Ecumene

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Si teme, e con buone ragioni, che la globalizzazione, in corso di irreversibile attuazione, meriti lo stesso giudizio che, a suo tempo, ha avuto il fenomeno dell'industrializzazione. Questa è stata di certo un fattore di progresso e di innalzamento del livello di vita delle masse, ma con costi e danni enormi e sproporzionati per persone, famiglie e gruppi umani.

Venerdì, 28 Gennaio 2005 20:10

Simboli di pace

Simboli di pace

 

LA COLOMBA



NellaBibbia la colomba, rilasciata da Noè, torna all'Arca con un ramoscellod'olivo in bocca ad annunciare la fine del diluvio, diventando simbolodella pacificazione di Dio con l'uomo. Nella mitologia greca la colombaè uccello dell'amore, animale sacro ad Afrodite; in Cina è simbolo difedeltà coniugale; in India è chiamato "uccello dell'anima";nell'antico Giappone è animale sacro a Hackiman, il dio della guerra,ma con una spada annuncia la fine della guerra. È famosa la colomba diPicasso simbolo di pace "seppure rissosa". Cara a S. Francesco, la"timida e candida" colomba è diventata simbolo mondiale dei movimentidi pace, i pacifisti sono chiamati "colombe", i guerrafondai "falchi".

 

L'alberodell'ulivo è, fin dall'antichità, simbolo di pace, forse perché impiegaanni per dare frutto e quindi chi la pianta deve aspettarsi un lungoperiodo di pace e prosperità. Il simbolo è da ricollegarsi anche alracconto biblico della colomba che torna da Noè con un ramoscellod'ulivo nel becco. Nell'antica Grecia il ramo o la corona d'olivorappresentavano un prestigioso riconoscimento da assegnare a cittadinibenemeriti e ai vincitori delle olimpiadi. Ai nostri giorni numerosebandiere contengono il simbolo dell'olivo; per esempio, le bandieredelle Nazioni Unite e della Lega Araba. Nella "domenica delle palme" ètradizione consegnare un ramo d'olivo con un messaggio di pace.

IL RAMO D'OLIVO



L'ARCOBALENO




Nellamitologia greca l'arcobaleno è associato ad Iris, portatrice ai mortalidei messaggi degli dei. Nell'antica Cina i colori rappresentanol'unione di yin e yang, I popoli andini lo associano al Dio Sole(famosa la bandiera "wipala"), Nella mitologia nordica è il pontecostruito dagli dei tra terra (dimora degli uomini) e cielo (dimoradivina). L'arcobaleno è nell'immaginario dell'Africa, Indonesia, Scozia(dei celti), Tibet (i "chakra" del buddhismo Vajarayana)... Nellatradizione cristiana rappresenta il perdono di Dio: la sua comparsasancisce la fine del diluvio universale (come se Dio appendesse incielo l'arco della sua ira che diventa arcobaleno a significare unarinnovata pace divina con l'umanità). Simbolo di pace e speranza in unmondo migliore, l'arcobaleno è ora largamente utilizzato dai movimentiambientalisti e libertari (p.e., gay). Per distinguersi, i pacifistiusano l'arcobaleno "secondario": colore rosso in basso e violetto inalto.

 

Peri nativi americani il calumet è simbolo di riconciliazione epurificazione. Il "fornello" rotondo della pipa rappresenta il centrodell'universo, il cuore; il fumo rappresenta il collegamento con ilcielo; il "cannello" rappresenta la colonna vertebrale col canaleattraverso cui fluisce lo spirito vitale. Questa "pipa", consideratasacra, consente l'unione con gli spiriti dell'universo e offre onore eforza a chi la possiede. Viene utilizzata, in modo particolare, persancire la conclusione di trattati di pace o durante cerimonie dialleanza, Fumare insieme è, infatti, considerato di buon auspicioperché favorisce i benefici che derivano dall'amicizia.

IL CALUMET O PIPA DELLA PACE




VISCHIO (MISTLETOE)



Nellatradizione scandinava il vischio era associato alla morte dei dio soleBalder colpito da una freccia di vischio del malvagio Loki. Per questoil vischio era inizialmente considerato simbolo di morte. Ma la deaFreya, madre di Balder, decise di riabilitare la fama di questa piantae farne un simbolo di pace, perdono e riconciliazione, in onore delfiglio. Da allora i nemici che si incontrano sotto i rami di vischiosono intenzionati a deporre le armi e a proclamare una tregua. Dallastessa leggenda trae origine l'usanza di appendere del vischioall'ingresso delle abitazioni, in segno di pace e benevolenza verso chivi entra.

 

Laproduzione del tè interessa tutta la zona tropicale e parte di quellatemperata. La bevanda ha il vantaggio di essere meno eccitante diquelle ottenute tramite fermentazione e distillazione e dello stessocaffè. Bere tè è perciò diventato segno di pace. In Giappone (dalsecolo 12°) s'è sviluppata la cerimonia del tè. Sono studiate perfinole pietre che portano alla casa del tè, per favorire un calmo ritirodalle preoccupazioni mondane e favorire il risveglio. La cerimonia (delbuddhismo zen) dà armonia (wa) rispetto (kei) purezza (sei)tranquillità (jaku).

Presso gli arabi èconsuetudine bere tè alla menta non solo per colazione o duranteconversazioni amichevoli, ma anche per chiudere in accordo un acquisto,fare nuove conoscenze, rinsaldare/approfondire amicizie.

