Ecumene

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Venerdì, 24 Dicembre 2004 00:31

Europa e Islam: due identità smarrite

Europa e Islam:
 due identità smarrite
di Sandro Magister
da www.chiesa.espressonline.it

(abstract)

È uscito da pochi giorni in Italia un libro su occidente e Islam che è una lettura d’obbligo anche per i diplomatici vaticani. È stampato da Vita & Pensiero, l’editrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ne è autore Roger Scruton, filosofo e saggista inglese, già professore al Birkbeck College di Londa e alla Boston University. Il titolo originale è "The West and the Rest". La versione italiana, "L’Occidente e gli altri", è apparsa nella collana di geopolitica dell’Alta Scuola di Economia e di Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica diretta da Vittorio E. Parsi, che è anche editorialista del quotidiano della conferenza episcopale italiana, "Avvenire", ed esperto di fiducia del cardinal Camillo Ruini.

Già le primissime righe del libro vanno contro i canoni del politicamente corretto: "La famosa tesi di Samuel Huntington secondo la quale alla guerra fredda sarebbe seguito uno scontro di civiltà ha più credibilità oggi di quanta ne avesse nel 1993, quando fu avanzata per la prima volta". Ma assai più ricco di sorprese è il seguito. Se la libertà di cui si fa vanto la civiltà occidentale comprende anche il rifiuto di sé — e Scruton riserva a questa pervasiva cultura del rifiuto uno dei suoi capitoli più fiammeggianti — allora "si tratta di una civiltà volta alla sua stessa distruzione". Viceversa l’Islam si definisce non in termini di libertà ma di sottomissione: e anche questa sottomissione è autodistruttiva. È prigioniera di un testo sacro, il Corano, che finché continua a essere letto al di fuori del tempo e della storia fa di ogni musulmano uno sradicato. Nella prefazione all’edizione italiana del volume, Khaled Fouad Allam — acuto intellettuale della diaspora musulmana, algerino con cittadinanza italiana — convalida in pieno questa condizione di smarrimento di sé dell’Islam nella modernità.
 
E non è tutto. A giudizio di Scruton, ciò che rende ancora più esplosivo lo scontro tra le due civiltà è l’avanzata della globalizzazione. Essa diffonde nelle nazioni musulmane immagini, prodotti e figure delle democrazie occidentali secolarizzate, sia in quanto hanno di attrattivo e vincente, per ricchezza e potere tecnologico, sia in quanto hanno di vacillante e morente sul terreno della cultura e dell’identità collettiva. Scrive Scruton: "Lo spettacolo della libertà e della ricchezza occidentali, che si accompagna al declino dell’occidente e allo sgretolarsi delle sue fedi, provoca necessariamente, in chi invidia il primo e disprezza i secondi, un cocente desiderio di punire". Altri passaggi folgoranti del suo libro sono quelli che criticano la tendenza a dar vita a legislazioni transnazionali, a corti penali internazionali, alla stessa Unione Europea come superstato, in realtà "nuova mano invisibile dell’imperialismo" ed "espressione politica della cultura del rifiuto". A giudizio di Scruton solo la giurisdizione territoriale e le fedeltà nazionali possono fondare una cittadinanza condivisa e ospitale, anche per il musulmano. In occidente sono gli Stati Uniti a tener ferma questa consapevolezza: "Il trionfo dell’America è stato di persuadere ondate di immigrati a rinunziare a tutti i legami conflittuali e a identificarsi con quel paese, quella terra, quel grande esperimento di insediamento, e a partecipare alla sua difesa comune".
 
Il cristianesimo è indicato da Scruton come elemento essenziale di questa cittadinanza capace di dare identità all’occidente e di accomunarlo agli altri, sia pure nella diversità delle fedi. Esso "dice al cristiano di guardare l’altro non come una minaccia ma come un invito all’accoglienza". Ma, allo stesso tempo, il cristianesimo impone di difendere chi è aggredito. Perché la predicazione di Gesù è predicazione di pace, non però pacifista: "L’idea di perdono, simboleggiata dalla croce, distingue l’eredità cristiana da quella musulmana. Cristo ci ordina persino, quando siamo aggrediti, di porgere l’altra guancia, allora incarno la virtù cristiana della mansuetudine. Ma se mi è stato dato in custodia un bambino che viene aggredito, e porgo l’altra guancia del bambino, divengo complice della violenza. Questo è il modo in cui il cristiano dovrebbe comprendere il diritto alla difesa, ed è come esso è inteso nelle teorie medievali della guerra giusta. Il diritto alla difesa nasce dalle obbligazioni nei confronti degli altri. Sei obbligato a proteggere coloro il cui destino è sotto la tua custodia. Un leader politico che porge non la sua guancia ma la nostra, si rende partecipe della successiva aggressione. Perseguendo l’aggressore, anche in maniera violenta, il politico serve la causa della pace e anche quella del perdono, del quale la giustizia è lo strumento" (*). Pagina dopo pagina, Scruton mette a nudo grandezze e miserie dell’occidente di oggi, a tu per tu con la sfida islamica. Con argomentazioni spesso controcorrente.

