Partecipazione. Una parola fuori moda
In prima battuta, e forse un po' brutalmente: "partecipazione" è oggi diventata una parola desueta, scarsamente frequentata nel dibattito politico e addirittura datata. Non sentendosi parte di un "tutto" condiviso, in una stagione di grave crisi della memoria collettiva, gli italiani appaiono appassionarsi e prendere parte attivamente solo al campionato di calcio, e a poco altro. Non si tratta di una boutade, ma di una semplice constatazione: ben lungi dall'infervorarci per l'agone politico, non ci resta che l'identità di tifosi della Juventus o dell'Inter, e le discussioni sulla correttezza o meno degli arbitri sono quelle che maggiormente fanno fremere il nostro connazionale medio… È trascorso meno di un quarto di secolo, ma sembrano invece passati diversi anni luce, da quando Giorgio Gaber proclamava in una sua canzone-simbolo che "libertà è partecipazione"
1 - Per un cristiano "partecipare alla cosa pubblica" è la forma più alta della carità
"Ci troviamo oggi, probabilmente - ha scritto giustamente Remo Bodei - alla conclusione di un ciclo bicentenario che aveva attribuito alla politica una funzione salvifica, promettendo a popoli, a classi o a "razze" la felicità attraverso un innesto della politica nel corso della storia". Personalmente, appartengo ad una generazione che è cresciuta nella convinzione generalizzata che la politica e la partecipazione alla "cosa pubblica" fosse, dal punto di vista di un cristiano, la forma più alta ed esigente della carità. Convinto assertore del pluralismo politico e culturale dei cattolici, ho creduto possibile far coincidere la lotta per una maggior giustizia e la testimonianza, la fede cristiana e l'impegno quotidiano per gli "altri" senza mai farmi tentare dal rassicurante recinto dell'unità in un unico partito. Opzioni rispetto alle quali, per quanto mi riguarda, non mi dichiaro in alcun modo un "pentito": anzi... In tale chiave ho vissuto, per parecchi anni, un'esperienza di volontariato sociale, fondando sul piano nazionale il movimento del Tribunale per i diritti del malato, e operando poi nel campo della promozione culturale dirigendo il Centro Studi Religiosi della Fondazione San Carlo di Modena.
Oggi sto svolgendo, ormai da quattro anni, il lavoro di amministratore della mia città, Carpi, come assessore delle politiche culturali e giovanili. Ricordo che quando accettai la sorprendente proposta di quello che sarebbe diventato il mio sindaco, decisi di inviare tramite un giornale locale una sorta di "lettera aperta ai miei concittadini, per spiegare il senso che aveva per me quella scelta, per nulla scontata, anche perché in quel momento non stavo facendo, come si dice, "vita di partito", né appartenevo ad una determinata forza politica. Scrissi, fra l'altro, che intendevo quel passo "in spirito di servizio" rispetto alla mia città, nella quale ho sempre abitato, perché la amo profondamente, e, mentre scrivevo quelle parole, per me assolutamente ovvie ancorché tutte da dimostrare, mi rendevo conto di quanto esse rischiassero di suonare agli eventuali lettori, oltre che ipocrite addirittura vuote di senso, prive di qualsiasi significato, dato che l’opinione comune, largamente suffragata dai media e ormai assolutamente incontrastata, è che la politica è "altro".. tutta la politica, dall'impegno nel quartiere a quello presso il parlamento europeo! Coi naturali rischi di qualunquismo generalizzato, disimpegno ad ogni livello, abulia etica, e così via. Soltanto la mia "beata ingenuità" poteva condurmi su quella strada! Eppure, stando a Gaudium et Spes, "tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica: essi devono essere di esempio sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune"; e ancora: "bisogna curare assiduamente l'educazione sociale e politica, oggi tanto necessaria, sia per l'insieme del popolo, sia soprattutto per i giovani, affinché tutti i cittadini possano svolgere il loro ruolo nella comunità politica" (n. 75). Come ha sintetizzato bene Luigi Ciotti: "Occuparsi di politica, per i cattolici, ultimi è un optional, ma un preciso diritto e dovere che scaturisce dal comandamento della carità. È servizio di giustizia perché il bene comune abbia il volto umano dell’uguaglianza, del rispetto della dignità di ciascuno e della reale tutela dei diritti di ogni persona. Questo bene comune si traduce e articola entro un pluralismo di culture e di scelte che va inteso come ricchezza e non come limite: purché la ricerca di verità e di maggiore giustizia stano sempre libere, non strumentalizzate da condizionamenti diversi dalla propria coscienza, quale che sia il governo in carica".