IL TÈ E LA TEIERA


IL SIMBOLO CND




Nel1958 nasce il simbolo della campagna inglese per il disarmo nucleare(Campaign for Nuclear Disarmament). È stato disegnato da Gerald Holtoma partire dalle lettere N e D come rappresentate dal codice dei segnalicon bandierine. La linea verticale corrisponde al segnale della letteraD (disarmament), mentre le due linee inclinate corrispondono allalettera N (nuclear). Secondo alcuni, inoltre, il cerchio esternorappresenta la parola globale. Dunque il significato è:. DisarmoNucleare Globale. Nel '68 il simbolo comincia ad essere utilizzato conriferimento alla pace contro la guerra dal movimento studentesco. Neglianni Ottanta il simbolo viene anche utilizzato, specie negli StatiUniti, per rappresentare l'ambientalismo.

 

Dentroal tutto (cerchio) del Tao, yin/yang è simbolo taoista di equilibriodualista. Lo yin (area nera) rappresenta il lato oscuro, freddo, secco,flessibile, femminile, accogliente, amministrativo della vita; lo yang(area bianca) rappresenta gli aspetti luminosi, caldi, maschili, umidi,rigidi, propositivi, rivoluzionari della vita. I due sono complementaripiù che conflittuali. I due punti all'interno di ogni area indicano che"gli estremi si toccano": lo yin contiene il seme dello yang eviceversa (il sole "acceca", il ghiaccio "scotta la mano"). Yin/yangruotano e sono graduali. In noi sono presenti come respiro (in-spiraree e-spirare). Rappresentazioni molto antiche dello yin/yang furonorinvenute in Corea, nel nord della Cina ed in Estonia.

YIN/YANG




IDEOGRAMMA CINESE "AN"




Siccomela scrittura cinese non separa il significante dal significato, ogniideogramma cinese del concetto astratto "pace" è praticamente unsimbolo. È il caso dell'ideogramma "an" che rappresenta (quasi undisegno stilizzato) gli elementi che i cinesi abbinano al concetto dipace. Si tratta di un tetto con, sotto, la donna. E si traduce comepace/tranquillità, nel senso di essere a casa, in terra ferma, fuori darealtà intricate e difficili. Secondo tale ideogramma la pace èfemminile ed è legata al proprio tetto. Facendo una trasposizione,possiamo dire che per Ulisse, vessato da una guerra decennale, daiflutti del mare e da una selva di insidie, pace è il ritorno alla suacasa di Itaca dove Penelope lo attende fedele.

 

Èla stella a sei punte, chiamata anche "scudo di Davide" o "sigillo diSalomone" (il saggio figlio di Davide la portava come amuleto?). È ilsimbolo più importante del giudaismo, ma è diffusissima presso moltipopoli. La troviamo anche sui monumenti musulmani, nei graffitipreistorici e nei libri esoterici. La stella di Davide è formata da duetriangoli intersecati che possono significare l'unione dell'acqua e delfuoco, oppure della nascita e della morte, oppure dell'umanità e delladivinità. Ma soprattutto è l'unione dell'uomo e della donna. In taleunione v'è l'andito alla pace. Il Messia, figlio di Davide, èannunciato da una stella ed è chiamato "principe della pace".

STELLA DI DAVIDE




IL NUMERO SETTE




Premettiamoche i numeri cardinali dall'1 al 9 sono di origine geometrica, contatisugli angoli. Per gli ebrei 7 è numero perfetto perché unisce terra ecielo. La terra è rappresentata nella parte inferiore del numero dallacroce dei punti cardinali che creano i 4 angoli; il Cielo nella partesuperiore con 3 angoli, somma dell'unità e della dualità. Insomma c'èpace quando in basso sulla terra si fa la volontà del Cielo. E ilgiubileo, a complemento di 7 settimane di anni, intende ripristinareper la terra il piano del Cielo. Nella creazione, riposando il 7°giorno, Dio prometteva al popolo ebraico - se era in esilio - ilritorno in patria e la pace. Inoltre la stella a 7 punte, presente invarie culture, rappresenta l'unità dei popoli, delle direzioni (NordSud Est Ovest sopra sotto dentro), degli elementi (terra aria fuocoacqua vita Luce magia).

 

Buddhaspiega così il suo ottuplice sentiero o cammino di mezzo: per suonarebene la chitarra le corde devono essere calibrate, né troppo tese nétroppo allentate. L'intreccio a 8 punte è il simbolo buddista cherappresenta l'ottuplice sentiero calibrato attraverso il quale l'uomoottiene la pace e raggiunge il nirvana. Tale sentiero riunisce 8 virtù:tre a livello di moralità: Retta (Giusta) Parola, Retta Azione e RettaCondotta di vita; tre a livello di disciplina mentale: Retto Sforzo,Retta Attenzione e Retta Concentrazione; due a Livello della sapienza:Retto Pensiero e Retta Comprensione. E di 8 raggi è la Ruota dellaLegge (del Darma). Come "doppio quadrato" o stella a Otto punte è ilsimbolo dell'unione e dell'ordine.

