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Mercoledì, 01 Settembre 2010 18:26

Tra moglie e marito non mettere il potere

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La ricerca del potere da parte di un coniuge può minare in radice il legame di coppia mentre nella vocazione al matrimonio può essere contenuta la promessa di crescere attraverso la fedeltà anche a un budget comune. Tre i luoghi concreti della vita di coppia. da analizzare.

 

Gillini G., 2008 -Tra moglie e marito non mettere il potere. FamigliaOggi n.6 2008:16-23

Grazie, amore mio, perché non mi capisci! Francesca, che siede davanti a me con suo marito, afferma perentoriamente di essere arrivata più volte al litigio con il marito perché lui le ha vietato «... di comprarsi le scarpe!». Flavio ha tutta l'aria di una persona ragionevole e certamente l'espressione della moglie non va intesa alla lettera: c'è qualcosa che mi sfugge. Di lì a un momento è lui a spiegarmi l'arcano: la moglie, una professionista in carriera, quando vede un paio di scarpe belle in una vetrina, entra e... le compra! Passi che un ripostiglio della villetta dove abitano è letteralmente strabordante di scarpe, passi che lei afferma candidamente che: «Potrà pur permettersi qualcosa, dato che lavora e guadagna...». Quello che, da ultimo, ha fatto scoppiare una mega lite tra i due è che lei, entrando a fine giugno in un negozio di scarpe, ha comprato tre paia di scarpe estive alla bambina di cinque anni che, spiega il padre preoccupato, non farà a tempo nemmeno a usarle tutte prima che l'estate finisca poiché starà, un po' con i nonni e un po' con loro, per due mesi al mare. Inoltre il padre, attraverso il suo timore che la figlia venga instradata verso un consumismo smodato e diseducativo, cerca di rendere più razionale ed economico il comportamento della moglie.

Quale modello interpretativo ci proporrebbe il fondatore dell'economia classica, Adam Smith? Un modello in cui non solo il venditore, ma anche l'acquirente (e quindi Francesca) funziona "razionalmente"; su questo presupposto aveva studiato le prime leggi che collegano tra loro domanda, offerta e prezzo, pensando che il loro andamento fosse, in quanto logico, prevedibile. Certo alcune merci rare o particolarmente preziose potevano avere una loro curva di domanda e di offerta, ma per un bene come le scarpe, la legge che collega tra loro domanda, offerta e prezzo sembra essere quella universale per cui domanda e offerta, con le loro fluttuazioni determinano il prezzo del mercato. Questo prezzo sarà superiore al prezzo reale se la domanda supera l'offerta, mentre sarà inferiore se l'offerta supera la domanda; è chiaro che il prezzo a sua volta influisce su domanda e offerta in quanto un prezzo più basso stimolerà la domanda e limiterà la produzione di scarpe e viceversa. La conclusione è che solo l'assenza di informazioni, resistenza di risorse rare o la presenza di monopoli legali permettono al prezzo di mercato di distanziarsi costantemente dal prezzo reale; e in questo "autogoverno" della libera concorrenza Smith vedeva addirittura il benefico effetto di "una mano invisibile".

Ma la nostra Francesca, acquirente di scarpe, è veramente così sensibile al dato razionale offerto dal prezzo? Sì, nel senso che su di lei un prezzo basso delle scarpe aumenterebbe il proprio comportamento irrazionale di acquirente; ma il prezzo alto avrebbe una "corrispondente" azione deterrente? Flavio risponderebbe sconsolatamente negando che Francesca saprebbe razionalmente contenersi di fronte a un prezzo più alto!

Acquisti impulsivi

Edgar Morin1 afferma che la conoscenza è uno strumento complesso, caratterizzato dall'incertezza e dall'incompletezza. Per far chiarezza nel comportamento di un acquirente come Francesca (che sembrerebbe soggetto a una irrazionale confusione o a una inconscia spinta emozionale) bisognerebbe chiedersi se l'acquirente valuta le caratteristiche del prodotto, ne soppesa pregi e difetti, se sa fare confronti di qualità tra le varie aziende che lo producono (e relative marche!) e, infine, se sa inserirlo nel proprio budget di spesa. Francesca molto probabilmente è attratta solo da un aspetto del prodotto: una nuova sfumatura di colore, una griffe particolarmente reclamizzata, un'immagine di sé che indossa quelle scarpe come particolarmente affascinante. Tutta la sua storia la spinge a quell'acquisto che, in prima battuta, preferirei chiamare impulsivo e non stigmatizzarlo con il termine diagnostico di "compulsivo".

