Ecumene

Lunedì, 18 Maggio 2015 17:39

Riconciliazione: la croce e la gioia. La riflessione ortodossa (Vladimir Zelinskij)

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La riconciliazione proviene non da qualche buona volontà laica, ma dalla Scrittura stessa dall'interno della nostra fede. Le Chiese si interrogano sul senso della riconciliazione fra di loro...

La riconciliazione è una parola chiave della vita religiosa in Occidente, che in un certo senso ha sostituito il vecchio ecumenismo, il termine già svuotato e nello stesso tempo appesantito dalle promesse non mantenute. La riconciliazione proviene non da qualche buona volontà laica, ma dalla Scrittura stessa dall'interno della nostra fede. Le Chiese si interrogano sul senso della riconciliazione fra di loro, ma le persone singole si interrogano anche : dov'è il fondamento per la mia pace con Dio e con il prossimo?

Certamente questa domanda ha ormai un aspetto elementare all’inizio del XXI secolo. Ma «questo secolo» nel senso biblico (Rom 12,2) ha appena sfiorato il solido albero ortodosso che ha radici lunghissime nella tradizione vissuta. Ma prima di tutto vorrei cominciare con la mia esperienza personale; ateo, poi agnostico, ho trovato la fede in età già matura, ciò che non aveva niente di straordinario per la mia generazione in Russia.  Ma la fede al momento del primo incontro porta già la coscienza della necessità dell'unità dei cristiani davanti allo stesso Dio, allo stesso Verbo che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. L'unità in Cristo era già parte della Buona Notizia, ma la separazione con gli altri fu il fatto empirico della conversione nell'ortodossia. Poiché trovare la fede vuol dire entrare nella sua abitazione, che è dentro di me, nel mistero del Verbo che parla ad ogni uomo, che illumina ogni uomo, ma anche fuori di me, nella Chiesa del mio battesimo, nella sua presenza visibile, nella sua propria storia. L'esperienza della scoperta della fede cristiana a volte porta in sè il germe o l'impegno dell'unità primordiale: scopriamo tutti lo stesso Verbo che "era in principio", che fu mandato dal Padre nello stesso Spirito Santo. E questo contatto con "il principio" può entrare in contraddizione con la diversità delle sue abitazioni umane e religiose. Le parole sulla Parola sono spesso divise, e ancora ieri si trovavano in stato di guerra fra loro, la guerra fredda, ma a volte anche calda. E oggi, come sempre, rivela la nuova luce quel testo di San Paolo dove egli proclama la "riconciliazione" come la radice o il cuore della fede stessa, del nostro essere cristiano. Mi permetto di leggerlo ancora una volta :

«...Se uno è in Cristo, è una creatura nuova, le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove.
Tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo tratta da peccatore in nostro favore, perché‚ noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5, 17-21).

In questa profezia dalla densità eccezionale, com'è spesso in San Paolo, si apre con profondità improvvisa tutto il mistero della redenzione e della salvezza in Cristo che «è morto per tutti» (2Cor 5,14). Nell'espressione "per tutti", cioè, non soltanto per i buoni e fedeli, ma anche per i cattivi ed increduli, si trova la radice dell'unità ontologica del genere umano nel suo Salvatore. Questa morte porta in sé tutto il dramma dell'amore e dell'iniziativa di Dio, che ci salva nella liberazione "mediante Cristo"; perciò il mistero della salvezza umana si chiarisce nella riconciliazione per la Croce. «Se infatti quand'eravamo nemici siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio Suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita» (Rom 5,10). Un manoscritto antico parla perfino del Vangelo della riconciliazione, perché il dono della pace arriva come testimonianza della presenza o della vita di Dio in noi e fra noi, nello stesso "ministero della riconciliazione" affidato in Cristo.

