Il tema della nostra riflessione è la custodia del creato. Vale a dire: un ennesimo tentativo di dichiarare le nostre intenzioni per fermare la valanga delle minacce alla natura che crescono ogni anno. La parola “custodia” presuppone che noi, esseri umani, abbiamo un compito di dominio sull'enorme gregge di innumerevoli creature, affidate dal Creatore alle mani umane, alla nostra anima, alla nostra bontà ed intelligenza. All’inizio, ancora prima della caduta, abbiamo ricevuto da Dio l’incarico di custodi, ma poi l’abbiamo capovolto per diventare lupi che rubano e mangiano le pecore – le quali, infatti, non ci appartengono. Ma cosa possiamo fare noi, teologi o semplicemente credenti, che cercano di riflettere sul nostro dovere nei confronti del mondo in pericolo? Credo che per ben costruire il rapporto giusto con il creato, sarebbe più saggio cominciare con il risvegliare in noi stessi la coscienza o, meglio, la dignità dei pastori e non l’appetito insaziabile delle belve. La custodia del creato deve partire, a mio avviso, non con i nobili appelli rivolti ai sordi, ma con il ritorno alla consapevolezza che il creato nel suo insieme siamo anche noi, anzi, che siamo la sua parte più importante, quella che nasconde in sé l’immagine del Creatore stesso.
Abbiamo il nostro posto nel cosmo, nel progetto del Signore, come anche le altre creature: gli alberi, le farfalle, i pesci, le pietre, i fiumi, le formiche, le montagne, le stelle... e come loro portiamo dentro di noi le impronte del Suo pensiero, il segreto della Sua presenza, il linguaggio del Suo amore. San Massimo il Confessore affermava che qualsiasi creatura possiede il suo logos e questo vuol dire che ogni essere uscito dalle mani di Dio nasconde in sé un tocco, una traccia di Colui che l’ha creato. Viviamo nel mondo dei logoi, nel concerto delle parole di Dio, incarnate nelle cose visibili ed invisibili, ma il nostro udito è coperto dal rumore dei nostri pensieri, dalle funzioni, dai calcoli, dagli schemi, dai progetti, dai contatti con il mondo virtuale. Questo rumore lenisce la voce delle opere di Dio, il richiamo delle vittime del nostro dominio che non di rado chiedono a noi – a volte con il grido e la supplica – il nostro aiuto. Per custodire il creato ci vuole prima di tutto il sentirlo, l'entrare in comunicazione e in comunione con gli esseri di Dio, gioire e soffrire con loro.
Mi permetto una piccola digressione personale.
Ogni volta, quando la televisione ci porta le immagini dell’incendio dei boschi, sono preso da una sorta di compassione acuta per questa stupenda creatura che geme e soffre fino ad oggi (Rom. 8, 22), proprio davanti ai nostri occhi. Sembra un essere vivente, che con il fracasso dei suoi rami e dei corpi ritorti che resistono fino all’ultimo, lancia il suo appello disperato a noi, che di solito siamo quelli che hanno orecchi per udire e non odono (Ez. 12, 2). La crisi ecologica, però, è già arrivata al punto che non solo gli alberi, ma anche noi cominciamo a gridare "aiuto" – seppure senza sentire la voce di coloro che vivono e muoiono in silenzio. Qualsiasi creatura ha il proprio modo d’essere presente nel mondo ed un proprio linguaggio, silenzioso, ma comprensibile, ed ogni formicaio, lago, nuvola, filo d’erba, delfino o pietra sa a modo suo comunicare con noi. Ogni essere cerca di annunziarci o segnalarci con il suo disegno, l’odore, l’agire; il suo esprimersi non è sempre soave e bello, a volte anche minaccioso, ma noi comunque dobbiamo capirlo e rispondere a tutti in modo umano. In questi segnali, il ricordo della creazione dell’Eden (quella senza peccato – peccato commesso da noi esseri umani e che continuiamo a commettere) non è cacciato completamente. Non si tratta, però, di una sentimentale pietà. Quando li lasciamo morire, cancelliamo anche un pezzo della nostra memoria. Il mondo senza la "selva oscura" di Dante, senza la voce taciturna della montagna (mi ricordo un bellissimo romanzo del scrittore giapponese Kawabata) o senza il suono dell’acqua "selvaggia" è il mondo dell’oblio. Ci muoviamo verso un'abitazione cosmica, dove la maggior parte delle cose sono invenzioni e produzioni umane. Così ci troviamo in uno spazio chiuso in cui l’uomo parla solo con se stesso.
