Le depressioni rappresentano il territorio dove, in questo momento, si combatte la battaglia più importante nel campo della salute mentale. La psichiatria legata agli approcci biologici e il suo potente sponsor - l'industria farmaceutica puntano molto su alcuni disagi che, oltre a essere molto diffusi, rappresentano il volto più rispettabile dei disturbi mentali.
I malati di depressione, in effetti, incarnano perfettamente l'antico sogno della psichiatria di rappresentare una specialità medica come le altre, a patto che essi si adattino senza difficoltà a essere considerati dei malati come gli altri. Non arrivano al delirio esprimendosi in modo strano e non adottano comportamenti provocatori, semplicemente si limitano a cadere nella tristezza e a soffrire in silenzio. Accettano di buon grado le medicine che vengono loro offerte e (nel colmo della delicatezza), invece di protestare se esse non hanno effetto, si autocolpevolizzano. Fortemente legati alla rispettabilità delle apparenze, non si ribellano alle metafore biologiche che interpretano le loro sofferenze in termini di problemi biochimici del cervello. Dopotutto, sono cresciuti in ambienti che scoraggiano la critica e l'espressione di emozioni ostili, pertanto si sentono più sicuri con rimedi di carattere medico piuttosto che psicoterapeutico.
Da un lato, sulla capacità di consumo di tarmaci da parte dei depressi (di alcuni antidepressivi dai prezzi scandalosi) non c'è il minimo dubbio. Basti ricordare il fenomeno Prozac che, sebbene sia stato superato da altri prodotti più moderni e già non si studi quasi più nelle facoltà universitarie di Medicina, continua però a essere studiato nei Master e nei corsi di Business Administration.
Senza dubbio, se c'è un disturbo psicologico capace di esprimere molto chiaramente la realtà relazionale sottostante, questo è la depressione, sulla base del semplice fatto che le persone cadono nella tristezza quando hanno una ragione per farlo. Solo che i motivi non sono sempre evidenti e, spesso, non si è neanche in grado di parlarne. Per questo è una responsabilità sociale, etica e perfino politica, oltre che ovviamente professionale, liberare i depressi dall'immensa mistificazione che li presenta, a sé stessi e agli altri, come semplici conseguenze casuali di una disfunzione fisiologica.
Due puntualizzazioni
Ma prima di proseguire in una proposta di comprensione dei fenomeni depressivi, sono necessario due puntualizzazioni. Quando denunciamo la biologizzazione delle depressioni non stiamo negando l'importanza del sostrato biologico. È ovvio che il cervello offre loro, come a tutti i processi mentali, un hardware imprescindibile: il software, infatti, entra attraverso gli organi sensoriali, che veicolano la comunicazione e la relazione.
Focalizzarsi solo sui meccanismi biochimici dell'attività cerebrale del depresso è tanto assurdo quanto chiamare un elettricista quando il nostro computer non si accende. D'altra parte nessuno potrebbe farlo funzionare senza elettricità. Dato che parlare di depressioni in generale porta a cadere in una rilevante semplificazione, perché esistono numerose modalità di depressione corrispondenti a contesti relazionali molto differenti, di seguito useremo il termine depressione per riferirci alla depressione "maggiore", eredità della vecchia psicosi maniaco-depressiva, collocata nel grado più elevato della classificazione che ne stabilisce la gravità. Useremo invece il termine "distimia" per riferirci alle forme meno gravi dei disturbi depressivi, corrispondenti alla sfera delle nevrosi. Il futuro depresso viene al mondo in una famiglia definita da un rapporto coniugale della coppia genitoriale di segno complementare, vale a dire, generatore di grandi confronti o conflitti e tendente a funzionare in modo ragionevolmente armonioso.
Dando la priorità alla coniugalità rispetto alla genitorialità, questa coppia sperimenta difficoltà nell'esercizio delle funzioni proprie dei genitori. Queste difficoltà di solito si traducono in un eccesso di richieste sul piano della responsabilità e in una scarsa valorizzazione degli sforzi per rispondere a tali esigenze. Si tratta di condizioni congiunturali, che possono durare per più o meno tempo a seconda delle circostanze, e che di solito si manifestano nel trattamento che un figlio riceve. Un esempio tipico è quello della figlia che, in altri tempi, rimaneva nubile per prendersi cura dei genitori nella loro vecchiaia, o semplicemente quella figlia che, indipendentemente dal suo stato civile, era più sottoposta a richieste che apprezzata per i suoi servizi alla famiglia. Questo non significa che i genitori fossero esigenti e poco attenti alla valorizzazione, ma che alla figlia, in pratica, toccava sottomettersi a questa norma relazionale. E le toccava anche una certa predisposizione alla depressione.