La parola "riconciliazione" ci ricorda che la pace con Dio, la pace alla quale siamo chiamati, non è un fatto empirico, non è un nostro possesso, non una cosa sottintesa, ma un scopo da raggiungere, un cammino da percorrere, un sforzo da fare. Questo cammino inizia sempre dentro l'uomo, nel suo cuore, dov'è nascosto il suo tesoro (Lc 12, 34), dove Dio fa la sua battaglia con il diavolo, secondo le parole dei Padri e di Dostoevskij. Mi permetto di ricordarvi l'espressione più teologica della stessa realtà: il peccato ha messo la discordia fra l'uomo e Dio, fra l'uomo e l'uomo, e l'interno dell'uomo stesso. L'ortodossia ha preso con massima serietà questa sentenza di Karl Barth, anche senza conoscerlo, perché qui si esprime nella forma più concentrata l'antico pensiero patristico. La discordia, la divisione, la contraddizione come frutti della zizzania, che cresce insieme col frumento nell'anima dell'uomo e nella sua storia.  Tuttavia questo "stato d'animo" non è un fatto da denunciare, ma la condizione miserabile da superare con la grazia della liberazione. E proprio qui inizia il cammino dell'ortodossia: l'uomo deve vincere in sé il "mistero dell'iniquità" (2Tes 2,7) immergendosi nella preghiera e nella lotta invisibile all'interno del mistero di Dio e della Sua giustizia. «Tu ci hai creati per Te», ricordiamo sant'Agostino «e il nostro cuore è inquieto, cioè, si trova in lotta permanente, fino a quando non trova pace in Te». Ognuno è chiamato a pagare il suo prezzo per la riconciliazione, ma non per essere degno del prezzo già pagato dal Redentore ma per trovare la pace, per creare la pace nel proprio cuore. «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27) dice Gesù e la stessa pace deve distruggere la forza del peccato che ci soggioga e ci divide.

L'ortodossia si chiama “ortodossia” perché essa ha salvaguardato il vecchio senso delle “parole della vita eterna”. La pace è già data a noi, ma noi dobbiamo acquistarla. La salvezza è totalmente gratuita, ma «dai giorni di Giovanni Battista fino ad ora, il regno dei Cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono» (Mt 11,12). Tutta la difficoltà del cristianesimo è qui, l'ortodossia cerca di rimanere fedele a questo paradosso, alla sua tensione, alla sua gioia, ma anche alla sua violenza di combattimento invisibile. Ma lo stesso paradosso esiste anche nella cella non soltanto del cuore umano chiuso in sé, il paradosso deve essere vissuto anche nella relazione fra l'uomo e l'uomo, fra una confessione e l'altra, cioè esso è perfettamente applicabile al movimento o all'impegno dell'unità…
Questo impegno può essere espresso così: come riconciliare la pace dentro me stesso, la pace della mia verità o della verità della mia Chiesa, con la pace della verità di un altro?  Qui incomincia il problema del cosiddetto "ortodosso ecumenico" che porta già una contraddizione in sé: egli appartiene alla Chiesa che si proclama sempre una ed unico Corpo di Cristo, fedele all'eredità degli Apostoli, all'insegnamento dei Padri che non può essere cambiato,  ma la sua anima non è così cieca da non vedere i doni mandati agli altri e da non cercare la grazia della riconciliazione con gli altri. Dunque dobbiamo liberarci un giorno dalla logica di questa contraddizione, dobbiamo interrogarci come Chiese sul prezzo e sullo scopo della nostra riconciliazione in Cristo e nella Sua "presenza ecclesiale". Dal punto di vista della Chiesa ortodossa provo ad esprimere le mie riserve e anche le mie speranze.
Forse, la debolezza del movimento ecumenico odierno consiste nell'oblio del senso iniziale di queste parole e nella perdita dell'inevitabile violenza del Regno. Nel passato le Chiese avevano la tendenza a sostituire la violenza dei Cieli con la violenza della giustizia fatta sulla terra, con quella del re della nazione, dell'ideologia. Oggi, invece, le parole fondamentali della nostra fede sono diventate troppo facili.  Sembra che tutti - almeno nelle buone intenzioni - siano già  riconciliati con tutti e a volte si presentano inutili tanti incontri, dove andiamo sempre senza alcuna ostilità verso gli altri, anzi, con la simpatia e l'amicizia a priori. Posso presumere - esagerando un po' - che la civiltà occidentale, non quella di ieri, ma quella che noi conosciamo oggi, è fondata sulla cultura della riconciliazione forzata, quasi obbligatoria, che è basata a sua volta da una parte sull'applicazione del principio biblico: non fare ad un altro le cose che tu non desideri per te stesso, ma dall'altra parte anche sull'egoismo, sul compromesso, sulla comodità, sull'indifferenza circa l'ultima verità. Questa confusione è quasi inseparabile dai valori del mercato, che sembrano così naturali che a volte sono quasi intrecciati con la nostra vita religiosa. È veramente difficile dividere in sé l'uomo politico, l'uomo artistico, l'uomo tout court dall'uomo credente. La tradizione ortodossa però insiste - molto di più che la tradizione cattolica o protestante - sulla separazione fra «uno che è in Cristo, che è una creatura nuova» e «le cose vecchie» che «sono passate» (2Cor  5, 17).

