forse – per quanto concerne il rapporto genitori-figli – la distinzione e l’utilizzo del nostro tempo è proprio da rivedere, se è attendibile la conclusione di una recente ricerca secondo la quale i genitori (soprattutto i papà) dedicano al dialogo – non sempre affettivo – coi figli soltanto otto miseri minuti al giorno.
Ma non dobbiamo dimenticare che ciascuno di noi, in prima persona, deve allenarsi all’autocritica costruttiva, non banalizzando i numerosi e complessi problemi contemporanei né autosvalutandosi (l’umiltà è un’altra cosa: è una virtù), ma adoperandosi ad attuare un’ equilibrata correzione dei propri limiti ed una fiduciosa attivazione delle proprie doti positive. Tutto ciò con autenticità e, nei rapporti con gli altri, con empatia e spirito di condivisione. Avendo ben chiaro che l’autenticità consiste nel saper esprimere le proprie emozioni (che non sono segno di debolezza o di cattiveria) con obbiettività, rimanendo noi stessi, in armonia con i propri desideri e con le proprie convinzioni; è appena il caso ricordare che l’autenticità non va confusa con la maleducazione o col movimento di un elefante in un negozio di cristalleria. Analogamente l’empatia consiste nella capacità di percepire lo stato emozionale ed i pensieri – oltre che le parole – dell’altro senza perdere la propria identità. A sua volta, condividere non vuol dire approvare, ma comprendere, immedesimarsi nell’istanza.
RICERCARE IL SENSO DELL’ESISTENZA
Il desiderio dell’autorealizzazione – in sé buono e legittimo, oggi però sovente enfatizzato dai bisogni soggettivi – reso più arduo da una stressante competizione nel lavoro e da molteplici impegni nella società, sta determinando profonde frustrazioni intrapsichiche ed inoltre forti lacerazioni nell’ambito delle relazioni interpersonali; ciò alimenta i disturbi comportamentali e di personalità, in preoccupante aumento specialmente fra i giovani, nonché una esasperazione dei conflitti in ambito familiare e comunitario.
Credo che il rimedio debba partire dalla diagnosi accurata della situazione, senza perdersi in recriminazioni inutili né in accuse sterili, ma sforzandoci di distinguere la realtà oggettiva dalle elaborazioni soggettive. È opportuno ricordare che nessuno di noi è immune dal naufragio, altrimenti albergheremmo una presunzione nascosta: la sconfitta e il fallimento appartengono infatti alla condizione umana.
K.Jaspers parlò di "naufragio esistenziale" e affermò che il nostro essere è l’ "essere qui", l’ "esistere con altri".
È necessario quindi cercare il senso della nostra esistenza; bisogna scoprirlo, - non fantasticarlo – anche all’interno di noi stessi con creatività costruttiva, attivando le nostre potenzialità; bisogna capire le circostanze e le interrogazioni della vita…e rispondere, crescendo a livello interiore, attraversando momenti di crisi: sono momenti produttivi, perché c’è una maggiore maturità ed armonia da conquistare, perché in quelle circostanze, in quei frangenti si deve scegliere, cercando di aprire a noi e agli altri nuovi orizzonti, in modo ipotetico, non moralizzante, rispettando le diverse visioni e utilizzandole per un arricchimento reciproco.
È questo, in fondo, il quotidiano cammino – progressivo e paziente – che ci esorta a fare la fede cristiana.
Paolo Tolomelli
da "Famiglia domani" Aprile-Giugno n°2/2000