(Prima parte)
Cosa fanno nel tempo libero i nostri ragazzi? Come impiegano le ore che non dedicano allo studio e alle altre attività organizzate? O – domanda più radicale – esiste ancora per i bambini e gli adolescenti una possibilità di tempo libero? O non è forse vero che ogni momento della giornata è scandito da occupazioni strutturate dagli adulti? Se le cose stanno così, i giovani rischiano di non poter sperimentare quello stare fermi, quell’ozio, finanche quella noia, che però, secondo gli esperti, sono alla base della crescita e della maturazione.
Abbiamo sentito il parere di alcuni scrittori che uniscono alla loro attività letteraria quella di insegnanti, in diversi ordini di scuola. La loro è una posizione privilegiata: sia come osservatori che guardano la realtà giovanile da un punto di osservazione ravvicinato (la scuola), sia come autori di libri che affrontano la società contemporanea a partire da un’attenta riflessione. Nessuno di loro sembra scandalizzarsi per il fatto che, come essi stessi riconoscono, i loro studenti in genere non annoverino la lettura tra i propri passatempi preferiti. Tuttavia, a parte questo atteggiamento in comune, i loro pareri sono piuttosto variegati.
Iniziamo con Arnaldo Colasanti, docente in un istituto professionale di Roma, saggista e critico letterario, che nel mondo della scuola ha ambientato il suo primo, e finora unico, romanzo. Colasanti affronta il problema a partire da una distinzione di classe sociale: "Direi che i miei studenti si dividono in due gruppi: quelli provenienti da famiglie più benestanti, che in genere lo occupano con le svariate attività sportive, e i figli delle famiglie più popolari, i quali invece vivono i pomeriggi in maniera piuttosto passiva: 15-20 minuti per i compiti (non di più), Tv o PlayStation, in attesa dell’ora della passeggiata serale con gli amici del quartiere". Lo scrittore romano spinge poi a un paradosso: "Quasi potremmo dire che il vero tempo libero è per gli studenti proprio quello della scuola. Vedo che vivono la scuola come l’affrancamento dal controllo dei genitori. Noi insegnanti in fondo, non rappresentiamo che la crisi dell’autorità. La scuola, poi, spesso fornisce ai ragazzi l’unica occasione di aggregazione".
Anche Andrea Demarchi che insegna in un liceo di Caluso (To), sottolinea il vuoto culturale che caratterizza le giornate degli adolescenti: "Quello che mi ha colpito, parlando con i miei studenti, è che attività anche solo altamente culturali, come andare, non dico a vedere una mostra, ma al cinema o a un concerto, non sono per nulla praticate. Ma questa forse è la realtà di provincia, che si segnala per un isolamento interrotto solo apparentemente da una vita aggregativa in luoghi dispersivi, come il bar o la piazzetta del paese".
Al contrario dell’esperienza di Demarchi, Bianca Lavarelli, docente in un istituto professionale di Vigevano (PV), testimonia un impiego costruttivo del tempo dei suoi ragazzi, per esempio l’impegno nelle attività di volontariato: "Qualche collega un po’ sospettoso sostiene che i ragazzi fanno volontariato perché dà punteggio ai fini del credito formativo da presentare all’esame di maturità. Eppure io sono convinta che questo spendersi degli studenti a favore dei più deboli, dai bambini agli anziani ai portatori di handicap, testimoni una generosità e una capacità di mettersi in gioco molto belle. È un modo per crescere, per aprirsi verso l’esterno.
Roberto Carnero