(parte 2/4)
Orgoglio e solitudine
La nostra caratteristica più evidente, in quanto esseri umani, è quella di provare e partecipare i sentimenti. Siamo tutti orgogliosi delle cose buone e delle prove di sensibilità che sappiamo dare; lo siamo ancor più, se l'immagine che gli altri mostrano di percepire e rinviarci dopo averla gradita, arricchisce la nostra vanità di mistificazioni contrabbandate per bontà. Sono gli scherzi - o brutti effetti? - dell'orgoglio che, in dosi contenute, ci aiuta a superare le prove e a sperimentare la tenacia, ma che, una volta superata la soglia della moderazione, rischia di farsi, tutto attorno, terra bruciata. Quello stesso orgoglio, che nei momenti di forza sa mascherare i sentimenti senza impedirci di provarli, ma che in altri passaggi della vita ci isola da tutto e da tutti, costringendoci a pianti silenziosi e indigenti di ogni sollievo fino a renderci mendicanti di sogni e di ricordi. È in questa fase che si hanno le grandi trasformazioni della vita.
C'è chi crede nei sogni e chi negli incubi. C'è chi, di fronte a violenze, soprusi e insuccessi fa sue le deludenti scuse o la tragica rassegnazione sentenziando "è la vita...", e chi guarda le storie del proprio passato non per il fascino dell'aneddoto, ma in quanto residui di esperienze da non ripetere. È il momento in cui si potrebbe scoprire di essere condannati alla solitudine perché l'attimo tanto rumoroso del successo è passato e tutti coloro ai quali eravamo orgogliosi di partecipare la nostra avventura ora stanno da un'altra parte. E non si può neppure trascorrere la vita a imbastire atti di accusa contro l'ingratitudine degli altri: siamo tutti molto individualisti nel pensare e condividiamo poche convinzioni, salvo la tendenza a coltivare pregiudizi.
Ci resta una possibilità, forse l'ultima: guardarsi dentro per cercare un bandolo di questa intricata matassa, un punto nuovo dal quale si possa rompere la spirale della mediocrità e ripartire con convinzione ringiovanita. Impossibile, in questi casi, non andare con il pensiero alle coppie sofferenti. Di fronte alle storie che rischiano di finire, raramente si mettono in discussione i nostri comportamenti. Eppure, quante volte quello che si proietta sull'altro potrebbe far parte, nel desiderio come nel rifiuto, del proprio immaginario? A fronte delle crisi più esasperate ci si aggrappa orgogliosamente ad un brandello di immagine con lo stesso bisogno che si ha davanti ad una fotografia o ad un ritratto, di sottolineare sempre che, nella realtà, si è migliori. E poiché ci sono gesti e parole che, in sintonia con il cambiar di colore alle guance, significano ben altro che la vergogna e assai più del desiderio, la solitudine di chi si ostina a non fare il salto di qualità, conduce inevitabilmente a due scoperte macabre: la prima è che l'abitudine e il cinismo fanno fare alle mani dei gesti tanto freddi e respingenti da assomigliare più ai brancolamenti degli ubriachi che alle carezze di un innamorato; la seconda è la caduta nell'anonimato che si verifica quando una persona viene indicata e definita per aneddoti perché la sua vita può passare di bocca in bocca al pari di una raccolta di facezie.
Giovanni Scalera - Psicologo - Siena
Da "Famiglia Domani" 1/99