Tutta la creazione ha una dimensione dimenticata: quella del dialogo fra la Parola e l’Essere. Dio disse: “Sia la luce!" E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte (Gen. 1,3). La luce fu perché Dio pronunciò questa parola all’inizio, consegnò il nome a ciò che desiderava chiamare a vivere. Ogni creatura è ormai legata al nome proclamato, al logos messo dentro di essa, al suono che ha rotto il silenzio del nulla, al segno riempito dal senso. Ogni nome è come un vincolo tra la Parola detta e l’esistenza chiamata all’essere. Dio non ha voluto parlare solo con Sé; dopo aver fatto l’uomo a Sua immagine, Egli gli assegna l’incarico di dare un nome a tutte le cose da Lui create. Questo fu un gesto di scambio e di fiducia – portare la parola del Padre ai Suoi figli minori, consegnare il Suo messaggio con il lavoro dell’uomo. Così l’uomo impose i nomi a tutto il bestiame… (Gen. 2, 20) e così è nato il nostro mondo in paradiso - come dialogo e commutazione dei nomi: uno è quello che dà l’uomo e l’altro è nascosto, suggerito dalla Parola, per mezzo della quale tutto è stato fatto e dato in custodia alle creature. Ogni nome umano – prima della caduta – corrispondeva al logos del Signore, al destino d’ogni cosa, al suo telos, come dicevano i greci. Quel dialogo tra l’uomo e il Creatore va avanti anche nei nostri giorni, in condizioni sempre nuove. Ma oggi il nostro discorso tecnico, ideologico e strumentale, fa tacere sempre più la parte del Creatore. La famosa tentazione: Sarete come Dio, diventa più forte ora che nel giorno in cui il peccato originale entrò nel cuore e nel cervello umano. L’uomo sta creando un suo universo a dimensione unica, la sua, impone solo più il suo testo facendo sparire ogni traccia della Parola.
Tutto ciò che fu creato dal nulla è venuto nel mondo con un suo modo di parlare, con un suo messaggio (o gemito) rivolto all’uomo, ma egli cerca di superare questa voce, sostituendola con la sua. Tale desiderio è quasi spontaneo e poco riflettuto. La minaccia più rovinosa al creato si trova non soltanto nel degrado ambientale, ma prima di tutto nel tentativo, nascosto nel subconscio collettivo dell’umanità, di sostituire ciò che è stato creato da Dio con tutto ciò che produce l’uomo. L’intelletto artificiale, il genoma decifrato oggi e "riscritto" domani, la distruzione dell’ambiente naturale, la crescita dell’universo informatico che conta tra i suoi sudditi la maggior parte degli inquilini del pianeta, l’industria del divertimento (in cui l’uomo stesso sparisce), la moltiplicazione degli esseri umani nati dalle provette – tema che è all’ordine del giorno insieme con l’aborto e con gli “uteri in affitto”. Tutte queste sono soltanto alcune illustrazioni di ciò che è sulla bocca di tutti – come sacrosante espressioni della "scelta libera", la scelta che fa onore della civiltà occidentale.
Illustrazione di che cosa? Del nostro progetto inconscio di interrompere quel dialogo, cominciato una volta in paradiso e che, anche se soppresso, va avanti anche nei nostri giorni. Plasmato ad imago Dei, col mistero di quell'immagine dentro di sé, l’uomo può ribellarsi contro se stesso e imporre su tutto ciò che lo circonda con la sua imago hominis, il suo proprio mondo senza Dio. Quest’operazione planetaria della - osiamo dire - “umanizzazione” forzata e violenta del creato che è in corso, è gravida del pericolo arrecato alla dignità ontologica dell’essere umano. Infatti, tutto ciò che è degno dell’uomo è dia-logico di fronte alla Parola pronunciata "in principio" della sua esistenza dall’alito di vita, soffiato dallo Spirito.
Mi ricordo del monito lanciato più di quaranta anni fa dal grande filosofo Martin Heidegger: l’uomo può diventare la vittima o la preda delle proprie fabbricazioni. Custodire il creato oggi significa salvaguardare noi stessi da noi stessi; non soltanto proteggere, ma anche tornare a quel mistero dentro di noi, che ci fa uomini, creature predilette di Dio. La minaccia più velenosa è nascosta nel desiderio dell’Adamo caduto che vive in noi, nel progetto di ri-costruire o di ri-creare il mondo, di farlo diventare un mezzo che serva solo alla nostra agiatezza, al possesso di tutto ciò che il nostro occhio può divorare ed il nostro pensiero può abbracciare. Se oggi cominciamo a produrre dei piccoli robotini che fanno i lavori domestici – ciò ch’è, senza dubbio, comodissimo – domani, sulla via della stessa logica di fare un mondo a nostro agio, potremo produrre anche gli esseri umani: “semi-viventi”, servi, schiavi, mariti, mogli, bambini e, naturalmente, sostituibili. Chi può garantire che questi esseri, inventati, fabbricati, sistemati da noi, in un futuro, lontano o meno, non potranno diventare i nostri padroni, senza che noi ci accorgiamo di ciò? Custodire il creato significa anche sapersi fermare, rinunciare ai progetti che vanno oltre le frontiere del voluto, approvato, benedetto dal Creatore. Custodire, conservare vuol dire ri-trovare il Creatore stesso e il Suo legame con le Sue opere.
