Ecumene

Mercoledì, 01 Aprile 2015 11:14

La preghiera del Padre Nostro in prospettiva ecumenica (Fulvio Napoli)

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La preghiera del Signore è divenuta quel pilastro che, con il Credo, guida il cammino che percorriamo insieme alle Chiese separate, nel rispetto delle differenze e delle originalità che sono in grado di arricchire ciascuna confessione se oggetto di un reciproco scambio fraterno.

I Vangeli di Luca e Matteo ci tramandano una preghiera che ha origine dalle parole stesse di Gesù. La sua presenza in due opere ne attesta la provenienza da una fonte comune, autorevole e ben radicata che, per questa ragione, possiamo collegare con ragionevole certezza, anche storica, ad una reale testimonianza sugli anni della Sua vita terrena.
Questo suo collocarsi al punto di origine di ogni futura separazione contribuisce a rendere il Padre Nostro anche un riferimento comune per il cammino ecumenico. Ma è soprattutto il riferimento al rapporto filiale che lega l’uomo a Dio, Padre comune, che ne fa un caposaldo per quel movimento che lavora, obbediente alla Scrittura, per ricostituire l’unica Chiesa di Cristo le cui membra vivono della partecipazione e dell’impegno di ogni battezzato.  
In questo breve testo si cercherà di fondare le ragioni che vedono nella preghiera del Signore una via privilegiata per il dialogo tra le Chiese separate, sottolineando principalmente quegli aspetti che sono stati motivo per il loro costante riavvicinamento. Sarà utile ripercorrere, a partire dal fondamento scritturistico, la storia delle sue interpretazioni per trarre, nel seguito, conclusioni e indicazioni utili (1) a valorizzare una lettura realmente universale della preghiera.  

Il contesto storico.

Le radici ebraiche.
Non è mai superfluo ricordare la piena appartenenza di Gesù di Nazaret a quel contesto culturale e religioso, particolarmente dinamico, che risale al tardo giudaismo post-esilico. Il Padre Nostro, quindi,  è anche una chiara espressione della tradizione orante di matrice ebraica e risulta, per questa ragione, composto di termini e concetti in essa profondamente radicati, benché riformati per dare forma alla Rivelazione incarnata da Cristo.
Un elemento di relativa discontinuità è proprio nell’uso originale dell’appellativo “Padre” rivolto a Dio, poco presente nella cultura semitica più propensa a sottolineare la Sua trascendenza. Facilmente, nell’Antico Testamento è attestata l’idea di “figlio” riferita in prima battuta al re e per estensione al popolo che diviene tale in quanto “eletto”, soprattutto dopo il rientro da Babilonia. In Isaia e Geremia rinveniamo questo tipo di invocazione per significare un riconoscimento universale di autorità, diversa da quella attribuita ai patriarchi, perché è anche prossimità amorevole.
Le domande espresse dal Padre Nostro trovano la loro diretta origine nella liturgia e nei profeti del Secondo Tempio. Ecco come inizia il Quaddish, l’unica preghiera in aramaico della liturgia sinagogale: “Sia magnificato e santificato il suo grande nome, nel mondo che egli ha creato secondo la sua volontà. E faccia regnare il suo regno durante la vostra vita e nei vostri giorni e durante la vita di tutta la casa d’Israele, e avvenga presto, in un tempo vicino. E dite: Amen!”.
I temi del pane e del perdono sono trattati con parole corrispondenti dalle Diciotto Benedizioni contenute nell’antica preghiera dell’Amidah, quello della prova è attestato ampiamente in tutto l’Antico Testamento, si pensi alle figure di Abramo e di Giobbe.