La storia personale di questa signora ha radici nel suo passato e trova certamente consonanze sia in suoi comportamenti più generali («Sono contenta quando lui mi accompagna a fare shopping», «Entrare in un centro commerciale mi dà una sensazione di festa!») sia in episodi più privati e personali. Per esempio, Francesca, durante la sua gravidanza, mi regalò la sua sensazione di essere diventata invisibile: «Adesso, camminando per strada sono una normale donna incinta e il ticchettio delle mie scarpe sul selciato non fa più voltare indietro nessuno!». Oltre alla forte componente narcisistica, notiamo che lei (che si riteneva, ed era effettivamente, una bella donna) era riuscita a fare entrare, nella continua ricerca della prova del suo fascino, la componente... scarpe!

Ecco allora perché per comprendere il consumatore non basta più l'andamento della curva della domanda, ma occorre tener conto della complessità personale dell'acquirente, la cui parte tradizionalmente detta "razionale" si fonde con il suo mondo affettivo e con le spinte emozionali che riceve dal contesto in cui vive, fino a embricarsi con la sua percezione della realtà, con l'organizzazione cognitiva che presiede alla sua mente. Nel momento però in cui l'economia considera l'acquirente un componente della domanda di un determinato bene che agisce razionalmente secondo le leggi della domanda, la complessità del mondo di Francesca resta sullo sfondo.

Potremmo trovare una migliore strada interpretativa nei testi di Daniel Goleman che ci ha insegnato a considerare l'intelligenza come emotiva2. Grazie al crescere degli studi di intelligenza sociale e di neuroimaging, si è giunti alla consapevolezza che esistono due vie che mediano il nostro impatto con la realtà: una è la via limbica, in cui ha sede l'amigdala che è un po' il radar emotivo del cervello; questa è la via chiamata via bassa o strategia calda ed è velocissima, più veloce del pensiero, immediata e assolutamente necessarla per la nostra sopravvivenza per agire emozioni/comportamenti. Per esempio, quando sentiamo un violento rumore, scatta l'impulso dello spavento attraverso l'amigdala che ci predispone, poniamo, a fuggire; così come quando, pur non avendo sentito il rumore, leggiamo sul volto dell'altro lo spavento e siamo pronti a provare le .tesse emozioni e a predisporci alle tesse azioni. Ma questo è Io stesso contagio per cui, vedendo un bel paio di scarpe, desidero averle e, se poi quelle scarpe sono reclamizzate da una persona famosa, il processo di scelta diventa rapidissimo, non contempla elementi razionali come il reale utilizzo dell'oggetto e il budget di cui dispongo, si basa su attese sollecitate dal mio desiderio di apparire ed essere apprezzato, applica scorciatoie ragionamento per cui il "costo" diviene sinonimo di "bellezza" oppure "bellezza" viene trattata come "utilità" fino a confondere il piano simbolico che l'oggetto ha per me con il piano funzionale.

All'estremo di questo processo troviamo l'acquisto che ha la sua unica ragione nel comprare un paio di scarpe non perché le precedenti si sono rotte (come si sarebbe detto da Adam Srnith all'epoca dei nostri nonni) ma perché mi sento giù di corda. Ecco allora lo iato tra il concetto di acquirente, che funziona secondo le razionali leggi della domanda e dell'offerta, e il concetto di "fare shopping" che è più vicino al concetto di "fare quattro chiacchiere", di "vedere uno spettacolo", cioè, di un'attività che procura piacere.

Per cui è facilmente pensabile che questa attività possa essere un atto di desiderio (o meglio di voglia), di esigenza collegata ad aspetti relazionali e affettivi che apre la strada all'immaginazione: il processo dell'acquisto è preceduto dall'anticipazione del piacere dell'acquisto dell'oggetto visto in pubblicità, o semplicemente da una realizzazione fantasmatica, tanto veloce quanto infondata, del sé. La via bassa può andare allora verso una forma di dipendenza dagli acquisti.

