Nella sua Ultima Cena pasquale (in slavo-ecclesiastico noi la chiamiamo il convito mistico) Gesù ci ha lasciato il comandamento che è diventato il cuore della vita spirituale e liturgica della Chiesa apostolica. Le Sue parole come segno di contraddizione hanno svelato i pensieri di molti cuori, di molte generazioni. Il mistero eucaristico si è rivelato all’origine della Chiesa stessa, non come istituzione, ma come camino alla salvezza in Cristo. Per l’Ortodossia, l’Eucarestia non è uno dei sacramenti che la Chiesa celebra e distribuisce, non è solo un mezzo della grazia, ma è la comunione alla vita nuova che attua la natura della Chiesa stessa. Vita nuova vuol dire partecipazione all’amore di Cristo, alla Sua morte e risurrezione, come anche alla Sua parola e alla Sua vita. La Chiesa istituzionale è chiamata a servire il passaggio a questa vita, ad essere la sua immagine. La fede eucaristica, la fede che le parole di Cristo si realizzano qui e subito, su questa tavola, durante questa celebrazione, era così evidente che non richiedeva altre spiegazioni. E’ conosciuta la massima di Sant’Ireneo di Lione: «In quanto a noi, il nostro pensiero si accorda con l'Eucaristia e l'Eucaristia in cambio conferma il nostro pensiero» (Contro le eresie). All’inizio il pensiero non era separato dall’azione sacramentale.
Nell’enorme eredità patristica su cui anche oggi s’appoggia la Chiesa orientale non troviamo un trattato sulla Chiesa, neanche la sua definizione precisa e classica. I Padri scrivevano le grandi omelie, riflettevano sulla Scrittura, combattevano contro le eresie dall’interno della realtà ecclesiale – che per loro era una semplice realtà della vita, nutrita dal Corpo e dal Sangue di Cristo. Anche i trattati sull’Eucarestia sono di origine tardiva; per mille anni la Chiesa ha potuto vivere solo con le semplici affermazioni: Questo è il Mio Corpo, Questo è il Mio Sangue, senza invitare la filosofia, sia antica, sia moderna a chiarire quando e in che modo si compia questo cambiamento inconcepibile. Forse, la differenza tra l’Oriente e l’Occidente si trova proprio qui: in questa volontà intellettuale di frazionare in concetti quel mistero da cui nasce e vive la Chiesa.
Tutto ciò, però, non ci costringe al silenzio assoluto. Il mistero di Cristo è in ogni caso la rivelazione che usa le parole e le idee; ma l’Oriente, secondo me, sa dove anche i migliori prodotti del nostro cervello debbano fermarsi e lasciare lo spazio a qualche cosa d'inesprimibile e d'ineffabile.
Fate questo in memoria di Me, dice Gesù offrendo il pane e il vino. Non si tratta di un semplice ricordo, ma dell’avvenimento che fa parte della storia personale di ogni fedele. Cristo si rivolge ad ognuno di noi, ma non come individui solitari, chiusi nel proprio mondo, ma come partecipi e testimoni della Sua pasqua, dell’atto della redenzione. Questa memoria diventa eterna andando da una generazione ad altra. Con la memoria eucaristica entriamo nel mistero del tempo; il passato di Cristo s’unisce al secolo attuale che continua e che compie i propri cicli liturgici: annuali, settimanali e giornalieri. Al centro d’ogni ciclo è celebrata l’Eucarestia, come annuncio della morte e della Risurrezione di Cristo, come festa della Redenzione e della speranza. La Pasqua è il fulcro dell’anno liturgico; la Domenica, il giorno eucaristico, sta al centro del ciclo settimanale; la Divina Liturgia è celebrata come inizio del ciclo giornaliero (preceduta dai vespri, con il mattutino e le altre ore, ecc). Così il tempo di Cristo continua in noi. Ma l’Eucarestia non appartiene a quel tempo creato e decaduto in cui viviamo. L’Eucarestia esce dalla durata misurata