INTRECCIO OTTUPLICE




STELLA DALLE NOVE PUNTE



Ilnumero 9 è sacro. La stella a 9 punte si ottiene con tre triangoli otre trinità (ragazza, madre, anziana; giovane, padre, anziano; mente,corpo, spirito). Come "quadrato a 9 punte" o "divinità all'ennesima",nel mito dell'antica Norvegia unisce i nove mondi. Secondo un mitoegiziano, Dio ha creato il mondo grazie a tre grandi separazioni peravere 3 ambienti (luce, acqua e terra, come nella Bibbia) e poi li hariempiti con i sei elementi degli astri, vegetali, pesci e uccelli,animali e persone: è un mondo di pace perché ordinato. Per la religionebahai la stella a nove punte è il simbolo della pace tra le religioni.I templi bahai hanno 9 porte per ricordare le 9 religioni rivelate:sabea, ebraica, induista, zoroastriana, buddhista, cristiana,musulmana, babista e barai. La nona è considerata la sintesi di tutte.

 

Intrecciodi tre nodi d'energia (astrale) continui, il triskele è il simboloceltico più conosciuto. Lo si trova anche nelle culture preistorichevillanoviane, sui megalitici irlandesi (età del bronzo), nell'anticaSicilia (!) e in altre culture antiche. È pace ritmata sul numero tre:Dio (unico) come Forza, Saggezza e Amore; la Deità come Ragazza(ispirazione), Madre (datrice di vita) e Anziana (saggezza); Mondodell'Assoluto, dell'Al di là e dell'Umano; Terra (cinghiale), Acqua(salmone) e Cielo (drago); passato, presente e futuro: sorgere delsole, mezzogiorno e tramonto; azione, sentimento e pensiero.Specialmente è unità di corpo, mente e spirito, necessaria per latranquillità anche tra i pericoli..., grazie al controllo delleemozioni, all'accettazione del destino e della legge dinascita-vita-morte, all'equilibrio di pensieri, parole e opere.

TRISKELE




MANO APERTA



Fioredi loto al centro del palmo candido dello mano è il simbolo deljainismo. A volte al posto del fiore di loto si incontra la scrittaahimso, che in sanscrito significa nonviolenza, nel senso di operazionedi pace. Infatti ahimso indica una forma di nonviolenza attiva o ilrispetto per la vita in tutte le sue forme. Il premio Nobel per la PaceAlbert Schweitzer ne ha fatto la filosofia della sua esistenza. Illoto, sacro anche nell'antico Egitto, è simbolo eminente dell'India,nell'induismo e nel buddhismo, oltre che nel jainismo. Come il lotoaffonda le radici nel fango dello stagno ma poi affiora dall'acqua (cheegli purifica) e si erge verso l'alto, così l'uomo dal fango delpiccolo sé può elevarsi al grande Sé.

 

Ilsimbolo della croce è universale e antichissimo (è antecedente alcristianesimo). È un simbolo elementare: due rette che si intersecano,ad indicare l'ordinamento cosmico dello spazio, sia consideratoorizzontalmente sia verticalmente: come tale indica totalità e armonia.Essere al centro della croce significa essere sovrani universali,signori di tutte le direzioni. In questa forma appare presso i celti, icretesi, i romani, nel Messico antico... Una variazione è la svastica,croce dell'armonia astrale. Le code che partono dalle quattro estremitàindicano la rotazione del sole se il movimento è verso destra, dellaluna se è verso sinistra. È anche il sigillo del cuore di Buddha.

Con la morte di Gesù in croce (seppure atau, con tre estremità) la croce è diventata simbolo del sacrificio diCristo. Lui ci ha ottenuto la pace-riconciliazione nel suo sangue.

LA CROCE




 

(testi da Cem/Mondialità, maggio 2004)

Giovedì, 27 Gennaio 2005 01:24

Il sangue della terra (Marcelo Barros)

Il sangue della terra
di Marcelo Barros





Agli elementi del cosmo come la terra, l'aria, l'acqua e il fuoco, l'umanità ha aggiunto altre come la pietra, il vento e gli alberi. Anche in essi ha scoperto segni forti della presenza divina. Nel mondo moderno, uno dei fattori più determinanti per lo sviluppo è stato il petrolio.

Qualcuno si meraviglierà che nel parlare di spiritualità cosmica dedichiamo una puntata al petrolio, un liquido che, fin dalla sua comparsa, ha provocato tanti conflitti e guerre, oltre a spingere all'estremo l'umana cupidigia.

Tuttavia la sfida del credente sta nel mettere in connessione tutti gli aspetti della vita con la spiritualità, e scoprire una parola di Dio in ogni elemento che ci circonda.

Il petrolio è un liquido oleoso, normalmente di densità minore di quella dell'acqua. Il suo aspetto varia dall'incolore al nero, passando per il verde e il marrone. Lo si trova in mare o in regioni che un tempo furono marittime. Trae origine dalla materia organica sepolta (principalmente alghe), assieme a sedimenti lacustri o marini. Questo agglomerato è composto di carbonio più altri componenti come idrogeno e zolfo; quest'ultimo deve essere eliminato in quanto, durante la combustione, produce una sostanza altamente corrosiva e inquinante.

Gli elementi basilari del petrolio si formarono almeno tre miliardi di anni fa, ben prima che apparisse la vita sulla terra. In ere successive, che coprono non meno di 600 milioni di anni, questo miscuglio originale andò arricchendosi di sostanze organiche fino a diventare petrolio. Per questo è considerato una risorsa naturale non rinnovabile.

