(parte 4/4)
Dono e perdono
E torno ad aprire gli occhi su questi nostri giorni turbolenti, ricchi, come mai nel passato, di logica e di nature passionali. Penso ai trenta anni che servirono a preparare la grande Rivoluzione e ai duemila anni che sono seguiti, durante i quali non si è saputo trovare il momento per dire basta ai compromessi. Adesso, in coda al corteo dei tre Crocefissi, vedo un quarto patibolo: è l'albero dal quale ha penzolato il corpo di Giuda, l'uomo che ha macchiato la storia con il più orrendo dei crimini, colui che per vergogna ha rifiutato i doni più grandi che potevano essere fatti all'uomo, la vita e il perdono, ma che con il suo sacrificio e il suo pentimento, sincero e senza sconti, ha fatto germogliare su quel legno intriso di disonore dei fiori viola come il colore della passione.
Come non pensare al patibolo dal quale l'uomo onnipotente di oggi non sa liberarsi? Il tanto decantato progresso lo ha inchiodato alla logica dei consumi, dei profitti ad ogni costo, del calcolo che deve precedere ogni gesto, compresi quelli di buona volontà.
È l'accidia - questo peccato che nella nostra immaginazione di giovani scolari del catechismo non trovava mai una collocazione né un'immagine adeguata - il peccato che sta sempre in agguato. I poveri del terzo mondo, i malati di aids, le vittime delle faide, i figli dei disoccupati, i bambini venduti… sembrano mali che non devono toccarci solo perché stanno dietro la porta di casa. Anche nel contrasto fallace tra ordine e giustizia, finiamo per schierarci sempre da quella parte che fa di noi dei paladini ottusi e irriducibili. E la nostra rivoluzione viene rinviata.
Ma il miracolo dell'occasione propizia per ogni uomo è una garanzia e si presenta sempre. C'è chi l'attende sotto forma di lotteria nazionale e chi riesce a realizzare quel dono completo di sé che ha la capacità di consolidare ogni persona nella propria pretesa dignità o, forse meglio, in un pizzico di sana vanità. E i recessi più nascosti, dal confessionale al talamo degli sposi, possono trasformarsi in una palestra nella quale le schermaglie sanno durare anche sino all'alba, ma finiscono per decretare la vittoria sulla passività di chi si ostina a voler fare il salto di qualità che c'è nel desiderarsi. Ci possiamo staccare dal patibolo solo se permettiamo che la tenerezza occupi abusivamente la nostra intera esistenza. E dove mille onde finiscono il loro lungo viaggio, la riconciliazione o, finalmente, la rivoluzione della buona volontà potrebbero essere la sfida all'ansia dell'uomo.
Giovanni Scalera - Psicologo - Siena
Da "Famiglia Domani" 1/99