(*) — N.d.r: il precetto evangelico di porgere l’altra guancia è stato troppo spesso guardato come un messaggio assurdo e impraticabile; troppe altre volte sono stati fatti tentativi penosi o maldestri di adattarlo ai propri interessi o alle proprie idee. Che cosa vuole dire Gesù con questa espressione? Per comprenderla in pieno dobbiamo rileggere la frase che Gesù dice al sommo sacerdote quando questo, durante l’interrogatorio notturno in casa sua, lo schiaffeggia: "Se ho parlato male, dimostrami dove è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti ?" (Gv 18,23). Dunque Gesù reagisce non porgendo l’altra guancia, ma facendo una domanda; quale è dunque il significato della sua frase a un tempo famosa e controversa? È, a nostro avviso: non opporti al nemico lasciandoti trascinare sul piano del malvagio. Reagisci, come cristiano saggio, vivo e creativo, così da creare una situazione nuova che faccia riflettere il nemico. Il cristiano dunque ricorrerà alla violenza per difendere i deboli o per mettere il nemico nella impossibilità di nuocere unicamente e soltanto se nessun altro modo o nessun’altra strada sono stati efficaci...


Lo statuto della donna
intervista a Ghaleb Bencheikh




Ghaleb Bencheikh el-Hocine, nato in Francia di origine algerina, dopo la laurea in fisica si è dedicato agli studi di filosofia e teologia. Il padre Abbas è stato rettore della moschea di Parigi e il fratello Soheib è il gran mufti della moschea di Marsiglia. Vicepresidente della conferenza mondiale delle religioni per la pace, animatore della trasmissione televisiva dedicata alla religione islamica, in onda la domenica mattina su France 2. In Italia è stato pubblicato Che cos'è l'Islam

Il progetto della riforma del Codice della famiglia in Algeria ha scatenato un forte confronto politico. Mentre i partigiani del progetto si difendono, i partiti islamici attaccano affermando che contraddice i testi sacri dell'islam. Ma possiamo trovare nel Corano delle prescrizioni corrispontenti a un Codice della famiglia, o a uno statuto della donna?

G. Bencheikh- Gli islamisti sono i partigiani della “ideologizzazione” della religione islamica. Vogliono farne un progetto sociale, politico, il che, in sé, è una innovazione recente nella storia dell'islam; databile, grosso modo, agli anni venti con l’affare dei Fratelli musulmani.

E' sorta come contro-riforma in relazione alla famosa nahda, la nahda è stata il rinnovamento, la rinascita a cavallo del XIX e XX sec. Dunque, ecco l'idea dell'islamismo come progetto politico, assoggettamento, statalizzazione, manipolazione della tradizione islamica, per fini sociali e politici. Non c'è nel Corano un codice ben stabilito, che sia così chiaro, esplicito come quello  a cui si riferiscono questi islamici. Perché l'idea che noi abbiamo del progresso, della modernità, della civilizzazione, è  che appartiene agli uomini di legiferare nelle questioni della città. E' vero che per i credenti musulmani, Dio parla nel Corano. Ma tutto questo è molto complicato. Per definizione se Dio è onnipotente, onnisciente, se tutto può, tutto fa, la sua parola è inesauribile. In compenso, il Corano è contingente, finito, si articola nella storia, è trasmesso all'interno di una cultura. Questo vuol dire che c'è una maniera di lasciare posto all'interpretazione degli uomini. Perciò, alcuni passaggi del Corano che sarebbero duri contro le donne, non sono da considerare ai nostri giorni che una giurisprudenza- d'origine divina per chi crede- per  un certo momento della storia, per una società particolare, nel caso la società tribale della penisola arabica del VII sec. Voler dare un valore atemporale, normativo, universale a quello che è contingente e finito, e articolato nella storia, è un grave errore. Questi passaggi del Corano che, presi tali quali, sono duri contro la donna, non si possono integrare nella grande opera sociale di questo inizio secolo. Semplicemente bisogna dire che sono caduti in disuso. La loro incidenza sociale è caduca. Ciò a cui fanno allusione è obsoleto. Ai nostri giorni, per esempio, non si può domandare seriamente che in caso di testimonianza ci debbano essere due donne per un uomo. E' un attacco gravissimo alla dignità della donna.

Nonostante ciò le autorità algerine affermano a viva voce che il codice della famiglia deve rispettare la šarî‘a..