Il petrolio è conosciuto fin dai tempi antichi. A Babilonia, l'attuale Iraq, il re Nabucodonosor se ne serviva per pavimentare le strade; gli egizi lo impiegavano come impermeabilizzante. La tecnica della perforazione di pozzi profondi era padroneggiata da duecento anni prima di Cristo, ma l'obiettivo dei popoli antichi quando scavavano, era trovare l'acqua potabile. La Bibbia fa allusione a laghi di bitume, asfalto o petrolio. Quei pozzi di materia infiammabile e maleodoranti erano visti come luoghi del castigo divino. «La valle di Siddim era piena di pozzi di bitume. Il re di Sodoma e il re di Gomorra vi caddero dentro» (Genesi 14, 10). L'Apocalisse (19, 20 e 20, 10) prende come simbolo della città dell'oppressione Babilonia, regione dove il petrolio è abbondante da sempre. Il testo biblico assicura che la Bestia e il Falso profeta saranno gettati nel lago di zolfo e fuoco ardente.

A motivo del rischio di combustione e incendio, come pure per la loro parvenza e odore misteriosi, i pozzi di petrolio furono sempre associati dalla Bibbia e da alcune mitologie antiche al giudizio e castigo finale. In certe tradizioni di matrice africana, il bitume o petrolio allo stato naturale è associato a Exu. L'orixà (spirito) delle relazioni commerciali e della comunicazione.

Nella cultura moderna il petrolio è ancora la principale fonte di energia che l'essere umano possiede. Trasformato, fornisce materiali - utilizzati praticamente in tutti i settori delle attività umane dai trasporti alla medicina. Il petrolio è la materia prima della plastica e di tanti prodotti nelle nostre case. Poiché la paraffina con la quale si fanno, per l'uso di diverse religioni, le candele, proviene dal petrolio, ecco che questo si è ritagliato uno spazio persino nelle attività religiose e liturgiche.

Malgrado l'esistenza di pozzi petroliferi nel mondo intero, la maggiore abbondanza di petrolio si trova non nella parte ricca del mondo, ma nell'emisfero meridionale. Il fatto che tanti paesi dell'America latina, Africa e Medio Oriente siano traboccanti di oro nero, non ha apportato ricchezza ai rispettivi popoli, ma al primo mondo, che continua a sfruttarli come all'epoca del colonizzazione. Agli inizi di questo 2003, l'umanità ha assistito all'invasione nordamericana in Iraq. Autorità stesse del governo statunitense, come il vicesegretario alla difesa Paul Wolfowitz, hanno dichiarato: «In realtà la ragione principale dell'azione militare è stata il fatto che l'Iraq nuota nel petrolio» (Jornal do Commercio di Recife, 5/7/03). Il colonialismo non è cambiato: per mettete le mani sulla ricchezza dei poveri, i conquistatori assassinano intere comunità, danno pozzi alle fiamme, inquinano mari e distruggono l'ecosistema di immense regioni del pianeta.

In Brasile, un capo indigeno visitò un giorno un'area nella quale, per praticare delle trivellazioni per il petrolio, un'impresa aveva tagliato a metà una montagna e deviato il corso di un fiume. Nel vedere quello scempio, il cacique commentò: «Voi non siete dei. Chi vi ha dato il diritto di fare una cosa simile a Madre Terra?».

È davvero urgente la crescita di una spiritualità ecologica ed ecumenica che aiuti persone e comunità a vivere una relazione di rispetto e di uso equilibrato delle ricchezze della terra e del sottosuolo. La nostra proposta non è di sacralizzare le forze del cosmo, né di demonizzare gli elementi del sottosuolo. Possiamo disporre delle ricchezze di superficie e sottosuolo senza distruggere la natura, né ridurla a una semplice merce di più da saper sfruttare.

(da Nigrizia, 4, 2003)

Per Frankl l'agire umano è frutto di una libera scelta che ognuno può fare di fronte ai condizionamenti. Anche ai peggiori, come la deportazione nei lager.

È naturalmente impossibile raccontare in breve tempo le vite o le immagini dei santi più importanti o spiegare il loro cammino spirituale. il nostro compito è di cercare di esprimere lo spirito…

Mercoledì, 19 Gennaio 2005 21:56

1. Che cosa è la Bibbia (Rinaldo Fabris)

L'espressione italiana: “La Bibbia”, viene da un plurale greco tà Biblía, “i libri”, passando attraverso il latino medievale Bíblia.

Mercoledì, 19 Gennaio 2005 21:22

Desmond Tutu. Non c’è pace senza perdono

Desmond Tutu.
Non c’è pace senza perdono






Desmond Tutu nasce nel 1931 a Klerkdorp, nella regione sudafricana del Transvaal. Studia nelle scuole riservate al Bantu, una delle etnie nere più numerose nel suo paese, ma non ha i soldi per studiare medicina e trova un impiego come maestro. Conosce il reverendo Huddleston che lo avvicina alle problematiche dell'apartheid: nel frattempo Tutu decide di diventare pastore della Chiesa anglicana, e riceve l’ordinazione nel 1961.