Per monitorare l'amigdala deve entrare in funzione la via alta (o strategia fredda) che ha sede nella neo-corteccia, la zona dove avviene la riflessione, abilitata a cogliere segnali, contesti e intenzioni che la via bassa, velocissima e grossolana non è in grado di cogliere. Senza la via alta ciascuno sarebbe consegnato a vivere "selvaggiamente" le proprie emozioni, senza districarsi, senza dare loro significati e strategie. L'esperienza ci dice (e oggi anche le neuroscienze) che noi abbiamo il potere di autocalmarci: la corteccia prefrontale detiene la facoltà di dire no agli impulsi sia che si tratti di vendicare un'offesa o di prendere, più semplicemente, un'altra tazza di cioccolata calda. Ma, come tutte le nostre facoltà, essa ha bisogno di essere esercitata: l'esercizio crea una strada neurale di collegamento tra via alta e via bassa; non si tratta, infatti, di cancellare la via bassa, ma si tratta di imparare a farla stare nei suoi limiti: e questa è una questione di intelligenza; una questione che si tradurrà in comportamenti che possono essere chiariti e compresi sempre meglio dalla ragione.

Cerchiamo di esemplificare in chiave coniugale, là dove l'affetto si associa con il legame3. E il legame che qui ci interessa è il legame quotidiano che può essere esemplificato nell'avvisare l'altro delle proprie azioni, nel concordare con lui le azioni che lo riguardano, nel fare con lui un budget che risponda alle esigenze di entrambi. La fedeltà, per così dire, a questo budget può diventare l'aspetto salvifico della relazione.

Una moglie può esercitare il suo potere sul marito innamorato perché la giustifichi e le permetta di comprare un paio di scarpe di cui non ha bisogno ricattandolo, per esempio, con la frase dell'adolescente che vuole sia l'autonomia che il consenso del genitore: «Allora non ti fidi! Allora non mi capisci! Allora non mi ami!». Ma estorcere questo consenso a praticare la via bassa non la farebbe crescere.

Potrebbe anche essere che io moglie non compro le scarpe perché «quel mostro di mio marito non mi capirebbe»; e avrei allora una forma di controllo "eteronomo", che io moglie sto affidando al marito, assegnandogli la funzione di grillo parlante. Ma, a prescindere dalla fine che fanno i grilli parlanti, certamente questo comportamento avrebbe pesanti effetti relazionali nella coppia che tutti possiamo immaginare: musi, ripicche e disguidi coniugali di vario tipo.

Ma esiste una terza soluzione. Se io moglie (è ovvio che tutto questo processo potrebbe riferirsi anche al marito!) credo fermamente che il legame mi salvi, posso scoprire che l'incomprensione del marito mi fa crescere, che il suo richiamo amoroso a non affidarmi alle risposte che mi suggerisce la via bassa, mi rende sempre più padrona di me stessa, sempre più autonoma. Questa moglie per concludere potrebbe veramente dire: «Grazie, amore mio, perché non mi capisci!». Nella vocazione al matrimonio è infatti contenuta la promessa di crescere attraverso la fedeltà... anche a un budget comune.

 

La consulenza economica

Due coniugi ci raccontano che hanno una casa appena acquistata con un mutuo in una zona periferica della città ancora aperta a un'ombra di verde, ma non del tutto soddisfacente rispetto ai rapporti sociali. Di recente hanno poi anche ereditato da una zia della moglie un piccolo appartamento in una zona della città (che una volta era considerata popolare, ma che ora sta diventando molto alla moda e quindi con un alto valore del mattone al metro quadro, ma che è anche la zona in cui Angela è vissuta e in cui abita sua madre). Sono riusciti a rimetterlo a posto con un piccolo mutuo e non hanno difficoltà ad affittarlo. Però, fatti i conti, rende una modestissima somma che non è sufficiente a pagare il mutuo della loro casa più grande in periferia. Che fare?, mi chiedono. «Continuiamo ad affittare?», dice Angela proponendo la sua tesi di non disfarsi dell'immobile che le ricorda la vaga promessa di poter abitare di nuovo in centro. «Vendiamo e cerchiamo di rinegoziare il mutuo?», dice An-drea proponendo la sua soluzione di restare nella zona dove sono e per il quale l'affitto costituisce un peso di cui si occupa malvolentieri.

Suggerisco loro di ricorrere a un commercialista della città esperto in immobili capace di tener conto del-l'andamento del mercato, capace di valutare correttamente rendite e investimenti, di confrontare gli interessi passivi dei mutui con gli interessi attivi dell'affìtto potrebbe dare loro la risposta. Ma se mi limitassi a ciò, aderirei ancora una volta al presupposto del comportamento razionale del consumatore di cui abbiamo detto sopra; nella fattispecie significherebbe credere che Angela e Andrea smettano di litigare perché sono messi davanti a dati di fatto o a considerazioni inequivocabilmente razionali, in termini economici.