La realtà, in ogni caso, è che la partecipazione e la politica, soprattutto nel nostro paese, non è oggi considerato un argomento di moda. Per larghe fasce degli italiani si tratta ormai di temi tabù, e per moltissimi giovani, cresciuti alla vita sociale e all'impegno lavorativo nella stagione consegnata alla storia come il passaggio dal cupo tempo del Terrorismo all'amara stagione di Tangentopoli, essi appaiono irrimediabilmente relitti deteriori di un passato sepolto, mero affarismo giocabile solo in chiave di tornaconto individuale, incapaci di produrre passioni autentiche e di collegarsi sia pur lontanamente ad una dimensione etica. Non solo la "politica dei partiti", chiusa in un linguaggio incomprensibile ai più, ma anche il volontariato (o una parte di esso): basti pensare al crollo d'immagine degli ultimi mesi della Missione Arcobaleno a meno di un anno dalla spinta di partecipazione popolare avvenute durante la guerra del Kosovo!
2 - Tra utilità e gratuità
Si badi: sarebbe stupido, oltre che sbagliato, gettare la causa di tale situazione sui cittadini. Occorre ammettere, se si vuole invertire la tendenza o almeno provarci, che la politica da tempo non fa motivi per farsi amare e spesso sì è ridotta a pura politica-spettacolo, e che in un clima di individualismo diffuso la partecipazione ha smarrito parecchio del suo tradizionale appeal. Occorre ammettere una profonda sfasatura fra i processi di sviluppo della nostra società e la mediazione che di essi tenta faticosamente di offrire la politica. Occorre riscoprire lo spazio positivo di una socialità che non si identifichi necessariamente con le chiacchiere televisive o col piccolo cabotaggio. Occorre cambiare rotta. Ma come? Lungi dal risolvere il problema, naturalmente, vorrei offrire qualche pista di riflessione a tale proposito.
Ha scritto il cardinal Martini: "Mi diceva qualche giorno fa un politico molto attento, con cui si stava commentando Agostino e si parlava della opposizione agostiniana tra "uti" e "frui", che è poi ciò che fa la differenza fra le due città: noi politici non siamo più credibili; il discorso dell'utilità dell'"uti", ha ucciso la credibilità o occorre qualcuno, non politico, che faccia ritornare in onore il discorso della gratuità, del "frui" agostiniano. La politica si salva e diviene vero servizio alla pubblica utilità uscendo dalla logica perversa dell'"uti" per accettare anche i ritmi e le logiche del gratuito" Appare davvero illusorio rassegnarsi all'insignificanza della politica, o ad una sua rappresentazione puramente virtuale, quando la logica dominante della storia è quella di un mercato globalizzato e delle sue regole ferree e chi rischia di più sono i "poveri" (è ancora possibile ricorrere a tale termine?), cosa che dovrebbe preoccupare il mondo delle chiese non meno che gli stessi attori della politica. Certo, è indispensabile affrancarsi dalla dimensione totalizzante di essa, lasciarsi alle spalle ogni dimensione "mitica" o "assolutistica", verificarne e accettarne serenamente i limiti oggettivi. Armarsi del "piccolo bagaglio" suggerito da Norberto Bobbio all'autentico democratico: "l'inquietudine nella ricerca, il pungolo del dubbio, la volontà del dialogo, lo spirito critico, la misura nel giudicare".