Dopo alcuni anni di studio in Inghilterra, si dedica all'insegnamento universitario e nel 1975 è il primo nero nominato decano della cattedrale anglicana di Johannesburg. Successivamente, Tutu viene eletto Segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese Sudafricane, e la sua opera lo porta a subire calunnie e intimidazioni da parte del governo sudafricano. Nel 1984 riceve il Nobel per la pace per la sua lotta contro l’apartheid fino al 1996 è stato arcivescovo di Città del Capo. Dal 1995 al 1998 ha presieduto la Commissione perla Verità e la Riconciliazione sudafricana fortemente voluta dallo stesso neopresidente Mandela al termine dell'apartheid. È attualmente visiting professor presso l'Università di Atlanta.


«L'oppressore si disumanizza nella misura in cui disumanizza le sue vittime, e ritrova la sua dimensione di umanità nella misura in cui le sue vittime ritrovano la loro. Ma, più ancora, egli ha un urgente bisogno del loro perdono».
(D. Tutu, Anch'io ho il diritto di esistere)





Tutu ha sempre ricordato ai cristiani che predicavano la rassegnazione di fronte alle ingiustizie del mondo che la Buona Novella di Gesù comporta anche la ricerca della pienezza di vita su questa terra, cioè la cura dell'affamato e del malato, la ricerca della giustizia per l'oppresso e la ricerca della pace e della riconciliazione tra gli uomini. Perciò il cristiano non può restare indifferente di fronte alle ingiustizie, limitandosi a predicare la visione consolatoria dell'altra vita.

Tutu ha dapprima operato nella città-ghetto dei neri di Soweto, dove ha cercato di stimolare i fratelli neri ad essere fieri di essere tali (black consciousness) e a credere in Dio come liberatore del popolo nero. La teologia nera (Black Theology), nata per dare ai neri la coscienza "di non dover più chiedere scusa per il solo fatto di esistere", è stata ostacolata dalle autorità bianche, in un contesto generale di crescente repressione che ha portato al massacro dei neri di Soweto nel 1976 e a violenze sempre più efferate. In un contesto sempre più difficile, la teologia nera si è occupata della sofferenza dell'uomo nero, causata dal razzismo bianco, e ha messo in discussione la pretesa tipica della cultura bianca per cui i suoi valori assumono un carattere universale. L'opera di Tutu è stata fondamentale perché inizialmente la politica razzista del governo sudafricano era approvata dalla Chiesa riformata, e Tutu, nella sua qualità di vescovo anglicano, ha testimoniato con forza che il razzismo era assolutamente contrario al Vangelo e incompatibile con esso.

L'elezione di Tutu come Segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese Sudafricane, un organismo che rappresentava milioni di protestanti di tutto il mondo, gli ha dato la visibilità per mobilitare maggiormente l'opinione pubblica mondiale: come presidente di questo Consiglio ha proposto una campagna per la disobbedienza civile dei neri in Sudafrica, e il governo gli ha ritirato il passaporto per aver incoraggiato la Danimarca a boicottare il carbone sudafricano. La posizione di Tutu è stata forte e chiara: di fronte alla legge che propone e copre le ingiustizie è lecito disobbedire.

Una volta rimossa la vergogna dell'apartheid, dopo che nel 1996 la nuova Costituzione ha eliminato gli ultimi residui del regime razzista, l'opera di Tutu non ha conosciuto sosta: egli si è impegnato nel tentativo di transizione pacifica dal regime alla democrazia. L’impegno era difficile: si trattava di trovare il coraggio da parte della gente di affrontare i massacri e le violenze del passato senza desiderio di vendette, ma anche senza voler passare un colpo di spugna radicale, come se nulla fosse accaduto.

Grazie al lavoro della Commissione per la Verità e la Riconciliazione, presieduta da Tutu, le vittime o i loro parenti potevano per la prima volta raccontare le violenze subite e ricevere ascolto, mentre gli oppressori potevano ricevere l'amnistia in cambio dell'intera verità. Grazie al pentimento degli assassini e al perdono concesso dai familiari delle vittime, nasceva la possibilità di ripartire nella vita quotidiana nel segno della pace. Frutto di un compromesso tra chi chiedeva un'amnistia generalizzate e chi invocava una nuova Norimberga, la Commissione ha avuto il compito di ascoltare tutte le persone che si dichiaravano vittime di gravi reati contro i diritti umani e tutti coloro che, accusandosi di tali crimini, chiedevano l'amnistia.

Più di 20mila persone si sono presentate davanti alla Commissione. Alcune erano vittime venute a piangere pubblicamente, ad aprire il loro cuore e a liberare l'angoscia che per tanto tempo era stata ignorata o forse negata. Altre erano autori di crimini, bianchi e neri, che cercavano uno spazio dove sfogare la loro colpa e riconoscere il loro errore, per  ottenere amnistia e riconciliazione. L'obbiettivo della Commissione non era quello di accertare la colpa. Infatti, non veniva emessa una sentenza di innocenza o di colpevolezza. L'obiettivo era invece quello di stabilire la verità. Tra il modello di Norimberga dove i colpevoli sono puniti e l'amnistia generale "copritutto", il Sudafrica optò per una "terza via" che si è rivelata un modello da esportare. L'amnistia veniva concessa a chi ne faceva domanda e accettava di comparire davanti alla Commissione facendo una confessione piena e dettagliata dei propri crimini, commessi dal 1961 al 1994, negli anni dell’apartheid Insomma, si dava la libertà ai colpevoli in cambio della verità. Opponendosi all'idea di una giustizia punitiva, Tutu ha rilanciato l'idea della "giustizia restituiva", a cui era improntata la tradizionale giurisprudenza africana. Il nucleo di quella concezione non è la giustizia o il castigo, ma la convinzione che fare giustizia significa innanzitutto risanare le ferite, correggere gli squilibri, ricucire le fratture dei rapporti, cercare di riabilitare le vittime quanto i criminali, ai quali va data la possibilità di reintegrarsi nella comunità che il loro crimine ha offeso. "Una nazione che non sa riconoscere e ammettere la verità del proprio passato, per quanto brutale sia, è condannata a ripetere questi errori nel futuro", ha dichiarato Tutu a quanti tentavano di rallentare i lavori della Commissione.