Nel 1984, quando il Codice della famiglia è stato adottato, la pusallimità, l’apatia, la vigliaccheria del legislatore, cedendo alle sirene islamiche che tuonavano, a fatto si che si sia stati più realisti del re. In questo codice ci sono cose che la stessa šarî‘a -parola che non vuol dire altro che legge di ispirazione religiosa-, nella sua forma più rigida, non ha previsto. Un esempio: quando una donna divorzia, questa šarî‘a prevede che lei abbia la custodia dei figli, che resti a casa. Ora il Codice di famiglia non le ha concesso ne la custodia dei figli, ne l'abitazione, ciò è iniquo. Recentemente si è ritornato su questi casi gravi, ma a mio parere si è ancora molto al di qua di ciò che bisognerebbe dire e fare per avere semplicemente un Codice civile, per le questioni matrimoniali, che rispetti la dignità umana della componente femminile, come di quella della componente maschile.

Cosa risponde a chi, pretendendo di basarsi sui testi sacri e la tradizione islamica, dice che la donna non è uguale all'uomo? O che “deve obbedire all'uomo”?

Obbedire a cosa e per cosa? Perché vorremmo che all'interno della coppia ci fosse una relazione dominante- dominato, uno che ordini e qualcuno che deve obbedire? Non ha senso! Ed è pure in contraddizione con la Costituzione algerina che prevede che una cittadina possa postulare alla magistratura suprema. Allora come potremmo volere che il più alto magistrato del paese, il capo dell'esercito, colui che incarna la nazione e lo Stato, debba obbedire, nelle considerazioni private e famigliari, a uno dei suoi amministrati? Non è serio. Per quanto concerne i testi sui quali ci si fonda, a livello ontologico, dell'uguaglianza innata, vera, non c'è differenza tra uomo e donna. Non c'è nel Corano che la donna è nata dalla costola dell'uomo, non c'è che lei è la tentata e la tentatrice a sua volta, non c'è una teologia che fa della donna la causa di tutti i nostri peccati, di tutti i nostri mali. In compenso, a livello statutario, ci sono dei passaggi che affermano, ahimè! una preminenza dell'uomo rispetto alla donna in certi casi: la testimonianza, a cui mi riferivo poco fa, la poligamia, l'eredità, e questa storia del velo. Ma anche là, bisognerebbe saperli relativizzare al loro contesto, spiegare perché sono stati rivelati a quell’ epoca. Sono questi passaggi che ai giorni nostri i giureconsulti maschilisti, sessisti, fallocrati, misogeni, hanno preso a pretesto per giustificare la soggezione della donna. Ma questo modo di piegare il religioso per delle considerazioni, psicologiche, personali, politiche, sociali non ha fondamento legittimo a livello di esegesi, di interpretazione.

Prendiamo l'eredità. E' vero si dice che alla donna va la metà di ciò che spetta all'uomo. Ma e il “ma” è di peso, in primo luogo lei prima non ereditava: il fatto di darle una parte di eredità, è riconoscerla come soggetto, autrice del suo destino, mentre prima faceva parte del patrimonio allegato, del bene trasmissibile. Certo non ha che la metà dell'eredità, ma non è tenuta, religiosamente,a sovvenire ai bisogni della famiglia; all'epoca era il marito che ne aveva il dovere. Ai nostri giorni la situazione è cambiata, l'uomo e la donna sovvengono insieme ai bisogni della casa. Di colpo le ragioni che facevano si che si desse la metà dell'eredità alla donna non sono più valide. Perciò neanche le conseguenze non devono più essere valide

Lei richiama i credenti al dovere permanente d'interpretazione dei testi...

Il Corano dice effettivamente che bisogna esercitare la ragione, l'intelligenza. C'è di meglio. Nel Corano un passaggio dice “ E le loro faccende sono oggetto di consultazione tra di loro”. Perciò fa parte delle nostre faccende, di noi musulmani, all'inizio del XXI secolo. In Algeria, è già gravissimo aver messo nella Costituzione che l'islam è la religione dello Stato. Lo Stato non deve avere religione per principio. Lo Stato è il garante del libero esercizio dei culti. Se vogliamo essere moderni, dobbiamo dotarci di istituzioni moderne, rispettare tutte le tradizioni religiose e lasciare la gestione del culto islamico a un organismo autonomo, indipendente. Ai nostri giorni, si dovrebbe dire che non c'è nessuna ragione in materia di considerazione matrimoniale, o di successione, o di Codice civile, di riferirsi al Corano. Tanto più che il Corano a dato luogo nel corso della storia a multi interpretazioni. Non vedo perché oggi se ne deve previleggiare una rispetto a un'altra. E come per caso si privilegia la più drastica.

L'opposizione degli islamici alla riforma del Codice della famiglia si focalizza soprattutto sulla soppressione della tutela della donna per il matrimonio, che considerano come “una protezione”. Cosa ne pensa?