Crescere in un ambiente iperesigente, dove la ribellione è proibita, porta a costruire una identità basata su narrazioni di sé coerenti con questo contesto. In queste narrazioni occupano un posto di privilegio la responsabilità, il desiderio di andare d'accordo con gli altri, la necessità di preservare la rispettabilità delle apparenze e di tenere un comportamento al di sopra di ogni sospetto. Così si spiega il fatto che il depresso sia il principale complice della biologizzazione del suo disturbo, che lo assolve da qualunque partecipazione a confusi giochi relazionali. E si spiega anche il fatto che, se soccombe alla disperazione, cerchi la soluzione alla sua condizione nell'atto depressivo supremo che è il suicidio. Uccidendosi, il depresso da un lato punisce sé stesso per non aver saputo essere all'altezza delle circostanze, ma dall'altro lato si vendica dell'ingiusto trattamento subito lasciando un'amara eredità di senso di colpa a chi resta in vita.
Certamente, se gli rimane capacità di resistenza, il futuro depresso cerca protezione tentando di scappare quanto prima da ciò che lo imprigiona nella svalutazione costante e nella squalifica. Pertanto la sua scelta di coppia viene definita dalla premura e dal bisogno di ottenere ciò che gli manca: una relazione più protettiva e orientata alla valorizzazione piuttosto che improntata sull'eccesso di richieste. Se la trova, probabilmente finiscono i suoi problemi; ma l'urgenza è cattiva consigliera, ed è possibile anche che, nella fretta, si lasci ingannare da un'offerta relazionale adeguata solo in superficie alle sue necessità.
Rilevanza del ciclo vitale
II coniuge tipico del depresso (o della depressa, per rendere giustizia alla statistica) è una persona che ha bisogno di dimostrare a se stesso e al mondo di essere in grado di proteggere e sostenere in modo generoso chi possa chiedere il suo aiuto. Il problema nasce nel momento in cui chi offre questo aiuto — che inizialmente porta benefìcio alla persona potenzialmente depressa - lo rivolge meno alle necessità di quest'ultimo e più alle proprie esigenze; di conseguenza, non ci sono garanzie ragionevoli né della continuità né dell'adeguatezza di questo aiuto. Quando il futuro paziente si sente oggetto di un nuovo inganno (non dimentichiamo che viene da una famiglia nella quale le rispettabili apparenze coprono gravi carenze relazionali), può darsi per vinto, soccombendo definitivamente alla depressione. La coppia così costruita si evolve dominata da una "complementarietà rigida", nella quale il paziente si abbandona progressivamente ai sintomi e allo svilimento, mentre il coniuge accumula sempre più responsabilità e prestigio. E non è raro che, di nuovo, questa facciata serva a nascondere i punti deboli del coniuge, che brillerà nel suo splendore pieno di abnegazione parallelamente allo sprofondamento del depresso nella miseria della cronicità.
Una prospettiva evolutiva aiuta a contestualizzare le depressioni in una dimensione di ciclo vitale. Può succedere effettivamente che, già nell'infanzia, sia così grande il peso delle aspettative e tanto dura la carenza di stima che il bambino finisce per soccombere in un processo che, probabilmente, non evidenzierà i sintomi caratteristici della depressione, però potrà sfociare nel suicidio. Se il soggetto riesce a superare la fase dell'adolescenza, è possibile che il disturbo si scateni nell'età adulta, quando, come abbiamo visto, una relazione di coppia che frustri le aspettative di ricevere aiuto e sostegno può rappresentare un fattore decisivo.
Però, nel caso in cui il rapporto di coppia non basti per innescare la depressione, quest'ultima può scatenarsi durante la vecchiaia, quando non mancano perdite rilevanti né occasioni per trasferire sul rapporto costruito con i figli la dimensione della conflittualità e della sua gestione.