Perdonare non significa far finta che le cose sono diverse da quelle che sono, chiudere gli occhi di fronte a quello che non va: una vera riconciliazione può avvenire soltanto mettendo allo scoperto i sentimenti, meschinità, violenza dolore, degradazione, verità. Come ha notato Luigi Bonanate, docente di Relazioni internazionali a Thrino: "eravamo abituati a pensare che quando gli oppressi si liberano dalla catene si vendicano, e invece questo rituale collettivo, questa confessione e purificazione generalizzate, ha svuotato la transizione di tutti i suoi aspetti violenti. Ha "proceduralizzato" il conflitto e ha aperto la via alla democrazia". L'esperienza della Commissione sudafricana è stata seguita da altri paesi dilaniati da conflitti intermi - dal Guatemala al Sudafrica, da Timor Est allo Sri Lanka, dal Perù alla Sierra Leone - che l'hanno affiancata o sostituita alle normali corti giudiziarie.

Negli ultimi anni l'attenzione di Tutu si è progressivamente allargata ad altre situazioni assimilabili a quella sudafricana, come la condizione dei Palestinesi in Israele o l'impegno per sostenere le iniziative volte a lottare contro la devastante povertà che affligge milioni di persone che non hanno accesso all'acqua e all'elettricità.

(da Cem-Mondialità, aprile 2004)


Il sesto gradino dell'umiltà si ha se il monaco si accontenta di tutto ciò che è più vile e spregevole e in tutto quello che gli viene comandato si considera come  un operaio inetto e indegno (RB 7, 49).

Non si può sperare senza fondamento, "ma come può la speranza essere certa se rimane speranza? Allora il testimoniare questo, predicare questa agonia, questo a me interessa del teologo, cioè di colui che è appeso alla croce, non di colui che la spiega. Qui trovo una differenza con il mio ragionamento che mi spinge alla relazione con l'altro".

Quattro vie
per l'educazione alla pace


Nel momento confuso che stiamo vivendo, con il terrorismo che ha portato la paura nel quotidiano della gente e con il rischio di scelte politiche sempre più improntate alla chiusura e alla demonizzazione dell'altro/straniero, o ispirate al principio della guerra preventiva, quali possono essere le pedagogie di pace? Quali temi devono avere quelle pedagogie - anche senza intenderle come un indirizzo teorico in senso stretto ¡ che potrebbero contrastare il virus della potenza e del dominio? A nostro parere l'educazione alla pace può passare attraverso quattro vie privilegiate: la pedagogia interculturale, l'ecopedagogia (le pedagogie attente alla terra), la democrazia partecipativa (l'opera delle persone che si associano e si mettono in rete per fare azioni concrete di pace), l'impegno delle religioni.


1. La pedagogia interculturale

La scuola svolge la funzione primaria e insostituibile di dare cittadinanza all'uomo planetario che è già in cammino
. (Franco Cambi)

Anzitutto la pedagogia interculturale: siamo consapevoli che la pace deve essere radicata nella cultura, e non può rimanere come un messaggio isolato e affidato ad un elite di pochi testimoni illuminati. La sfida è inserire la pace nell'ambito della cultura, nella convinzione che solo una cultura che sia capace di meticciarsi con le altre può essere la cultura del futuro.

Conosciamo benissimo cosa accade alle culture chiuse e autoreferenziali, perché abbiamo presente il destino della nostra cultura eurocentrica, che ha prodotto dei modi di pensare che sono serviti a giustificare gli imperialismi e le colonizzazioni. La filosofia del soggetto ha prodotto un uomo che ha "esportato la sua civiltà" tra indios, pellerossa, africani e asiatici, in cambio dello sfruttamento delle risorse altrui; la filosofia della tecnica ha portato l'uomo a imporsi sulla natura fino al punto di violarla, ma anche di mettere a repentaglio l'esistenza delle generazioni umane future. Pedagogia di pace é una pedagogia che sappia affrontare le ombre della nostra cultura (come la presunzione di superiorità e il razzismo), che sappia formare individui capaci di vivere nella complessità, "cittadini del mondo" grazie all'inclusione delle differenze, e non alla loro sottrazione: non tanto passando per la rinuncia all'identità nazionale (che spingerebbe alcuni al fondamentalismo), quanto cercando un'identità che sia plurale e non abbia paura dell'altro.