E’ una stupidaggine. Ciò ha origine dall’idea che la donna è una minore a vita. Considerarla una protezione è confinare la donna in un ruolo inferiore, e in uno statuto che non è degno della sua condizione di essere umano. È vero, in questo modo la giovane donna ancora vergine, aveva bisogno del parere del padre, che era un po’suo tutore, essendo le società ciò che erano all’epoca. Ma non è una obbligazione religiosa rigida, una prescrizione coranica. La sola questione che vale è sapere se è maggiorenne oppure no. Se lei ha raggiunto la maggiore età, non ha più bisogno di nessuna tutela, fosse quella di suo padre, per sposarsi, viaggiare, ecc.Bisogna uscire dall’archaismo.

Gli islamici tengono in massima considerazione il mantenimento della poligamia, a motivo, ancora, che è stabilita dal Corano.

Il Corano non ha mai detto agli uomini: voi avete diritto di avere quattro mogli. Non è un diritto, è una virtualità in un contesto ben particolare. È detto :”Se temete di non essere equi con gli orfani, sposate allora di fra le donne che vi piacciono, due o tre o quattro, e se temete di non essere giusti con loro, una sola, o le ancelle in vostro possesso,questo sarà più atto a non farvi deviare (1)". "Dio non ha posto due cuori nel petto dell’uomo. Voi non potete essere equi con le vostre spose, anche se ciò fosse il vostro più ardente desideri (1).” Ecco i testi che parlano di questa famosa poligamia. Tre osservazioni. Uno, è in un quadro molto particolare, la presa in carico di vedove e orfani. Due, in una società tribale, dove la poligamia era anarchica, senza limiti, rispetto al numero delle donne di Salomone o di Davide, portarle a quattro, per l’epoca, era un progresso spettacolare. Tre, ai nostri giorni, è la monogamia stretta che deve prevalere; non si può seriamente continuare a tergiversare domandandosi se la poligamia deve essere assoggettata al consenso della prima sposa (2). Abbiamo a che fare con uomini maschilisti, sessisti, fallocrati, misogini che vogliono soddisfare i loro bisogni libidinosi fondandosi sul Corano. Non c’è altro da dire. Un a nazione democratica, moderna, che crede nel progresso, abolisce cose del genere. Non si deve volerla limitare per legge- che deve essere una legge relativa al diritto positivo-, teorizzare sulla poligamia.

Cosa ne pensa della proibizione, ugualmente stipulata nel Codice di famiglia, del matrimonio di una donna o di un uomo musulmano con un uomo o una donna non musulmani?

Da sempre si autorizza l’uomo musulmano a sposare una ebrea o una cristiana, una credente adepta di un’altra religione, non un’atea. Ma l’inverso non è possibile: una donna non sposa nessuno che non sia musulmano. Perché? L’argomento avanzato era: in una società patrilineare, (cioè dove i valori metafisici erano sempre trasmessi dal padre, e virolocale, cioè dove la donna si trasferiva nella casa del marito), i musulmani riconoscevano l’insegnamento di Mosè, di Gesù, ma non l’inverso. Quindi si ragionava dicendo: la donna verrà soffocata per la sua religione, perché gli ebrei e i cristiani non riconoscono la profezia di Muhammad; ciò sottindente che essi avrebbero proibito il libero esercizio del suo culto. E per la patrilinearità, i bambini che nasceranno saranno perduti, rispetto alla Umma, la comunità musulmana.

Ai nostri giorni, questi argomenti sono caduti in disuso. Uno stato laico moderno, farà si che l’ebreo, il cristiano, l’ateo o il musulmano non abbia più motivo di predominio sulla coscienza della propria moglie. È lo Stato che deve le garantire il libero esercizio del suo culto. Quale che sia suo marito, la sua islamicità e la sua fede sono garantite. Non possiamo neanche dire che la sua islamicità è in pericolo per il fatto che ha sposato un non musulmano, perché questo non potrà interferire nel modo di vivere la sua spiritualità. E poi bisogna uscire da questa idea contabile della Umma, ne perdiamo qualcuno qui, ne acquistiamo qualcuno là. No, le questioni di salvezza, di religione, di spiritualità, impegnano prima di tutto la coscienza umana nell’intimo di ciascuno, non sono una questione di numero. Infine per una donna vivere con un marito non musulmano nell’armonia, nel rispetto, nell’amore, è molto più apportatore e gratificante, che sposare un musulmano che la picchia e l’opprime.

A sentire gli attacchi contro la riforma del codice, si ha l’impressione di una profonda paura nei confronti della donna..

Senza adulazione, sono tra quelli che pensano che il XXI sec. sarà femminile o non sarà. Sono tra quelli che credono che se avessimo dato alle donne la gestione degli affari del mondo, si avrebbero avute meno violenze, meno guerre. Sono tra quelli dispiaciuti che la civilizzazione sia sempre stata maschile; la donna, dopo essere uscita dal gineceo greco, è stata via via, menade, baccante, odalisca, gheisha, egira, tutto ciò che si vuole, ma mai definita intrinsecamente. Le relazioni uomo-donna devono essere fondate sull’armonia, sull’attrazione fisica, sull’amore, sulla misericordia, sulla complicità, sul fatto di vivere insieme, simultaneamente, una bella avventura; non sulla paura, sulla negazione dell’altro, la soggezione o l’asservimento dell’altro. Cercare di vivere insieme in armonia, e in perfetta uguaglianza ontologica, di diritto, di rispetto, con solo criterio determinante la dignità umana, sia nell’uomo che nella donna.