 

Scelte razionali e non

Gli esperimenti sul comportamento individuale e sui meccanismi decisionali si sono sviluppati fin dalla fine della seconda guerra mondiale e hanno ricevuto una svolta a partire dagli anni '60 con gli studi di D. Kahne-man4 e A. Tversky che hanno dimostrato l'incapacità dei soggetti a compiere scelte ottimali dal punto di vista razionale, anche quando hanno a disposizione tutte le informazioni necessarie. In un famoso esperimento questi autori misero in crisi la validità del cosiddetto "principio di invarianza", secondo cui un ordine di preferenze non può essere modificato o rovesciato per effetto del modo con cui le opzioni sono messe a confronto. Infatti in questo esperimento si testava la decisione di persone a cui sottoponevano due scelte uguali, ma espresse in modo diverso.

  1. Nel primo caso il soggetto era invitato a immaginare di essere più ricco di 300 dollari e cioè di aver inaspettatamente ricevuto questa somma. Veniva poi posto davanti a un bivio e invitato a scegliere tra: una vincita certa di 100 dollari (raggiungendo il totale di 400 dollari) e una scommessa di vincere 200 dollari, ma con il 50% delle possibilità di vincerli e il 50% di non vincere nulla (con un risultato finale quindi di 300 o di 500 dollari).
  2. Nel secondo caso il soggetto era invitato a immaginare di essere diventato più ricco di 500 dollari e poi di nuovo posto al bivio, dovendo scegliere tra una perdita certa di 100 dollari (il che l'avrebbe portato a raggiungere come nel primo caso un totale di 400 dollari) e una scommessa di perdere 200 dollari, ma con il 50% delle possibilità di non perdere niente e il 50% di perderli (con un risultato finale quindi di 300 o di 500 dollari).

Le due alternative erano, come abbiamo visto, solo presentate in maniera diversa, ma avevano lo stesso risultato economico. Ci aspetteremmo quindi che in media se le persone preferiscono un'alternativa di rischio/fortuna nel primo caso, la preferiscano anche nel secondo.

Nell'esperimento originale di Kahneman e Tversky, al contrario, il 72% dei soggetti preferì il guadagno sicuro nel caso 1), mentre solo il 36% optò per la stessa alternativa nel caso 2). Con altre parole, nel primo caso, di fronte alla possibilità di un guadagno, la maggioranza dei soggetti si rivelò avversa ai rischio; mentre nel secondo caso, a fronte dell'eventualità di una perdita, i soggetti si rivelarono in maggioranza favorevoli al rischio. Come a dire: se stiamo guadagnando non vogliamo rischi ulteriori, ma se stiamo perdendo siamo molto più propensi al rischio.

Nel nostro caso, Angela aveva l'impressione di compiere sostanzialmente un buon affare mantenendo le due case nonostante i due mutui, e quindi non voleva rischiare; mentre per Andrea, che praticamente stava pensando che si stavano rendendo la vita impossibile e quindi sentiva come situazione pesante 1’avere due case, qualsiasi rischio sarebbe stato preferibile allo stato attuale. Da qui le accuse reciproche di incompetenza o di voler agire in maniera irrazionale e sconsiderata.

Il dissociarsi del coniuge da quel comportamento che, ciascuno dei due, considerava il solo razionale (il proprio) era visto come un segno negativo di diversità e acuiva il disagio del disaccordo. Quando raccontammo loro la tesi di Kahneman e Tversky, dai cui esperimenti emergerebbe che gli individui propendono a dare in valore quasi doppio a perdite di modesta entità rispetto ad analoghi guadagni, il comportamento del coniuge divenne a ciascuno più "comprensibile", meno irrazionale e pauroso. Fu chiaro che la diversità proveniva non da un’inaffìdabilità dell'altro, ma da un movimento emozionale diverso nei confronti del vissuto; e allora si guardarono con molta più benevolenza e furono in grado di accogliere il movimento emozionale dell'altro come "credibile", accettabile: «In fondo anche per me la situazione non è poi così sicuramente di guadagno», ammise la moglie. Il marito rispose ammettendo da parte sua qualcosa di simile.

Dopo qualche tempo si prospettarono una terza soluzione: vendere entrambi gli appartamenti e comprarne un terzo nella zona della città in cui era l'appartamento ereditato da Angela e in cui viveva sua madre.