Perciò concordiamo pienamente con Franco Cambi quando scrive: "nell'interculturalità è posta una sfida alla e della pedagogia; sfida verso un nuovo modello di cultura, radicalmente diverso rispetto a quello tradizionale - occidentale o greco-cristiano-borghese -, capace di revisionare i fondamenti di quello e di proporne dei nuovi, attuando una macro-rottura all'interno dell'Occidente stesso, in quanto ne rimuove millenarie certezze e pone nuove frontiere (etiche, cognitive, antropologiche, prima che sociali e politiche) alla sua cultura, anzi frontiere del tutto nuove" (1). L'intercultura come sfida, come riscoperta e rilancio di valori positivi della cultura occidentale per superare l'etnocentrismo e le tentazioni di egemonia culturale. Questi valori sono il dialogo, il pluralismo, la convivialità delle differenze: immaginiamo una pedagogia interculturale che sia ermeneutica, capace di prestare attenzione al non-detto, al rimosso, all'emarginato capace di dialogare con quelli che la narrazione dominante pone a margine.

Una pedagogia di pace prevede quel dialogo tra culture che recepisce le aperture più illuminate della filosofia contemporanea, come le teorie di Lévinas e Derrida, che tematizzano il carattere incondizionato dell'ospitalità e cercano di superare un'aporia del pensiero occidentale, la chiusura di fronte allo straniero, e che rilanciano le categorie dell'alterità e della differenza.

NOTA

    (1) F. CAMBI, Intercultura: fondamenti pedagogici, Carocci, Roma 2001, p. 15





    2. Ecopedagogie

    L'uomo non è il padrone della creazione. (...) Bisogna passare all'ecosofia, cioè alla saggezza stessa della terra di cui l'uomo prenderebbe coscienza e si farebbe portavoce. (R. Panikkar)

    La sensibilità verso la terra sta lentamente cambiando, anche se purtroppo talvolta cambia più per la consapevolezza dei pericoli che si corrono (1'euristica della paura di Jonas) che per una maturazione sempre consapevole e diffusa. Una pedagogia della pace deve prevedere l'educazione ambientale e l'alfabetizzazione ecologica: per non ripeterci rimandiamo alle considerazioni espresse su questa rivista da Luigina Mortari (numero di gennaio) e da Carlo Baronoelli (febbraio), e agli articoli che sono stati dedicati alla "Carta della Terra".

    Aggiungiamo un riferimento all'ecopedagogia. Come detto, il punto critico a cui sembra essere arrivato l'uomo nel suo rapporto con l'ambiente obbliga a cambiare necessariamente la nostra mentalità. É necessario guardare al futuro, a una diversa presenza dell'uomo sul pianeta, proiettarsi in una dimensione inedita di cittadinanza planetaria. L'ecopedagogia è la riflessione, oggi necessaria, su una teoria e una prassi educativa che tengano conto che l'uomo ha il diritto/dovere non di essere il dominatore della Terra, ma soprattutto il principale custode delle sue risorse, delle sue bellezze e delle diverse forme di vita.

    Secondo i teorici dell'ecopedagogia, Francisco Gutiérrez e R. Cruz Prado, la chiave di volta di un futuro possibile deve essere una nuova forma di razionalità, che sia all'insegna di una relazionalità flessibile, intuitiva e processuale, in grado di recepire tutte le istanze della vita sulla Terra, in qualunque forma esse si manifestino. La quotidianità è il luogo e il tempo privilegiato dello sviluppo sostenibile. L'ecopedagogia si propone pertanto come una nuova scienza che trascende i modi occidentali di concepire l'universo e coincide sorprendentemente con il pensiero e la visione del mondo delle culture tradizionali di tutte le latitudini.

    Le pedagogie della pace devono porsi il problema di educare le giovani generazioni ad abitare la terra, prendendosene cura e valorizzandone i beni.


    3. La democrazia partecipativa

    Dobbiamo sentirci solidali, corresponsabili: una solidarietà che si impara nelle piccole fraternità per allargarsi sempre di più. (R. Goldie)

    É uno dei dati sociali più importanti di questi ultimi anni, legato ad una teoria di cambiamento che si incontra con la vita pratica: si tratta della crescente voglia di partecipare espressa dalla gente comune, che si esprime non solo attraverso le consuete modalità "politiche" (ad esempio le manifestazioni) ma anche attraverso gesti quotidiani che denotano un cambiamento di coscienza.

    Già da tempo si è rilevato l'impatto positivo della diffusione di buone pratiche come la spesa nei negozi del commercio equo e solidale o l'aprire un conto corrente allo sportello della Banca Etica: l'elemento che vorremmo qui evidenziare è il fenomeno della creazione di reti di collaborazione solidale a livello locale, regionale e mondiale. Si tratta del tentativo di costruire un'alternativa democratica e non capitalista all'invadente globalizzazione, cercando una crescita economica che sia sostenibile sia dal punto di vista ecologico che da quello etico-sociale.

    L'obiettivo è ambizioso: convincersi che un altro mondo è possibile a condizione che i consumatori passino ad un consumo solidale, cioè scelgano i prodotti delle reti di collaborazione solidale anche se, in qualche caso, dovessero costare più di quelli della rete capitalista. Consumo solidale significa essere sempre consapevoli che le nostre scelte commerciali possono conservare o danneggiare gli ecosistemi, condizionare occupazione e disoccupazione, mantenere o ostacolare lo sfruttamento dei lavoratori.