Anche la questione del velo è sintomatica di questa paura. Per gli islamici, in Algeria come in Francia, sarebbe un’altra protezione della donna. Cosa risponde in proposito?

Anche là si tratta di scempiaggine. La donna non ha bisogno di un tessuto per essere protetta. Ciò che la protegge è prima di tutto la sua istruzione, la sua educazione, la sua cultura,  la sua acquisizione del sapere, il suo senso dell’onore, la sua virtù, il suo pudore. Si il Corano ha menzionato il velo , non è una novità. La donna ebrea si rasa il cranio e mette una parrucca: i capelli sono considerati un attributo erotico. La lettera di S. Paolo ai Corinzi dice: “Se una donna non è velata, è come si fosse rasata, e dato che non è preferibile essere rasata, è preferibile essere velata (3)”. Ciò si poteva spiegare all’epoca. Si dimentica anche che il califfo Umar, potentissimo e piissimo, a cui gli islamici si rifanno sempre, picchiò una donna musulmana, detta di bassa estrazione, quando volle velarsi. Non iniziamo a combattere per mezzo di versetti coranici, ma c’è ne uno ,versetto 60 della sura 24, la sura della Luce, che dice in sostanza: “ ..e che non sperano più di sposarsi, non è peccato per loro se depongono le loro vesti , senza però mostrare le loro parti belle”. Ciò regola il problema delle nostri madri e delle nostre nonne, anche se dietro questo passaggio c’è un’idea maschilista.

Per quanto riguarda le ragazze appena puberi, che imbacucchiamo in un tessuto variegato che le imbruttisce, è una catastrofe, un non senso, e le conseguenze psicologiche che lasceranno sono gravissime. Perché?

Durante un dibattito contro Tariq Ramadan, all’Unesco, dissi:” Se lei dice che bisogna salvaguardare la donna, nascondendole i capelli per non far fantasticare i ragazzi, bisognerebbe piuttosto educare i ragazzi che fantasticano su di essi, che incolpare la ragazza di essere giovane”. Noi siamo in questa situazione semplicemente perché non abbiamo avuto un “ momento Freud” da noi. Non abbiamo avuto il dibattito sulle relazioni uomo-donna, pudore-impudicizia, ecc.

Ci dimentichiamo che a Samarcanda, Tashkent, Bukara, o, ancora meglio, a Cordova, a Seviglia, la licenza era percepita da parte dei musulmani: gli ebrei, i cristiani vedevano le musulmane come giovani piuttosto dissolute, mentre l’ostentazione del pudore, il bigottismo erano più dalla parte, a quei tempi, degli ebrei e dei cristiani, che avevano una relazione con il corpo, i rapporti carnali, esclusivamente ristretta alla procreazione. Questo non era il caso, e in principio non lo è neppure oggi , della visione islamica.

Ai  nostri giorni , è l’inverso, sfortunatamente. Semplicemente perché abbiamo accusato un enorme ritardo in tutti i campi, compreso quello dei rapporti uomo-donna. L’equivalente, ai nostri giorni, del versetto coranico che chiede alle donne di portare su di esse il velo, di non scalpitare al fine di non attirare lo sguardo degli uomini, è il raccomandare alle credenti di vestirsi in maniera pudica, e questo sia da una parte che dall’altra.

(Intervista realizzata da Karima Goulmamine. Da L'Humanité - edizione del 12 novembre 2004. Traduzione dal francese a cura di Maria Domenica Ferrari)

Note

(1) Corano IV 3; IV 129.

(2) il progetto di riforma del Codice algerino prevede di sottomettere la poligamia all’accordo della prima moglie e del giudice.

(3) Corinzi 11,5-6 I versetti dicono “ Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è come se fosse rasata. Se dunque una donna non vuole mettere il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si metta il velo.”

L'8 aprile 1966 - a una manciata di mesi dalla conclusione del Concilio Valicano II e un biennio prima dello scoppio della contestazione nel mitico Sessantotto - compariva nelle edicole di mezzo mondo un numero del Time destinato a fare epoca. La copertina riportava, su sfondo scuro, solo una lapidaria domanda in colore rosso: Is God dead?Dio è morto?

Sabato, 18 Dicembre 2004 21:01

Durare (Faustino Ferrari)

Non è il denaro e non sono gli averi a far girare il mondo. Il mondo danza nel compimento del dono. Il mondo ci si rivela come dono.

Proprio per la partecipazione da parte di Dio alla storia umana, fino all'assunzione della sofferenza e della morte, per il cristiano queste esperienze sono pur sempre avvolte nel mistero, ma cominciano ad acquistare un diverso significato.