Il problema si pone così: quale parte del nostro essere partecipa all'atto di riconciliazione, quella vecchia o quella nuova? Perché siamo chiamati alla riconciliazione "mediante Cristo", se in un certo senso siamo già in tregua; nel senso gentile, umano, politico, democratico siamo più o meno in armistizio quasi con tutti? Ma se cerchiamo di essere sinceri, dobbiamo confessare francamente che questa tregua nella battaglia per la verità perde il suo valore quando l'ultima verità, svalutata, questo armistizio fa parte della nostra civiltà, laica e  pluralista, basata sul diritto di ciascuno di avere il proprio pezzo della verità che non mi tocca e non mi riguarda. Si tratta piuttosto di un nuovo contratto sociale, molto comodo, fra un uomo vecchio e l'altro, di un compromesso per avere  vita tranquilla per entrambi. È questa la pace completamente gratuita del relativismo assoluto che Cristo ci ha dato?

Vorrei riformulare la mia domanda in modo abbastanza intransigente: siamo veramente chiamati alla riconciliazione che costa così poco? Posso anche spiegare i motivi di questa domanda: la nostra cultura religiosa che ha fatto questo passo verso il pacifismo universale, non ancora passata in sostanza dall'intolleranza alla riconciliazione "mediante il Cristo". L'intolleranza non è sempre un rogo per gli eretici, ma anche un fuoco della nostra anima dove tutti gli "altri" sono già bruciati. Bruciati spesso dall'indifferenza. Mi ritorna in mente un brano dal libro di Olivier Clément, Dialoghi con il patriarca Atenagora, dove il patriarca di Costantinopoli, uno dei santi non canonizzati della riconciliazione, si ricordava dell'epoca della sua gioventù:
 «Quando incontravo nello stesso compartimento un prete o un vescovo cattolico, lui si comportava come se io non ci fossi... Come tutto è cambiato da allora!».

Quindi abbiamo veramente compiuto il ministero della riconciliazione, siamo più vicini a Cristo rispetto a ieri? E davvero "come tutto è cambiato da allora"? Almeno in un aspetto si : oggi i preti cattolici ci guardano con un bel sorriso e gli occhi teneri, invece noi ortodossi li guardiamo - finché loro non entrano nel nostro territorio "canonico" nel senso più vasto - come se loro non ci fossero. Ma dove possiamo incontrarli se non siamo ancora usciti da casa nostra? I veri mezzi di comunicazione, dobbiamo dire la verità, non esistono tuttora fra le nostre chiese. Tuttavia davvero gli ecumenisti ortodossi stessi, che lo fanno come servizio, non sentono vagamente, nelle profondità della loro anima, la loro colpa davanti alla loro Chiesa, e coloro che lo fanno per vocazione, per necessità interiore, non hanno un complesso da figliol prodigo?

Ma proprio al momento del dubbio e dell'interrogazione che lo Spirito della pace ci dà la risposta. Nella fatica della riconciliazione con Dio, nella sua pace possiamo scoprire il Cristo di un altro che non conosciamo. Prima di parlare dell'ecumenismo dobbiamo, forse, cercare la riconciliazione col Cristo di un'altra confessione, di un altro cammino. Come possiamo negarLo, se la Sua "luce vera" illumina ogni uomo, se il logos spermaticos dei Padri è messo di tutta la famiglia umana? Siamo chiamati ad uscire dal nostro paese come Abramo ed andare in un altro paese, dove Dio ci porterà. La verità non può essere chiusa in sé, ma come Spirito essa soffia dove vuole (Gv 3,8). Siamo chiamati a cercare la riconciliazione nel Regno e dal Regno andare alle altre culture tramite la croce della rinuncia alla propria identità umana per acquistare l'identità o il mistero del Cristo negli altri.

E così sta diventando chiaro il vero senso della riconciliazione fra i cristiani. Vorrei proporre i tre livelli della ricerca di questo senso. Il primo livello è puramente pratico : impedire di usare la verità della mia fede come arma contro un altro, come ideologia che si oppone a un'altra ideologia. Il secondo livello è etico: dividere la verità della mia fede dalla mia identità umana, cioè rinunciare al senso del possesso nei confronti del mistero. Il terzo livello è mistico nel senso paolino: condividere la verità di un altro nella misura in cui essa rimanga la mia verità, immergersi nella fede di un altro, senza rinunciare alla propria fede, come Cristo si è immerso fra gli uomini per condividere le loro condizioni. Ad ogni livello la riconciliazione è l'applicazione di questo principio evangelico : "Chi avrà trovato la sua vita, la perderà, e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà" (Mt 10,39). (Nella traduzione russa si tratta non della vita, ma dell'anima). Non questa riconciliazione a buon mercato che ci costa pochissimo, ma la riconciliazione come croce e come riconoscimento di un altro. La riconciliazione nel sacrificio della mia pace senza gli altri e nel sacrificio per gli altri che sono anche attaccati alle loro verità, alle loro tradizioni, al loro modo di pensare, alla loro sicurezza nella verità. Siamo chiamati alla riconciliazione, non al semplice sorriso o al dare la mano per eseguire il nostro dovere, ma alla visione e confessione della nostra propria verità, scoperta e confessata nella verità di un altro.