    Ci sembra significativo citare il caso italiano della Rete di Lilliput, un'associazione di gruppi e cittadini impegnati nel volontariato, nel mondo della cultura, nella cooperazione Nord/Sud, nel commercio e nella finanza etica, nel sindacato, nei centri sociali, nella difesa dell'ambiente, nel mondo religioso, nel campo della solidarietà, della pace e della nonviolenza che, di contro alle leggi imperanti del mercato/profitto e alla perdita di credibilità delle istituzioni democratiche, hanno unito in un'unica voce le loro molteplici forme di resistenza contro le scelte economiche che concentrano il potere nelle mani di pochi e che trascurano la vita in nome del profitto e del consumismo.

    Adottare una strategia lillipuziana significa che è possibile per tutti i cittadini dare il proprio contributo al cambiamento delle istituzioni sociali. Per questo diventa necessario costruire le reti locali. La strategia lillipuziana può diventare uno dei modi per unire i luoghi e le forze, per mettere in rete i gruppi, laici e cattolici, e quindi per globalizzare la solidarietà.

    Del resto, l'aumento della complessità sociale richiede un aumento del livello di coordinamento dei soggetti e delle risorse. Come tutti sanno, il nome di "Rete di Lilliput" richiama la favola I viaggi di Gulliver (1725) dello scrittore e politico irlandese Jonathan Swift, e in particolare la situazione in cui i minuscoli "lillipuziani", alti appena pochi centimetri, catturano Gulliver, il gigante (metafora della globalizzazione), legandolo nel sonno con centinaia di fili. Gulliver avrebbe potuto schiacciare qualsiasi "lillipuziano" sotto il suo stivale, ma la fitta rete di fili lo immobilizza e lo rende impotente.

    4. Religioni per la pace

    Non ci sarà pace nel mondo finché non ci sarà pace tra le religioni. (Hans Küng)

    Anche senza entrare nell'analisi della complessa situazione geo-politica attuale dal punto di vista dei rapporti con il mondo islamico, purtroppo non possiamo ancora consolarci pensando che le Crociate e le guerre di religione appartengano ad una pagina che è stata definitivamente voltata. Come ricorda Gianni Novelli: "non è religioso, ma ha una forte connotazione confessionale, il sanguinoso conflitto nord-irlandese tra cattolici e protestanti. Le guerre balcaniche hanno registrato un aspro antagonismo tra cattolici (croati) ortodossi (serbi) e musulmani (maggioranza bosniaca). Nelle repubbliche baltiche e in molte parti dell'ex-Unione Sovietica la lotta tra cristiani ortodossi e uniati (1egati a Roma) è sempre aperta. In Asia (pensiamo all'Iran o all'Afghanistan) e in Africa (pensiamo al Sudan ma pure al Rwanda) le lotte politiche e pure le stragi assumono connotazioni religiose intrecciandosi con le ragioni etnico-tribali. Sovente queste tristi pagine di storia non sono sottoscritte dalle gerarchie delle diverse parti religiose che non hanno altra responsabilità se non quella del silenzio e della mancata educazione alla pace dei loro fedeli" (2). Si può dire, in generale, che le voci dei pastori che richiamano le vocazioni pacifiche delle religioni restano inascoltate laddove gli interessi della politica e del potere sono preponderanti. Eppure il compito di essere educatori di pace deve essere proprio delle religioni, che devono essere sufficientemente chiare da non farsi strumentalizzare e da essere tenute fuori dai conflitti religiosi (non dimentichiamo che nei messaggi lanciati all'Occidente da Bin Laden si parla ancora di "crociati").

    Serve un impegno convinto all'interno delle comunità religiose, da parte dei pastori e da parte dei laici, perché vivano la loro dimensione religiosa sempre accompagnandola con un messaggio di pace per tutti. In coerenza con quanto recita il Messale Romano nella Messa per la pace e la giustizia: "Dio della pace, non ti può comprendere chi semina la discordia, non ti può accogliere chi ama la violenza: dona a chi edifica la pace di perseverare nel suo proposito, e a chi la ostacola di essere sanato dall'odio che lo tormenta".

    NOTA

        (2) L. Bettazzi, Ecumenismo e pace: le Chiese e la pace, in V. Savoldi (a cura), Mai più guerra. Per una teologia della pace, La Meridiana, Molfetta 1998, pp. 252-253.



          BIBLIOGRAFIA

          Cambi F., Intercultura: fondamenti pedagogici, Carocci, Roma 2001.

          Derrida J. (con A. Dufourmantelle), L'ospitalità, Baldini e Castoldi, 2002,

          Elamè E., Intercultura, ambiente, sviluppo sostenibile, Emi, Bologna 2002,

          Gallie W.B., Filosofie di pace e guerra, Il Mulino, Bologna 1993.

          Gutierrez F-Cruz Prado R., Ecopedagogia e cittadinanza planetaria, Emi, Bologna 2000.

          Lévinas E., Umanesimo dell'altro uomo, IL Nuovo Melangolo, Genova 1998.

          Mance E. A., La rivoluzione delle reti. L'economia solidale per un'altra globalizzazione, Emi, Bologna 2003.

          Salvoldi V. (a cura), Mai più la guerra. Per una teologia della pace, La Meridiana, Molfetta 1998.

          Ucodep (a cura), Pace, Emi, Bologna 2004.

          Ucodep (a cura), Diritti umani, Emi, Bologna 2004.

          Ucodep (a cura), Sviluppo, Emi, Bologna 2004.

          Ucodep (a cura), Intercultura, Emi, Bologna 2004.

          (da Cem Mondialità, maggio 2004)


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