Sabato, 18 Dicembre 2004 20:53

Immaginare (Faustino Ferrari)

Dopo tanto discorrere e discutere, sembrava prevalere il parere che l’uomo e la donna dovessero essere creati come animali amorfi...

Sabato, 18 Dicembre 2004 20:50

Guardare (Faustino Ferrari)

La città che amo è fatta di vicoli, di case, di volti e di odori...

Ho già abbondantemente illustrato come la partecipazione rituale ed effettiva al banchetto eucaristico esprima ed esiga la comunione con i fratelli. Altrimenti, avremmo un segno, cui non corrisponderebbe la realtà.

La mansueta follia della croce
contro il male del fondamentalismo
di Giancarlo Bruni





Il fenomeno "fondamentalismo" pone dei problemi di vocabolario, di geografia e di storia che ne impediscono una definizione e un uso univoci. Senza entrare nel merito di una questione attualissima, e in termini non esaustivi e sicuramente criticabili, possiamo caratterizzare il "fondamentalismo" come una delle visioni organiche del mondo a partire da puntuali "fondamenti".

In sintesi, i propri "Libri" fondativi e identificativi accostati in maniera acritica e considerati in maniera apodittica testi da cui si deduce immediatamente e direttamente la legge di Dio, legge-verità che deve plasmare la convivenza umana, con conseguenze di chiusura, di resistenza e di ostilità nei confronti di quanti non si riconoscono o si oppongono all'applicazione socio-politica di tale prospettiva. Questo spiega, a partire dagli inizi del secolo scorso, l'opposizione dei fondamentalisti cristiani di matrice protestante del Nord America nei confronti della modernità e del cosiddetto cristianesimo liberale perché aperto al dialogo ecumenico e interreligioso e a una variegata gamma di interpretazioni o ermeneutiche bibliche.

Un fondamentalismo questo, di matrice protestante di lingua anglosassone, con taluni ed evidenti punti di convergenza con l"'integralismo" cattolico degli stessi inizi del secolo scorso, divergente dal primo per l'importanza data al magistero come istituzione mediatrice della volontà di Dio e dell'approccio al Libro. A ben vedere ancora una volta è in gioco il problema del rapporto fede-storia, Chiesa-mondo. Ma è nell'oggi che il problema è esploso in tutta la sua crudezza diventando questione mondiale. Si contendono, infatti, in uno scontro senza riserve di violenza, la piazza del mondo più fondamentalismi, più visioni totalizzanti che si presentano esclusive ed escludenti.

È la cronaca che abitiamo: «Questa è una crociata contro il Male assoluto, Dio non è neutrale davanti al Bene e al Male: Dio è con l'America». Parole dl George W. Bush in risposta all'attacco delle Torri gemelle, a sua volta giustificato dal Dio del Corano.

Ciò che mi preme sottolineare, al di là delle reali e inconfessate ragioni sottese a questo guerreggiare inteso come scontro di civiltà, è che i riferimenti religiosi a suo sostegno non vanno sottovalutati e la provocazione va accolta: Dio dove sei? Con chi stai? Sei davvero il fondamento di questa tragica deriva umana?

Domande che pongo anche al fondamentalismo islamico: il fondamento della propria religiosità è necessariamente violento? E che pongo ovviamente all'uso del nome di Dio e del ricorso alla civiltà cristiana che viene fatto nel cristianesimo stesso in questo tempo per molti versi apocalittico e manicheo.

In verità, nessuna religione può essere identificata con il suo estremo fondamentalista, tuttavia il fondamentalismo dai molti volti ha costretto e costringe ogni religione e le Chiese cristiane a ridiscendere nella propria profondità e a riconsiderare il proprio "fondamento".


Perché, come ha scritto David Turoldo, «sbagliarsi su Dio è un dramma, è la cosa peggiore che posa capitarci, perché poi ci sbagliamo sul mondo, sulla storia, sull’uomo, su noi stessi. Sbagliamo la vita». E per le Chiese non si dà altro «fondamento che Cristo» (1 Cor 3,11), la via alla verità di Dio (Gv 14,6) in quanto sua Icona (Col 1,15), sua Parola (Gv 1,1.14) e sua Esegesi (Gv 1,18), per tutti e da tutti visibile e intellegibile in maniera decisiva e inequivocabile sulla Croce (Gv 19,20.37), e per tutti e da tutti udibile nei detti sull'amore del nemico del Discorso della montagna. Il "fondamento" che è Cristo, un Vivente e non un Libro, un parlante nello Spirito che libera dal fermarsi alla lettera che uccide per pervenire alla parola che dà vita (2Cor 3,6), parola mai esaurita e mai conclusa dalle sue legittime e molteplici interpretazioni, non autorizza «fondamentalismo» alcuno. Al contrario, si pone come amore incondizionato e in forma unilaterale per ogni creatura sotto il sole, sempre dalla parte delle vittime e sempre bacio al carnefice e a quanti lo strumentalizzano, perché Dio non vuole la loro morte, ma che si convertano e vivano (cfr. Ez 33,11).