Angela e Andrea avrebbero potuto non essere rassicurati dalla teoria di Kahneman? Certamente. Ci sono casi in cui un coniuge ricerca con ogni mezzo la possibilità di mantenere il controllo sull'altro, in cui cioè il suo desiderio di controllo totale del sistema coniugale denuncia la sua paura della perdita e nello stesso tempo il piacere della vincita.

Eccoci di fronte a un'altra coppia,che ha teorizzato la propria situazione come insostenibile. Lucia: «Lui non lo dice, ma in fondo è d'accordo con i suoi che mi odiano e mi disprezzano. Quando andiamo da sua madre, lei non fa altro che spiegarmi come "Noi piemontesi... Noi in cucina... Noi con i bambini..." e per conseguenza, qualsiasi cosa io proponga, loro storcono il naso. Oh... con molta cortesia, ma per loro basta che uno sia nato a Roma... per essere inferiore... per essere "uno che parla, parla ma,..". Io sono proprio stufa...».

Riccardo; «Ma tu dai miei non vuoi mai venire! Nemmeno quando ci si trova con tutta la parentela. Per non farti fare sempre e solo la figura della guastafeste, io ti ho proposto mille volte di lasciare andare me con il bambino, ma tu dici: "Non sono mica matta! Mio figlio non lo lascio certamente in mano ad altri!"».

Lucia e Riccardo nel giro di poche altre battute allargano il conflitto in modo da giustificare la propria diagnosi da "piccolo psicologo": «Ormai... ho capito che lui, che io... ».

In che cosa consiste qui il potere?

Non si tratta di soldi o di spese, si potrebbe pensare. Eppure il "potere di decidere una spesa" o "il potere di definire una situazione" hanno una radice comune: la diffidenza di un coniugo verso ciò che l'altro farebbe e la necessità, sentita come vitale, di proteggersi, di definire lui la propria vita (e meglio sarebbe dire: la propria morte!).

 

Il potere come mito

L'idea di potere e di controllo era per il grande Gregory Bateson5 una demarcazione fìttizia e unilaterale da parte del singolo nella globalità del sistema in cui si vive. Da qui la polemica con Jay Haley il quale sosteneva che le relazioni umane sono contraddistinte dalla ricerca del potere, a cominciare dalle differenze segnate dal-l'informazione. Anche la relazione tra marito e moglie potrebbe essere guardata dal punto di vista del potere; secondo un nostro modesto parere, che a qualcuno sembrerà troppo semplicistico, ci pare di poter mantenere addirittura sia la prospettiva di Haley (nel momento in cui il singolo coniuge va alla ricerca del potere) sia la prospettiva di Bateson (secondo cui tutte le relazioni non possono essere unilaterali, perché sono sempre reciproche, in quanto circolari e retroattive: anche un dittatore ha potere perché qualcuno gli da potere). Infatti, è in questo senso che per Bateson il potere non esiste, se non come mito che il singolo può perseguire con gli effetti deleteri per cui egli notava che il potere "corrompe sempre". Quindi è vera la circolarità a cui si rifà tutta la visione sistemica; nel contempo le relazioni in cui un coniuge cerca il potere, possono essere altamente distruttive.

Ecco allora la distruttività della coppia Lucia e Riccardo: Lucia si arrocca sul sentito di esclusione che il clan di Riccardo opera verso di lei e, come vittima, acquista quindi potere: non solo di non affidare il figlio nemmeno al marito, ma di definire unilateralmente la relazione con i parenti acquisiti piemontesi (in cui include il marito). Riccardo non è da meno e si arroga il potere di fare da giudice (non) imparziale della relazione tra il suo clan e la moglie (ma, in ultima analisi, su quest'ultima). Queste due tensioni verso il potere, proprio come afferma Bateson, stanno portando la coppia verso il naufragio. Nessuno dei due coniugi sembra disponibile a chiedersi come lui contribuisca a costruire quella relazione dolorosa che imputa unilateralmente all'altro. Lucia, infatti, direbbe che Riccardo non la difende, ma non si chiede se lei vuole veramente essere difesa con le armi che lui ha o crede di avere. Riccardo direbbe che Lucia non si affida mai a lui e che è sempre in polemica con tutti («Perfino con il postino, è riuscita a litigare! », disse una volta tra i denti), ma non si fa raggiungere dalla disperazione della moglie che si sente in un paese straniero, che si sente come un gatto che quando ha paura, arruffa il pelo per sembrare una tigre e spaventare il nemico che gli sembra tanto più forte.