Il percorso del paziente distimico è radicalmente diverso, sebbene nel concreto esistano molteplici varietà che si mescolano con la depressione. In linea di principio, il distimico proviene da una famiglia definita da una coniugalità disarmonica della coppia genitoriale, che non esita a usare i figli come alleati per cercare di risolvere i suoi conflitti. Intrappolato in questo gioco disfunzionale, il futuro distimico sperimenta un'ansia legata al suo conflitto con il rapporto di lealtà che, nel momento dell'alleanza con un genitore, comporta immediatamente la perdita di relazione con l'altro.
Questa perdita provoca una tristezza che ritornerà più avanti, quando la vita porterà a nuove perdite significative dal punto di vista relazionale, e si tradurrà in un conglomerato di sintomi ansioso-depressivi, tipicamente nevrotici, che caratterizzano la distimia. Anche la coppia del distimico si costruisce in termini differenti rispetto a quella del depresso, posto che la si costruisca sulla base dell'uguaglianza.
In effetti, il futuro distimico sceglie una persona con un patrimonio relazionale simile al suo, fondando una coppia di taglio simmetrico. Quando una nuova perdila (ad esempio: il genitore alleato muore, i figli iniziano ad andare a scuola, il licenziamento dal posto di lavoro, ecc.) viene accolta in modo sintomatico, la parità si rompe, sebbene i sintomi ristabiliscano un nuovo equilibrio che, a causa della precarietà della loro diversa partecipazione, produrrà una simmetria instabile.
E cosa si può dire dell'approccio terapeutico a questi disturbi? Le distimie - che rappresentano un incubo per la psichiatria biologica a causa della resistenza dei sintomi agli psicofarmaci e per il loro carattere di sfida e manipolazione — di solito rispondono molto bene alla terapia di coppia. Il terapeuta deve mantenere una neutralità, cioè una relazione nella quale nessuno dei due membri della coppia lo percepisca come alleato dell'altro. Insegnare al paziente e al coniuge a negoziare, rendendo flessibile la simmetria instabile con l'introduzione di elementi di compiementarietà nel rapporto, di solito mina il terreno dei sintomi facilitando la loro scomparsa. La coppia uscirà trasformata dal processo, con la possibilità sia di rafforzarsi sia, al contrario, di avviarsi alla separazione.
Per quanto riguarda la depressione maggiore, la terapia è più laboriosa e complicata, in quanto deve focalizzarsi sui diversi fronti relazionali dove i sintomi acquistano significato. Se parliamo, come avviene abitualmente, della depressione dell'adulto, la terapia dovrà concentrarsi sulla coppia, a patto che questa sia il contesto relazionale più importante. In questo caso, a differenza di quanto avviene nella distimia, sarà importante stabilire un'alleanza con il paziente, anche se negoziata con il coniuge e da lui autorizzata, dovendo quest'ultimo capire che sarà il primo beneficiario di un successo terapeutico. D'altra parte, sarà necessario anche porre attenzione sulla radice del problema nella famiglia di origine, dedicandole alcune sessioni, o con la partecipazione di alcuni dei membri significativi della famiglia, oppure attraverso la loro evocazione se la presenza non è possibile. E, infine, non bisogna trascurare un lavoro individuale con il depresso, che aiuti a modificare le sue narrazioni a lunga scadenza. Avendo già fatto riferimento alla dimensione evolutiva dei fenomeni depressivi, terminiamo con la storia di Raquel, che la illustra bene.
La storia di Raquel
Lucia, la figlia maggiore di Raquel, chiede una terapia familiare per se stessa, sua madre e i suoi fratelli, allo scopo di superare il dolore per la morte del fratello più giovane, Luis, avvenuta sei mesi prima. Raquel, 72enne e vedova da tre anni, ha quattro figli vivi: Lucia, 39 anni, Juan Pedro, 37, Lucas, 35 ed Ernesto, di 33. Luis aveva 31 anni ed è morto di Aids, dopo essersi contagiato attraverso pratiche omosessuali in un contesto personale e relazionale molto caotico.