La domanda per le Chiese, pertanto, è una sola: come abitare la terra nel tempo del male fondamentalista? Che fare? «Dentro lo spessore del male introdurre la follia della compassione... Ho la responsabilità di far diminuire il male con la giustizia e la carità. Questa è la compassione... la poetica dell'agape» (Paul Ricoeur). E questo esserci come scandalo e follia è il linguaggio del Dio di Cristo verso ogni fondamentalista, un messaggio a cui le Chiese devono convertirsi a segno di un "fondamento" che guarda con amore e agisce con amore nei confronti di qualsiasi diversità, compreso il proprio assassino, il proprio oppressore, a qualsiasi religione, etnia e cultura appartenga.

Non si dà altra via di salvezza, come testimonia il Testamento spirituale di frère Christian, uno dei monaci trappisti uccisi in Algeria: «Venuto il momento, vorrei avere quell'attimo di lucidità che mi permette di sollecitare il perdono di Dio ...e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito, ...amico che non avrai saputo quel che facevi... E ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso... Insc’Allah, ad-Dio», al Dio che ha deposto al cuore di ogni religione e coscienza come suo fondamento vero la lingua materna comune della cura dell'altro.

(da Jesus n. 9, settembre 2004)


Intervista ad Amos Oz
Una risata contro i fanatici

di Alessandra Garusi





«Per favore, fate tutto quello che potete per aiutare entrambe le parti, perché tutti e due - israeliani e palestinesi - sono in procinto di prendere la più tormentata decisione della loro storia... Non dovete più scegliere fra essere pro Israele o pro Palestina. Dovete essere per la pace». Con questo appello agli opinionisti, all'Europa e a tutto il mondo esterno, si chiude “Contro il fanatismo” (Feltrinelli), l’ultimo libro del grande scrittore israeliano Amos Oz. Appassionato, umano, persino religioso nel senso più profondo del termine, egli propone una sua personale ricetta per vincere questo male che attanaglia ormai l'intero pianeta: il senso dell'umorismo.

Lei ha scritto: «In vita non ho mai conosciuto un fanatico dotato di senso dell'umorismo». Quando e come ha scoperto che la capacità di ridere di sé era il miglior antidoto contro il fanatismo?
«Penso che chiunque sia cresciuto a Gerusalemme e non sia diventato del tutto fanatico, debba avere un innato senso dell’ironia. Presumo, quindi, di aver avuto in corpo questo antidoto dalla primissima infanzia».

L'ironia è qualcosa che si può insegnare?
«No. Temo purtroppo che ciò non si possa fare. Tuttavia, spero che un giorno sia possibile creare un farmaco che la gente possa ingerire... Ritengo che l'ironia e le altre forme di umorismo, soprattutto la capacità di non prendersi troppo sul serio, siano non solo l'unico vero rimedio contro il fanatismo, ma anche la chiave di ogni relazione umana. Se credo in un Messia, lo faccio con questa certezza: Lui verrà sulla Terra ridendo e insegnandoci a fare altrettanto di noi stessi».

Recentemente lei ha detto di sé: «Sono un gran fautore del compromesso». Che cosa significa questo nella quotidianità?
«Significa cercare di incontrare le altre persone a metà strada. Significa che se mia moglie oggi vuole andare al cinema e io preferisco sedermi al tavolino di un caffè, cercherò di tenere il mio programma per il giorno dopo e quello di mia moglie per l'immediato; o ci infileremo in un bar dopo la proiezione, accontentando entrambi. È l'arte quotidiana del vivere assieme a un'altra persona».

Un caso pratico. Il partito laburista di Shimon Peres ha dichiarato la propria disponibilità a entrare nel nuovo Governo d'unità nazionale e, dunque, ad appoggiare il piano di ritiro da Gaza del primo ministro Ariel Sharon. Lei concorda con questa linea?
«Risponderò a questa domanda con un'altra domanda. Dipende: se alcune delle richieste avanzate dal partito laburista (o, ancor meglio, tutte) verranno accolte dal premier, allora l'ingresso si rivelerà opportuno; in caso contrario, sarà deleterio. In altre parole, mi chiedo: Sharon è disposto ad arrivare a metà strada per incontrare la controparte, oppure no?».

Che diritto ha un romanziere o uno scrittore di esprimere opinioni? O piuttosto “deve” farlo?
«Ho sempre considerato il mio lavoro come una sorta di sistema anti-incendio di un albergo o di un ristorante. Ogni volta che il mio naso intercetta l'odore del linguaggio disumanizzante, se sento che è mio dovere urlare, lo faccio. Perché io lavoro con le parole... E quando la gente - ovunque essa si trovi - sperimenta l'alienazione, la paralisi, so che è arrivato per me il momento di alzare la voce. Disumanizzare il linguaggio è infatti una sindrome che denota una disumanizzazione della politica».