con le ore e gli anni ed entra nel tempo del primo e dell’ultimo (l’ottavo) giorno – giorno della creazione della nuova terra e del nuovo cielo, dove il tempo di questo mondo non ci sarà più. Il messaggio dell’Eucarestia è escatologico. È la promessa del rinnovamento della ri-creazione di tutto ciò che esiste, quando Dio, secondo le parole di san Paolo, sarà tutto in tutti. L’Eucarestia è la memoria del passato storico, di un avvenimento che ha avuto luogo su questa terra, sotto questo cielo, in un tempo concreto, con le parole umane e con il semplice cibo e che diventa un avvenimento del secolo futuro. Questo, si può dire, è il paradosso divino-umano dell’Eucarestia che unisce in sé le cose di questo mondo e le rivelazioni del cosmo che verrà. Il passato, che possiamo ricordare e raccontare, sboccia nel futuro che Dio ci ha preparato. L’Eucarestia è l’attualizzazione dell’avvenimento del passato eterno e della parusia nel Regno di Dio nel presente che durerà fino alla fine dei tempi. L'anamnesi nella liturgia è un atto di speranza del ritorno all’inizio e alla fine. Come dice Gesù: io sono l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il Principio e la Fine (Ap. 22, 13). L’Eucarestia mette insieme in un’unica realtà il passato, il futuro e il presente, e la porta nel secolo futuro. Cristo, come dice la Lettera agli Ebrei, è lo stesso ieri e oggi e nei secoli (Ebr. 13,8); ma anche l’Eucaristia in cui Egli – ieri, oggi e sempre – torna con noi.
«L'Eucarestia», cito Olivier Clément, «esige il memoriale (o anamnesis) di tutta la storia della salvezza, compendiata nel suo centro, la croce vivificante, la croce pasquale. Questi avvenimenti, iscritti nella "memoria" di Dio, la Chiesa li rende presenti, attuali, efficaci. In tale "memoriale" vivente, il prete è l'immagine di Cristo, un "altro Cristo", dice san Giovanni Crisostomo, egli è il testimonio dell'incrollabile fedeltà di Cristo alla Sua Chiesa. Per mezzo di lui, che compendia la preghiera del popolo e rappresenta per il popolo il segno di Cristo, questo unico grande-sacerdote, compie l'Eucarestia. E tutto si fa nello Spirito Santo. Nello Spirito Santo la Chiesa è il "mistero" del Risorto, il mondo in via di trasfigurazione». (Alle fonti con i padri).
Un altro principio teologico – lo chiamiamo il mistero dell’Eucarestia e può sembrare troppo azzardato – è quello dell’identità sacramentale del Corpo e del Sangue di Cristo consacrati su tutti gli altari delle Chiese canoniche, con la Cena del Signore. San Giovanni Crisostomo afferma: “Quella refezione in cui è stato istituito il sacramento non è più piena di qualsiasi altra che la segue. Perché Colui che la celebra e dona è lo stesso, come allora”. La nostra Eucarestia è la celebrazione ed il compimento dell’Ultima Cena, perché Cristo la condivide con noi. L’Eucarestia è la sua realizzazione, la sua rivelazione nel mondo attuale, ma non la sua ripetizione. Ogni partecipante alla comunione è un apostolo presente alla Pasqua con Gesù e lo Spirito Santo. Fate questo in memoria di me: la memoria di Dio è l’azione dello Spirito, perché tutta l’eucarestia è fatta dallo Spirito Santo, mentre il "momento" dell'invocazione dello Spirito Santo riempie tutta la liturgia e la Sua presenza è convalidata dalla fede. Tutta la liturgia è già trasmutazione, cambiamento del pane e del vino: la materia, il rito, il simbolo sono riportati alla loro origine di creazione.
San Cirillo di Gerusalemme (IV s.) dice: "Noi supplichiamo Dio di mandare lo Spirito sui doni qui deposti, per fare del pane il Corpo di Cristo, e del vino il Sangue del Cristo, perché lo Spirito Santo santifica e trasforma tutto ciò che tocca".