Cominciata la terapia, colpisce soprattutto lo stato depressivo della madre che non risponde agli psicofarmaci e che peggiora a causa delle costanti provocazioni di Lucas, che vive con lei dopo la sua recente separazione. La storia di Raquel fa rabbrividire. Da bambina lei voleva studiare ma i suoi genitori non glielo permettevano ed esigevano che lei lavorasse per collaborare al sostentamento della famiglia. Perfino la lettura le era proibita "per non sprecare corrente elettrica", per cui lei doveva leggere clandestinamente con l'aiuto di candele e di sua nonna, che si impietosiva e la appoggiava. Arrivata all'età del matrimonio, Raquel si sposò con Enrique, un bravo ragazzo che la conosceva fin da bambina e che rappresentava per lei sostegno e sicurezza. Però, nel giro di breve tempo, la madre di Enrique rimase vedova e andò a vivere con la giovane coppia. Raquel cercò di opporsi, ma Enrique si impose senza possibilità di alternative. L'unica compensazione di Raquel fu, poco tempo dopo, prendere in casa anche sua madre, rimasta vedova pure lei. Ma fu una triste compensazione, perché le due anziane si odiavano e svilupparono una guerra che straziò la famiglia e divise la casa. Di fatto, il piccolo appartamento era diviso in due territori impenetrabili per il "nemico", la cucina e il bagno dovevano essere usati a turni da ciascuna anziana, che accusava l'altra (e probabilmente senza ragione) di volerla avvelenare.
La terapia mise in evidenza l'eroicità di Raquel che, in circostanze così difficili, riuscì a restare a galla, a mantenere i suoi figli; man mano che questa argomentazione prendeva forma, Raquel migliorò in modo incredibile, fino a che i sintomi depressivi non scomparvero totalmente. Di certo, parallelamente ai miglioramenti di Raquel, sembrava che i figli si sentissero infastiditi e Lucas aumentò i suoi comportamenti provocatori verso la madre. Si stava avviando un discorso nel quale i figli apparivano come danneggiati da una situazione che la madre non era stata capace di controllare; tutti avevano dovuto abbandonare la famiglia troppo presto e in condizioni di precarietà, nessuno di loro aveva potuto completare gli studi e, anche ora, le loro vite erano prive di stabilità emozionale ed economica»
Man mano che veniva legittimata questa mitologia emergente, nella quale veniva riconosciuta la sofferenza dei figli e i comportamenti aggressivi di Lucas acquistavano una certa dimensione vendicativa, la madre tornò a deprimersi mentre i figli conquistavano progressivamente tranquillità. La terapia fondamentalmente si risolse in un lavoro di riconoscimento reciproco delle sofferenze vissute dalla madre e dai figli, sulla base metaforica di una coperta troppo stretta per coprire tutti, per cui quando veniva tirata verso gli uni lasciava scoperti gli altri e viceversa. Si doveva creare una coperta più grande. Il riconoscimento si risolse con una riparazione reciproca, nella quale le turbolenze di Lucas cessarono, mentre sua madre lo aiutava a ricostruire la sua vita. I fratelli, da parte loro, aiutarono Raquel a mantenere la sua autonomia personale, minacciata da diversi problemi di salute.
Conclusioni
In definitiva, al di là delle rispettabili apparenze della depressione, si nasconde una grande sofferenza, così come una idiosincrasia rigidamente modellata dall'esigenza e dalla svalutazione. La psichiatria di matrice biologica offre una soluzione parziale, fondata sulla lotta ai sintomi con gli psicofarmaci, alla quale i depressi si aggrappano spinti dall'imperativo della loro identità ipernormativa, ma alla quale, nel contempo, si ribellano rifiutando le cure o soffrendo ricadute, quasi ad esprimere un'intima protesta. La terapia familiare sistemica possiede gli strumenti adeguati per trattare questi pazienti, operando al crocevia tra bisogni individuali e problematiche relazionali. Un crocevia nel quale, senza dubbio, la complessità dell'ecosistema si riserva l'ultima parola.
Juan Luis Linares
(ordinario di Psichiatria presso l'Universidad Autonoma di Barcellona e direttore dell'Unidad de Psicoterapia e della Escuela de Terapia Familiar dell'Hospital de La Santa Cruz y San Pablo)
(traduzione di Giulia Cerniteti)