 

Un conflitto distruttivo

Entrambi sono chiusi all'interno della loro caverna dalla quale pensano il mondo come un prolungamento del "proprio" mondo. Già Platone ci ha insegnato che ciascuno tenderebbe a utilizzare il paradigma del "mondo così come è immediatamente percepito nella propria caverna" come "il" mondo.

Lucia e Riccardo tendono a crearsi potere, ciascuno nella propria caverna; ciascuno è disponibile a spiegarmi in lungo e in largo le ragioni per cui si sente costretto a "spendere" tanta fatica a difendersi. Ma, tecnicamente, l'aiuto a questa coppia passa esattamente per un sentiero diverso: far sperimentare a ciascuno che è proprio nello sporgersi verso l'altro che il loro problema si appiana.

In fondo, ripensando al conflitto più "economico" tra Francesca e Flavio di nuovo non possiamo non vedervi il conflitto di potere: chi ha veramente il potere di definire la quantità di scarpe che occorre a Francesca? Allo stesso modo, per Angela e Andrea, ci si potrebbe chiedere chi abbia veramente il potere di decidere la vendita o l'affitlto della casa ereditata da Angela oppure se, nei nuovi termini con cui abbiamo interpretato la loro disputa, debba prevalere l'intuizione economica di Andrea o quella di Angela, mentre abbiamo visto che proprio dall'accoglienza dei due contrastanti punti di vista, nasce la possibilità di una terza via che prima non sembrava nemmeno possibile.

Rispetto alle modalità con cui ognuna delle tre coppie che abbiamo esaminato in questo articolo è stata aiutata a raggiungere un momento di ascolto e comprensione reciproca, non possiamo non prendere atto di aver dato loro un aiuto tecnico.

Ma, rispetto ai contenuti finali che, con tutte e tre le coppie, siamo riusciti a raggiungere, ci pare di ritrovarli già nelle indicazioni del profeta Isaia, al cap.51:

1O voi tutti assetati venite all 'acqua,

chi non ha denaro venga ugualmente;

comprate e mangiate senza denaro

e, senza spesa, vino e latte.

2Perché spendete denaro per ciò che non è pane,

il vostro patrimonio per ciò che non sazia ?

Su, ascoltatemi e mangerete cose buone

e gusterete cibi succulenti.

3Porgete l'orecchio e venite a me,

ascoltate e voi vivrete.

Io stabilirò per voi un 'alleanza etema,

i favori assicurati a Davide.

 Ogni coniuge non ha bisogno di arroccarsi in una posizione di potere per difendersi e "comprare quanto non serve, non sazia". Anzi è proprio questa insopprimibile ricerca del potere che aggrava la situazione della relazione. Restando nell'alleanza con il Signore (che concretamente non significa altro che restare nell'alleanza con il coniuge) entrambi potranno mangiare cose buone e gustare cibi succulenti: e ce ne sarà anche per i loro figli!

Gilberto Gillini (consulente formatore e docente presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su matrimonio e famiglia)

 

NOTE

1 Morin E., Il metodo. Ordine disordine organizzazione, Feltrinelli, Milano 1983.

2 Goleman D., Intelligenza emotiva, trad. it. Rizzoli, Milano 1996; Goleman D., Intelligenza sociale, trad. it. Rizzoli, Milano 2007.

3 Botturi F., Vigna C. (edd), Affetti e legami, Vita e Pensiero, Milano 2004.

4 Daniel Kahneman è uno psicologo israeliano, vincitore del Premio Nobel per l'economia nel 2002 «per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d'incertezza». Professore all'Università di Princeton, collaborò per anni assieme con Amos Tversky; nella comunità scientifica è ironicamente noto per essere l'unico psicologo ad aver mai ottenuto un Premio Nobel. Recentemente un suo agile testo è stato tradotto in italiano: Kahneman D., Economia della felicità, II Sole 24 Ore, Milano 2007.

5 Bateson G., Verso un'ecologia della mente, trad. it. Adelphi, Milano 1976. Per una prima informazione cfr. Andolfi M. (a cura di), I pionieri della terapia familiare. Franco Angeli, Milano 2002.

Letto 3255 volte Ultima modifica il Lunedì, 29 Novembre 2010 12:47

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