Dopo l’epiclesi, cioè l’invocazione dello Spirito sui santi doni, nella liturgia bizantina il sacerdote esclama: le cose sante ai santi perché ormai il Corpo di Cristo sarà parte del corpo di coloro che si comunicano ed il Sangue di Cristo entrerà nel loro sangue. Fin dall’inizio la Chiesa cristiana ha insistito sulla piena realtà di questa unione con il Signore che presuppone e proclama anche l’unità dei comunicanti tra loro. La liturgia di san Basilio dice: «Quanto a noi tutti, partecipi dell'unico Pane e Calice, uniscici gli uni agli altri nella comunione dell'unico Spirito santo, e fa' che nessuno di noi abbia parte al santo Corpo e Sangue del tuo Cristo né per giudizio né per condanna, ma per trovare misericordia e grazia insieme con tutti i Santi… e con ogni spirito giusto reso perfetto nella fede».
L’Eucarestia è una festa e una manifestazione dell’unità del popolo radunato in Cristo nello spazio e nel tempo. Siamo uniti nell’azione della memoria di Cristo con i nostri parrocchiani, con i membri della Chiesa, ma anche con tutti coloro che ci hanno preceduti sul cammino della fede, che non sono più su questa terra. La liturgia eucaristica inizia con il rito d’unità che si chiama proscomidia o protesi. Il sacerdote che la celebra da solo offre a Dio un pane speciale che si chiama Agnello simbolicamente macellato con le parole del 53 capitolo d’Isaia come pecora muta davanti ai suoi tosatori non aprì la bocca con violenza e condanna fu strappata via; chi riflette al suo destino? Un altro pezzo di pane dalla parte destra dell’Agnello è offerto alla memoria della Madre di Dio, dalla parte sinistra sono messe le particeli di pane dedicate ai novi dignità (o ranghi) dei santi, cominciando da Giovanni Battista, poi vanno i profeti, apostoli, santi vescovi e dottori della Chiesa (come San Basilio, San Gregorio di Nissa, ecc.), i martiri, i “prepodobnye”, i santi della preghiera, i anargiri e taumaturghi, i santi uguali agli apostoli come Metodio e Cirillo, San Vladimir (nella Chiesa Russa) e gli altri e alla fine è commemorato colui che ha dato il suo nome alla liturgia, il più spesso, san Giovanni Crisostomo. Dopo di loro sono sempre commemorati il patriarca, il vescovo della diocesi, i concelebranti e poi tutti quelli che hanno chiesto la commemorazione con i foglietti speciali con i nomi scritti dei loro parenti, amici ecc. vivi e morti. Per ognuno di loro si toglie una particela di prosfora che va in calice e sarà consacrata durante la liturgia insieme al pane-Cristo e il pane-Maria, al pane-Giovanni Battista e al pane-Giovanni Crisostomo. Tutti loro, personalmente rappresentati dai nomi fanno parte del Corpo e de Sangue di Cristo nell’unico sacramento eucaristico che poi si offre alla comunione ai fedeli. Nell’Eucarestia l’unità del popolo con Dio e della gente tra loro diventa sacramento, la memoria di Cristo e del Suo sacrificio s’unisce all’esistenza dei semplici mortali, perché il nome di ciascuno di loro diventa eucaristico, trasformato in Cristo. La persona umana come tale diventa eucaristica, colei che fisicamente, spiritualmente, ontologicamente riceve il Signore nelle sue viscere, nel proprio spirito, nella pienezza del suo essere. Così un comunicante si trasforma in Cristo stesso. Lui si trasforma in Cristo, ma… da ladrone. Prima della comunione il sacerdote prega al nome di tutti comunicanti. Vorrei citare questa preghiera che esprime proprio la coscienza eucaristica ortodossa, se possiamo chiamarla così:
Credo, Signore, e confesso che Tu sei veramente il Cristo, il Figlio del Dio vivente, venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ancora credo che questo proprio è il tuo intemerato Corpo e questo proprio è il tuo prezioso Sangue. Ti prego dunque: abbi misericordia di me e perdonami tutti i miei traviamenti, volontari e involontari, con la parola o con l'azione, con cognizione o per ignoranza, e consentimi di partecipare senza condanna ai tuoi intemerati Misteri per la remissione dei peccati e per la vita eterna. Amen.