Se non avesse fatto lo scrittore, cosa avrebbe fatto?
«Nella mia infanzia sognavo di diventare un pompiere... Se un giorno non potrò più scrivere romanzi, diventerò un "pompiere politico" capace di gettare acqua sul fuoco ovunque ci sia uno scontro».

Torniamo al suo libro. A suo avviso è possibile "guarire" un fanatico, e come?
«In alcuni casi si è riusciti a farlo. E questo grazie a un gruppo di persone che lo ha circondato risvegliando in lui (o in lei) un senso dell'umorismo dormiente, mai esercitato prima. In altre circostanze, il fanatico è "guarito" dopo essersi reso conto della limitatezza della vita umana, e in particolare della propria. Talvolta, quando uno si guarda attentamente allo specchio, vede tutto questo. Non sempre avviene».

A proposito del "come", può darci un consiglio?
«Leggere dei romanzi, delle poesie, può essere una buona medicina. Perché questo ci permette di entrare dentro altre culture, tradizioni, religioni. Ci infiliamo allora in altre scarpe e assumiamo altri punti di vista. È attraverso la letteratura in generale che scopriamo di avere tutti gli stessi segreti».

Dopo l'uccisione del primo ministro Yitzhak Rabin (novembre 1995), lei ha visto emergere qualcun altro, una figura di pari carisma sulla scena politica israeliana?
«No. Questo è un grande mistero, destinato a rimanere tale. Non sapremo mai chi diventerà un vero leader, prima che ciò avvenga. Cioè non è possibile oggi fare dei nomi, dire: "Sei il miglior candidato o la miglior candidata alla poltrona di primo ministro". Nemmeno il diretto interessato sa di esserlo. Se qualcuno mi avesse detto che Charles De Gaulle avrebbe smantellato il colonialismo francese, o che Winston Churchill avrebbe posto fine all'impero britannico, o che Michael Gorbaciov avrebbe distrutto il lavoro di Lenin e di Stalin, dieci anni prima che questi fatti accadessero, non ci avrei creduto. Quindi, c'è un elemento di mistero e di sorpresa».

Nel caso di Yitzhak Rabin, pensa che sia diventato un uomo di pace proprio perché ex uomo di guerra?
«Può darsi. Ma, come ho detto, resta un mistero. Conoscevo abbastanza bene Rabin, l'ho visto cambiare davanti ai miei occhi: la sua politica, il suo credo, le sue idee. Non è cosa da poco, soprattutto per un uomo sui 60 anni (forse lo è meno per una donna, meno arrogante e meno certa di avere la verità in tasca). Eppure, lui lo ha fatto. Ha colto di sorpresa non solo me, ma anche se stesso. Perché lui e non un altro generale, che pure aveva marciato sui campi di battaglia? Ripeto: è un mistero. Il cambiamento umano è un tale enigma... Sono sicuro che lei è stata in un ristorante. Avrà visto uno ordinare un piatto di pesce, poi richiamare il cameriere e dirgli: "Sa che cosa? Preferirei un pollo". Dio solo sa che cosa c'è dietro quel cambiamento. E le ho portato un esempio banale. Dunque, questo resta un arcano: che cosa sta all'origine del mutamento? Che cosa fa di una persona normale un grande leader? Non lo so».

Nel suo ultimo libro, Contro il fanatismo, lei afferma che «la speranza è il miglior antidoto contro il fanatismo». Chi oggi può realmente dare speranza in Israele e in Palestina?
«Chiunque abbia una visione positiva della realtà. E, di questo genere di persone, ce ne sono moltissime. Milioni, da entrambe le parti. Hanno uno sguardo pragmatico sull'esistenza e sulle cose; sanno che è possibile, per israeliani e palestinesi, vivere fianco a fianco; conoscono già la risposta che i politici vanno cercando da decenni».

Se un giorno la pace dovesse mettere radici in Medio Oriente, lei ritiene che avrebbe un effetto positivo anche su altre zone di conflitto?
«Spero davvero di poter vedere con i miei occhi la pace realizzarsi fra Israele e Palestina. E sono sicuro che contribuirà a un abbassamento di tensione in tutto il Medio Oriente, forse anche altrove. Certo, non metterà fine a tutte le guerre che oggi affliggono il mondo, ma sarà un segnale forte».

Qual è il suo sogno?
«Ho moltissimi sogni, molte fantasie. Ho più sogni che tempo per realizzarli in un'unica esistenza... Alcuni inconfessabili. Quello che ho per l'immediato futuro, è che i popoli e le nazioni comincino davvero ad ascoltarsi reciprocamente, e non facciano solo finta di farlo».

(da Jesus, n. 9, settembre 2004)


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