Forse, per la Chiesa ortodossa questo cammino è più difficile, per i motivi più vari. L'ortodossia non è una denominazione del fiore pomposo che cresce sul lato orientale della grande aiuola cristiana, non è un pezzo d'oro vecchio nel museo dell'antichità, aperto per le gite turistiche. Il mondo aspetta che questo fiore odori da orientale ed esotico, ma ragioni da occidentale e democratico. Come ortodosso in Occidente incontro sempre questo atteggiamento così benevolente e simpatico ma che esclude il vero dialogo nella fede. Che bel canto! che icona meravigliosa! che spiritualità interessante! Ma nello spazio di questa benevolenza si sente proprio una frontiera insuperabile e che tutti rimangano nelle loro celle confessionali, perciò con il nostro interesse di passaggio noi torniamo alle nostre vecchie case dove non c'è vero posto per un altro. Ma l'ortodossia - il suo nome stesso lo dice - vuol essere la glorificazione vera e giusta, è la fedeltà alla verità apostolica, alla verità che non si cambia, non si piega alle esigenze del mondo e del secolo. Perciò anche la sua intransigenza, anche il suo rifiuto di compromessi nelle materie dogmatiche non deve essere visto come qualche handicap del tradizionalismo smisurato, ma deve trovare il suo vero posto nella prospettiva della riconciliazione. In questa prospettiva non ci sarà più la geografia delle confessioni, invecchiata con i turbamenti della nostra storia. L'ortodossia non è più orientale, come il cattolicesimo e il protestantesimo non appartengono più al vecchio mondo occidentale; il nostro dialogo della pace deve cominciare non con un divertente viaggio all'estero, ma trovare il suo spazio nel nostro proprio mondo. La prima tappa della riconciliazione, forse, è già superata al livello orizzontale, adesso matura un'altra epoca della riconciliazione in Cristo, con Cristo e per Cristo, come dice il canone della Messa. In altre parole, la riconciliazione non è un commercio dei sorrisi, ma un mistero dell'opera salvifica del Cristo che ci ha lasciato la sua pace come il Suo Spirito.

Cosa vogliamo dire con queste parole? Per l'ortodossia la chiamata alla riconciliazione significa lo sforzo spirituale di uscire dalla vecchia casa del passato dorato per incontrare gli altri - per mezzo della rinuncia al trionfalismo nascosto della coscienza di essere unico custode della verità, proprietario della ricchezza incomparabile. Ma "beati i poveri nello spirito..." dice a noi Gesù. Nello stesso tempo, però, la riconciliazione per l'ortodossia è anche il ritorno a se stessa, alle proprie radici evangeliche, ai suoi intenzioni cattolici. La riconciliazione non significa la rinuncia alla verità dell'unica salvezza in Cristo, non proclama l'indifferenza come ultima parola di Dio, ma insiste sull'incontro nella verità… stessa e nella pace con Dio.

La coscienza o la fede ortodossa deve rimanere fedele alla verità antica, verità patristica ed apostolica, ma anche alla verità escatologica, quella della riconciliazione sulla nuova terra e sotto il nuovo cielo. Il suo ministero è di testimoniare «in ogni occasione opportuna e non opportuna» (2Tim 4, 2) del vero prezzo pagato per la pace con Dio. Il ruolo dell'ortodossia è quello di ricordare sempre che l'autentica riconciliazione con gli uomini e le loro confessioni deve essere preceduta dalla pace con Dio - la fonte della salvezza che è fonte della pace e della nostra salvezza.  Torniamo alla parola della Scrittura sulla riconciliazione con tutta la sua forza, con tutta l'intransigenza. Prima di tutto "lasciatevi riconciliare con Dio", come ci ricorda San Paolo, che vuol dire: lasciate crescere Dio in libertà in voi stessi, lasciatevi riempire da Dio, diventate teofori, portatori di Dio nei vostri cuori. E nell'atto di questa prima riconciliazione, lasciatevi riconciliare con i cuori degli altri, con le verità degli altri - anche tramite la croce che dobbiamo prendere, ma anche con la gioia che possiamo condividere. La croce della rinuncia alla propria identità… vecchia, ad alcune ricchezze accumulate nel passato, ma anche la gioia di scoprire lo "straniero" in Cristo nella comune patria del Vangelo.

Vladimir Zelinskij

 

Letto 3101 volte Ultima modifica il Lunedì, 18 Maggio 2015 18:01
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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