La rilettura cristiana.
Ma è proprio il tema della paternità a divenire centrale in tutto il Nuovo Testamento assumendo quel senso del tutto originale che consegue dalla divina filiazione di Cristo e dalla sua estensione ai discepoli. In Matteo la preghiera è inserita nel contesto dei tre pilastri della vita religiosa: elemosina, preghiera, digiuno. L’elemento che ne attesta il ruolo come modello di preghiera è sottolineato dall’incipit:  “voi dunque pregate così” (2). In Luca, il testo si colloca all’interno di un contesto di insegnamento sulla preghiera, ed è collegabile ad una catechesi sul duplice modo di intendere il comandamento dell’amore: verso il prossimo e verso il Padre.
Il testo di Matteo, che viene considerato completo, si articola in 7 domande: il tema delle prime tre è ascrivibile direttamente a Dio, quello delle altre quattro fa riferimento alle necessità umane. La Didachè fa seguire una dossologia (3) che troverà ampia diffusione nell’uso comunitario successivo. I due gruppi di domande si chiariscono reciprocamente: la prospettiva del riconoscimento della Santificazione del Nome, del Regno e della Volontà, rendono concreti i doni del pane, del perdono e della liberazione che chiede l’orante. E’ nel legame che si esprime la paternità: Dio dona ciò che ci permette di unirci a Lui, in una relazione di amore e dipendenza filiale che l’uomo, riconoscendo una paternità comune, non può che estendere al suo prossimo. L’identità che riceve l’uomo in quanto figlio, quindi, è personale ed ecclesiale insieme e, dalla struttura in domande della preghiera, comprendiamo che è un’identità che si costruisce con l’accettazione, che l’uomo compie, della sua dipendenza dai doni di Dio.
Questo processo di costruzione identitaria passa attraverso un cammino di conversione che il Padre Nostro ci indica come unificante, cioè imprescindibile da un serio impegno ecumenico. La barriera da superare non è data, come potrebbe apparire, da quelle legittime differenze che ricalcano solo un’appartenenza storica e culturale differente - che sono anche motivo di arricchimento reciproco - ma dal fatto di ritenere che queste differenze siano impedimenti al reciproco riconoscersi parte dell’unica Chiesa di Cristo. Se domandiamo che “venga il Tuo regno”, ciò significa che il nostro essere progettuale deve farci prescindere dalla manifestazione concreta e contingente delle nostre chiese confessionali terrene, ma ci proietti in un futuro, ed anche in un presente, che ci unisca realmente, nel profondo. Si tratta di un itinerario che è parte integrante del cammino di comprensione che il pensiero cristiano ha intrapreso a partire dalle sue proprie origini – cammino spesso segnato da tentativi di confessionalizzazione della preghiera - le cui tappe principali proveremo ora a ricostruire per grandi linee.

Storia delle interpretazioni.

Chiesa delle origini.
I primi due commentari sono di Tertulliano ed Origene, di carattere pratico il primo, filosofico il secondo. Altre opere, al riguardo, sono di Cipriano di Cartagine, Ambrogio, Cirillo di Gerusalemme, Teodoro di Mopsuestia ed Agostino. I testi traevano origine soprattutto dalla necessità di commentare la Scrittura, preparare i catecumeni e redigere trattati preghiera. Cirillo ci spinge a pensare che il testo di Matteo sia prioritario rispetto a quello lucano, forse perché di uso liturgico. Ma la Didachè attesta anche il suo uso in ambito privato: “Pregate in questo modo tre volte al giorno”. Così come Teodoro ne testimonia l’uso catechetico. Sarà Cipriano il primo a esortare ad una lettura del Padre Nostro intesa come affermazione di unità del popolo di Dio.
Agostino, nel Discorso del Signore sulla montagna e, nuovamente, in un’omelia destinata ai catecumeni, pone il Padre Nostro a valle del Credo: l’invocazione al Padre presuppone la fede. Propone, inoltre, una lettura parallela delle sette domande della preghiera sia con le Beatitudini che con i doni dello Spirito Santo. Si tratta di una tesi accolta con molto favore nel corso del Medioevo. Agostino, ancora, individua nella preghiera una guida per imparare cosa desiderare, precisando, sorprendentemente,  in una lettera a Proba (4), che le parole che usiamo non servono né ad informare né a piegare il Signore. Ma è soprattutto la portata mistagogica del Padre Nostro, che Agostino attesta quando a partire dalla sua la collocazione strategica in chiusura della preghiera eucaristica, ne rileva quella spinta che porta il fedele a riconoscere nel sacramento ricevuto il corpo di colui che li ha resi figli e fratelli mediante il Suo sacrificio. Su questa base, affermando il potere della misericordia che perdona il peccato, Agostino esorta a non escludere alcuno dei cristiani separati che pregano il Padre Nostro. Il riferimento è alle separazioni che sin dai primi secoli hanno afflitto le comunità cristiane a causa dell’influenza di movimenti che divulgavano tesi non canoniche.
Con Gregorio Magno, nella liturgia, il Padre Nostro assume forma di dialogo tra il celebrante e l’assemblea che entra così a in una relazione articolata, in quanto corpo di Cristo, con chi la presiede.