Della tua mistica Cena, Figlio di Dio, accoglimi partecipe: non dirò di questo Mistero ai tuoi nemici, né ti darò un bacio al modo di Giuda, ma come il Ladrone ti confesserò: ricordati di me, Signore, nel tuo regno.
Non mi siano di condanna questi santi Doni, Sovrano, ma piuttosto purificazione e santificazione dell'anima e del corpo. Amen.
In questa preghiera come si rischiara il paradosso della spiritualità eucaristica: un comunicante si accosta al calice da ladrone, ma dopo aver partecipato a questo Mistero lui porta Cristo in sé, Colui chi lo giudica e può condannare e Colui chi lo salva e lo fa Dio.
L’Eucarestia è un atto della deificazione, questo è il suo messaggio o mistero, si può dire, il più importante. E’ conosciuta la formula patristica: Dio è diventato uomo per natura affinché l’uomo possa diventare dio per la grazia. Diventare dio con la comunione al Corpo e il Sangue di Dio, ma la vocazione così incredibilmente alta include anche un’eventualità di rigetto e di condanna. Prima di ricevere Dio, tu devi rendersi conto che meriti di essere condannato per i tuoi peccati. La deificazione è incompatibile con qualsiasi peccato, grande o piccolo, e bensì nessuno sia in grado di cancellare ogni macchia dalla sua anima, un comunicante deve chiamare alla misericordia di Dio e fare uno sforzo della purificazione interiore. La comunione nella Chiesa ortodossa è legata ad una disciplina ascetica che si compone dai tre elementi principali: il digiuno (al minimo: nessun pasto dopo la mezzanotte prima della comunione e neanche un sorso d’acqua), la preghiera di preparazione (con il canone di pentimento, le suppliche per il perdono), poi la confessione penitenziale come sacramento del pentimento. Questi tre passi non ci fanno puri, ma secondo l’insegnamento della Chiesa ortodossa, che la nostra comunione non sia in condanna.
In una delle preghiere di preparazione alla comunione che appartiene a san Simeone il Nuovo Teologo si dice: io, erba, comunico al fuoco ed ecco il miracolo: sono arrossato senza essere bruciato. Lo stesso stato d’animo parla anche nelle altre innumerevole preghiere: colui che si accosta al sacro si paragona a tutti i peccatori, s’umilia davanti al mistero divino che prende dentro di sé. La vita spirituale ortodossa è sempre eucaristica, anche fuori del sacramento ecclesiale.
L’Eucarestia si fa con il cibo umano, ma la consacrazione del pane e del vino svela anche il mistero eucaristico della creazione come tale, della materia del mondo. Tutto ciò che è stato creato, contiene il suo logos, secondo la visione di san Massimo, il Confessore, il pensiero di Dio che va scoperto e rivelato. «La liturgia», dice m. Ziziulas nel suo libro Il Creato come Eucarestia «esprime un paradosso, operando l’affermazione e la negazione del mondo, una rigenerazione che non crea dal nulla, un rinnovamento che non è totale che non è totale rigenerazione; questo paradosso è nell’Eucarestia il farsi presente e visibile nel tempo e nello spazio del mistero di Cristo, nel quale il vecchio Adamo si rinnova senza distruggersi, la natura umana viene assunta senza essere mutata, l’uomo viene deificato senza cessare di essere uomo».
Ciò che facciamo in memoria di Cristo, ci fa scoprire il mondo creato con la parola ch’è Cristo, ma anche fa vedere con gli occhi nuovi progetto di Dio sull’uomo dopo la caduta. Questo progetto è la salvezza dell’uomo e del mondo con il cibo celeste che ci porta alla trasfigurazione del creato in Cristo.
Vorrei concludere con le parole di san Massimo il Confessore. «Cristo è tutto in tutti, Egli che tutto racchiude in sé secondo la potenza unica, infinita e sapientissima della sua bontà, come un centro in cui convergono le linee, affinché le creature del Dio unico non restino estranee e nemiche le une con le altre, ma abbiano un luogo comune dove manifestare la loro amicizia e la loro pace».
Vladimir Zelinskij