(parte 3/4)
Morire ogni giorno
Ci insegnano, fin dalla più tenera età, che la nostra esistenza è un continuo arricchirsi di esperienza, che gli incontri e le novità sono occasioni preziose per la nostra crescita e per la nostra maturità, che ogni nostro gesto è prezioso e non deve essere guidato dal caso. Tutto vero. Come è vero che al momento della nascita inizia lento e inarrestabile il nostro cammino verso quel traguardo comune, la cui immagine terrorizzante, nel contesto che ci ha formato e in cui viviamo, può solo essere esorcizzata, evitando anche di nominarla. Perfino i trattati di anatomia si rivolgono alla morte chiamandola exitus.
Tanta paura di un momento che attende tutti, ha una giustificazione? Se nella iconografia della nostra cultura occidentale la morte fosse una bambina, l'accoglieremmo a festa nelle nostre case; sarebbe un'ospite da intrattenere nel giardino tra i fiori e gli animali domestici e, una sera, a piedi scalzi, verrebbe al nostro capezzale a chiuderci gli occhi nelle sue fragili mani. Noi, invece, abbiamo una morte medievale che veste a lutto le chiese e la musica delle fanfare, o una morte barocca che fa camminare al buio i fantasmi tristi di uno scheletro donchisciottesco, agitando una ridicola, anacronistica falce.
Non è il caso di leggere questo evento in chiave antropologica; le implicazioni che da sempre costituiscono il momento critico del conflitto tra la vita e la morte sono state fatte proprie da tutte le leggi del nostro sapere. Forse sarebbe utile riflettere che ogni giorno si muore, che ogni giorno una parte di noi se ne va, e, quasi sempre, per lasciare il posto a vita nuova.
Ma se tutto questo è vero per il nostro corpo, cosa accade, in realtà, nello spirito? Qui le cose sono diverse. Non è più la natura a fare il suo corso: è chiamata in causa la volontà con i suoi traguardi rivoluzionari. Se è vero che vi sono dei verdetti silenziosi che il nostro corpo pronuncia su se stesso e di cui, prima di tutti, prendiamo inconsciamente atto, l'attaccamento che ognuno porta alla propria identità è tale da rendere difficile ogni modifica e ogni spostamento. Ognuno crede di orientarsi bene nei meandri della propria personalità, ma quando si tratta di chiudere la porta ad un vizio o ad un difetto per dare vita ad un qualunque cambiamento, entrano in ballo resistenze fortissime che ci ancorano a vecchie, comode abitudini e ogni tentativo di rinnovarsi viene percepito come un gesto faticosissimo per il quale appare sprecato ogni dispendio di energie. Quasi sempre assistiamo al degrado delle nostre storie; avvertiamo anche l'urgenza di prendere in mano le redini e dare una svolta, ma una sorda paura può impossessarsi di noi, fino a far apparire, alla fine di una storia, i racconti e le confidenze evanescenti come un sogno. Qualche volta la stessa difficoltà del convivere quotidiano, e contro la quale non si sa trovare il coraggio di rompere, a furia di rimproveri e disaccordi, arriva a renderci i piatti insipidi e le bevande amare. Ma noi resistiamo anche contro gli eventi più eclatanti e quando nella nostra esperienza trovano posto giorni che non meriterebbero di essere vissuti, giustifichiamo la teoria secondo la quale l'oblio nasconde sempre un segreto.
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Giovanni Scalera - Psicologo - Siena
Da "Famiglia Domani" 1/99