Ha ragioni da vendere il filosofo Pietro Barcellona nel suo appassionato inno alla "necessità" della politica: "La politica è visibilità delle opposte "ragioni", trasparenza del conflitto e delle necessarie mediazioni. La mediazione politica non è un patteggiamento occulto, patto di sindacato con il quale gli azionisti di comando delle diverse società dispongono segretamente della vita di tutti. La politica è ricerca di punti di equilibrio a partire dalla limpida esplicitazione delle differenze. È costruzione di uni "contenitore", di uno spazio dove il conflitto delle ragioni possa dispiegarsi senza rischi di distruzione reciproca. La politica costringe a trasformare le pulsioni e le emozioni in pensieri e argomentazioni comunicabili e rappresentabili. Senza la politica l'intera società precipita in una lotta oscura e priva di obiettivi chiari e distinti...". In questo senso, la partecipazione e la politica sono ancor oggi - nonostante tutte le ipocrisie e le miserie che vi sono connesse - dimensioni necessarie all'umanità postmoderna. L'economia e la borsa non sono sufficienti, come il senso comune attualmente vorrebbe invece farci credere! E qualsiasi auspicabile riforma statuale dovrebbe rispondere in primo luogo all'istanza di ripristinare la comunicazione tra le istituzioni e i cittadini: se essa non costituisce un'autentica risposta al problema del senso, tenderà inevitabilmente a scadere a ingegneria sociale e tecnicismo istituzionale.
3 - Cambiare se stessi per cambiare la politica e per un nuovo modello di partecipazione
La questione tuttora aperta è come ridar loro slancio e passione, come restituire loro un fondamento etico, come renderle consapevoli del proprio "limite": cominciando con il porre loro le domande corrette, adeguate, a metà strada fra la storia e l'utopia, che le rendano davvero capaci - secondo uno slogan felice - di "agire localmente e pensare mondialisticamente". Le domande "laiche legate alla promozione di un senso di responsabilità collettiva reciproca, alla gestione più razionale ed equa della città terrena, alla migliore distribuzione dei beni comuni, alla promozione umana, sociale e culturale dei cittadini. Le domande planetarie della pace, della giustizia, della necessaria "convivialità delle differenze" (don Tonino Bello), di quella che è forse la questione più decisiva per la politica odierna, la questione del rapporto con "l’altro": nel complesso, quelle che interconnettono - superando sia il puro pragmatismo sia la paura di "sporcarsi le mani" - per dirla con il linguaggio di Dietrich Bonhoeffer, la fedeltà alla terra e le realtà ultime. Che mantengono al credente quella che la teologia politica ha definito la "riserva escatologica", l'istanza critica del Vangelo, ma sempre nell'umiltà della compagnia degli uomini. E che ci permettono di dubitare della sentenza qoheletica per cui "non c'è nulla di nuovo sotto il sole". "Non si cambia la politica - come ha scritto Luigi Manconi del suo amico Alex Langer, il "viaggiatore leggero", tragicamente scomparso tre anni or sono - se ognuno non cambia se stesso: questo ci diceva Langer, così caparbiamente e splendidamente fuori moda rispetto a quando quella formula fu elaborata e venne usurpata e dissipata. Non si cambia la politica se si rinuncia a dire e a praticare, già a partire da sé, già nel piccolo del proprio esistere e agire politicamente, quella speranza collettiva, se si rinuncia a portarne il carico di responsabilità. Dunque, Langer liberava quel messaggio da ogni velleità catartica e da ogni ingenuità redentrice, per tradirlo, piuttosto, in un impegno rigoroso e severo di autoformazione e di consapevolezza dei propri limiti e delle proprie responsabilità".
Brunetto Salvarani
Da "Famiglia domani" 3/2000