All'origine della riflessione, una domanda posta circa un anno fa dai vescovi d'Algeria: «a quali nuove tappe spirituali e apostoliche siamo chiamati come Chiesa d'Algeria?".
Così interpellati, preti, religiosi e religiose, laici della capitale e di altre zone, studenti subsahariani avevano reagito costituendo un'ottantina di gruppi di lavoro. Prima dell'estate, avevano trasmesso ad un comitato guida il frutto dei loro scambi, certezze e domande comprese. Risultato: un documento di circa 200 pagine. È questo il documento base dell'assemblea interdiocesana che si è svolta dal 22 al 25 settembre e che ha riunito nella sede diocesana di Algeri 120 delegati delle quattro diocesi sunnominate.
Varie le tappe che hanno scandito questo incontro. Prima il riconoscimento della "paura di entrare in una nuova dinamica con la rottura che tale novità può comportare", delle incertezze che pesano sul futuro, della varietà delle ragioni e delle sensibilità spirituali o apostoliche, e soprattutto la presa di coscienza del "nuovo avvenire" che si disegna con la fine degli anni neri della crisi algerina e l'arrivo di nuovi cristiani (studenti africani in particolare).
Seconda tappa: le radici e il presente dell'Algeria. I delegati hanno riletto la storia dei cristiani in Algeria, dai primi martiri numidi fino al sacrificio dei 19 religiosi e religiose uccisi fra il 1994 e il 1996, passando per la nascita delle famiglie apostoliche dei Padri Bianchi, delle Suore Bianche nel 1868 e 1869, dei Piccoli Fratelli e Piccole Sorelle di Gesù (nel 1933 e 1939) e di tutta la famiglia di Foucauld.
Con l'aiuto di universitari algerini, i partecipanti si sono poi dedicati all'analisi delle evoluzioni attuali della società algerina, con un occhio particolare, sul piano ecclesiale, a due fenomeni nuovi; la presenza di immigrati dall'A-frica subsahariana che attraversano l'Algeria alla ricerca di un passaggio verso l'Europa; e lo sviluppo velocissimo di nuove comunità ecclesiali non cattoliche - principalmente evangeliche - in alcune regioni, soprattutto in Kabilia. In questo contesto - conseguenza, secondo i delegati, anche della globalizzazione - qual è la missione della Chiesa in Algeria? Quale il senso della sua presenza? A metà percorso, l'assemblea interdiocesana era tutta presa da queste domande.
Resa debole numericamente e spiritualmente da una serie di fatti che l'hanno messa alla prova - la partenza di un milione di europei quasi tutti cristiani nel 1962, la partenza, a cominciare dal 1994, del piccolo gruppo che si era formato dopo l'indipendenza, l'assassinio dei 19 religiosi - la Chiesa d'Algeria non ha mai cessato in realtà di approfondire la sua missione. Costretta a diventare semplicemente "segno e serva del dono di Dio per ogni popolo", "accoglienza del dono di Dio fatto all'altro", come ripete mons. Teissier (vescovo di Algeri, ndt), essa non pretende altro che "servire la tenerezza di Dio".
Percepita "segno di contraddizione", talvolta come "minaccia", essa può allora anche essere "promessa e segno di speranza" per i musulmani. I delegati presenti l'hanno ribadito: non c'è altro modo per loro di vivere la vocazione e la missione che l'incontro. E per potersi donare gli uni agli altri "il sacramento dell'incontro", nessun'altra scelta è possibile che quella di diventare "persone sacramento", come il Vangelo ci ha rivelato riportando gli incontri di Gesù durante il suo ministero in Galilea.
Resta il fatto, e tutti ne sono coscienti, che una nuova tappa va affrontata. Che un "testimone" deve essere passato a uomini e donne che non avranno ovviamente vissuto la stessa storia - in particolare quella della decolonizzazione - e che, venendo da orizzonti differenti e senza dubbio più recenti, potranno aprire porte fin qui rimaste chiuse. Nel loro messaggio i vescovi insistevano su questa nuova chance che viene offerta. «La molteplicità delle nostre origini - scrivevano - dovrà permetterci di mostrare in verità che il cristianesimo non è riservato ai soli
europei...".
(da Adista 16 ottobre 2004)