Da agostiniano che non crede molto nelle virtù naturali o, piuttosto, da ortodosso, non confido tanto nella bontà ed intelligenza dell’umanità d’oggi, e ancora meno nel buon senso che agisce nelle istituzioni politiche che possono trattenere la folle volontà umana di possedere il mondo, quella che si nasconde sotto la più piatta e formale razionalità. Il senso della caduta è proprio lì, nella promessa del serpente: sarete come Dio, con questa combinazione di conoscenza senza fine e di potere senza limite. Una cosa davvero strana, ma così reale: abbiamo dovuto vivere fino al XX-XXI secolo per avere la conferma inaspettata delle parole del tentatore, dette prima ancora che la storia umana fosse iniziata. Solo un esempio: mi ricordo benissimo come nel mio paese il marxismo ha prestato la sua sobria e trasparente analisi economica e "filosofia della storia" per la pura ed interminabile paranoia ideologica che ha posseduto decine di milioni di persone. Le migliori ideologie possono servire da copertura per le follie umane caricate dall’illusione del futuro e dal desiderio del potere. In qualsiasi sapere umano, nell’ambito filosofico, fisico, biologico, economico, sociale, dentro il suo nucleo spirituale, può nascondersi il vecchio serpente biblico e solo noi cristiani, che conosciamo le furbizie del male, siamo in grado di riconoscerlo e in qualche modo di disinnescarlo. Non è possibile, a mio avviso, proteggere il creato, senza capire che cos’è il creato stesso. In altre parole, senza una chiara coscienza religiosa. Le dichiarazioni dei parlamenti europei – anche quando tentano di contenere il libero arbitrio dell’uomo (contro la sua clonazione, fra l’altro) – sono come dighe di sabbia destinate ad arginare l’inondazione.
Sì, il Signore ha dato questo comandamento ad Adamo: possedere, governare, dominare l’universo che Lui ha tratto dal nulla. Così pure lo anche invitato a chiamare tutto ciò che è uscito dalle Sue mani. In altre parole, ad unire le piante e gli animali con i nomi, con i concetti e i suoni della lingua umana. Con questo comandamento il Signore ha invitato al concerto delle sue parole, della musica della creazione. L’uomo, però, si è negato all’invito e la cosiddetta caduta si trova proprio nel nostro desiderio di fare tutto da soli, rifare tutto da capo ed al Suo posto. L’albero della conoscenza, oltre ai suoi benefici, contiene anche un dolce veleno: i vostri occhi si apriranno, voi, uomini, diventerete come Dio, abbracciando con le Sue conoscenze tutto ciò che Egli ha creato. Si può prendere questo racconto come un mito, ma nei nostri giorni il mito si è fatto più attuale che mai; con la crescita incredibile delle nostre possibilità di conoscere (e con la prospettiva di una crescita ancora inimmaginabile) diventiamo davvero signori, come Lui: con la tecnica che uccide possiamo eliminare la vita sul pianeta, con le invenzioni che sono in corso potremo domani cambiare anche la vita stessa. Custodire il creato non significa semplicemente togliere la spazzatura di qualsiasi tipo dal mare, dalla terra e dall’aria, ma pulire la propria anima, per cominciare a capire se stessi e la propria posizione nel cosmo. Questa posizione oggi è quella del conquistatore, del mangiatore dei frutti della terra, del possessore del creato e del rivale del Creatore. Un possessore che – suo malgrado – può diventare il boia di se stesso.
Se il tuo occhio è pulito, anche il tuo corpo sarà pulito, dice Gesù. Guardiamo un po’: il nostro corpo è diventato enorme. Anzi, gigantesco, smisurato: lo spazio che l’uomo occupa nel cosmo cresce ogni giorno e comincia a cacciare via il creato stesso. Custodirlo significa anche prendere coscienza del nostro posto in mezzo all’opera di Dio e della violazione del suo comandamento dato prima della caduta: possedete la terra.
Credo, però, e confesso che Cristo sia venuto nel mondo per nascere in ogni uomo ed in ogni generazione e che la Sua presenza nel nostro essere può cambiare tutto. Ed allora le crisi di oggi possono diventare "le doglie" del Suo parto. Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi – esclama San Paolo. (Gal. 4, 19). Il gemito della creatura ha la sua ripercussione nell’uomo e la salvezza e la rovina della creazione passano oggi attraverso il travaglio del parto del Salvatore. Lui è venuto per salvare il mondo, non solo esteriore, ma anche dentro a ciascuno di noi. Quando la Parola nasce e comincia a parlare nei nostri cuori, l’orecchio umano si apre, l’occhio si pulisce per sentire il cuore del nostro prossimo – anche nel lamento dell’albero, nella confessione del fiume, nella rivelazione della montagna, nel silenzio della terra, nella crescita dell’erba. La creazione si salva quando Cristo, anche se sconosciuto, si forma di nuovo in tutta la famiglia umana e noi torniamo attori in quel dialogo quasi interrotto a cui Dio non ha mai smesso di partecipare.
Vladimir Zelinskij