Monachesimo.
Un ruolo strutturante analogo assumerà, sul piano simbolico, già nelle prime comunità cenobitiche del monachesimo nascente. Così come già a partire dai Padri del deserto l’ideale di conversione si rapportava alla figura del padre spirituale che guida il percorso di crescita interiore del catecumeno, allo stesso modo le comunità benedettine attribuiscono all’abate un ruolo guida ampiamente fondato sui tratti del rapporto padre-figlio. La stessa regola sancisce una sorta di potere di rappresentanza di Cristo conferito all’abate della comunità (5). Diretta conseguenza di questo tipo di lettura, è la collocazione di rilevo che il Padre Nostro assume nell’organizzazione dell’ufficio divino.
Nelle Chiese locali, agli albori del Medio Evo, il paradigma padre-figlio è riservato al rapporto tra il vescovo e i fedeli ma poi l’uso viene sempre più circoscritto al vescovo di Roma.
Nella vita comunitaria, saranno le prime comunità francescane a rimuovere il modello paterno privilegiando quello della fratellanza tra pari guidati da un guardiano eletto, e riportando radicalmente all’esterno della comunità l’idea di filiazione: ogni fratello è invitato a riconoscersi figlio dello stesso Padre Celeste. Dunque, con sfumature e motivazioni diverse, Francesco come Benedetto dispone il Padre Nostro in ogni ufficio. Qui è evidente la volontà di impedire che la nozione di paternità di Dio potesse essere strumentalizzata dalla gerarchia, senza che per questo fosse mai venuta meno la fedeltà di Francesco al suo pontefice Innocenzo III.

Tommaso e la Scolastica.
In epoca scolastica, Tommaso legge il Padre Nostro come cammino programmatico dell’ideale domenicano, aggiungendo all’aspirazione consueta alla fraternità quella specifica passione per la verità e la salvezza del prossimo che l’aquinate traduce in insegnamento morale fondato sulla responsabilità personale.
Tommaso, in un saggio completamente dedicato (6), individua nel Padre Nostro la più eccellente preghiera, perché possiede massimamente i cinque requisiti che le sono necessari:

E’ sicura: perché composta dal nostro intercessore presso Dio;
retta: chiede solo il bene vero;
ordinata: privilegia la richiesta dei beni spirituali a quelli materiali;
devota: breve, diretta, la sua devozione sgorga dalla carità. L’amore di Dio nasce quando lo chiamiamo Padre, l’amore del prossimo dall’appellativo “nostro”;
umile: si rivolge supplichevole, non confida nelle proprie forze.

Il Padre Nostro, inoltre: libera dai peccati commessi, fa ottenere tutto ciò che desideriamo, ci rende familiari a Dio.
Su questa base Tommaso fa una disamina dell’invocazione iniziale e delle sette domande espresse dall’orante.
Padre: è tale perché ci ha creati a sua immagine e somiglianza, perché ci governa lasciandoci liberi, perché ci ha adottato. Noi, quindi, dobbiamo tributargli onore, siamo tenuti ad imitarlo nell’amore, obbedirgli, sopportare con pazienza le Sue prove.
Nostro: questo appellativo ci impegna all’amore e al rispetto verso il prossimo.
Che sei nei cieli: afferma l’immensità dei suoi poteri e ci prepara alla preghiera.
Le domande, in breve, sono così suddivise e analizzate:

1. Sia santificato il tuo nome: il nome di Dio si manifesti e risplenda in noi.
2. Venga il tuo regno: che non è ancora effettivo, preghiamo dunque per la conversione dei giusti, la punizione dei peccatori, la distruzione della morte.
3. Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra: perché il cuore dell’uomo è retto quando concorda con la volontà divina.
4. Dacci oggi il nostro pane quotidiano: perché anche i beni temporali ci vengono dati da Dio. La brama di beni materiali si supera chiedendo il necessario per oggi ed aggiungendo, al pane necessario a sostenersi materialmente, il pane della Parola e quello sacramentale.
5. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori: Nutriti di misericordia perdoneremo il prossimo meritando così il nostro perdono.  È un proposito che esprimiamo nella preghiera a nome della Chiesa tutta, per questa ragione, sottolinea Tommaso, siamo tenuti a pronunciarlo anche quando manca il proposito interiore di perdonare, perché così gli avremo aperto la strada.
6. E non ci indurre in tentazione: La tentazione che noi chiediamo di eludere, quindi, non presuppone evidentemente la possibilità di essere fuorviati da Dio, ma si riferisce alla prova intesa come occasione per manifestare la virtù, come in Abramo e Giobbe. Il male si fa strada quando l’uomo, a causa dei numerosi peccati, provoca l’allontanamento da sé della Grazia, ma la Carità, per quanto minima, può resistere ad ogni peccato.
7. Ma liberaci dal male: in diversi modi. Impedendo che ci colpisca l’afflizione, consolandoci quando le afflizioni sopraggiungono,  concedendo agli afflitti tanti beni da far loro dimenticare i mali, trasformando in bene tentazioni e tribolazioni.

La preghiera diviene, quindi, interprete dell’aspirazione alla felicità, perché presenta nel ordine dovuto la disamina di ciò che è necessario e possibile desiderare, secondo una lettura, di Tommaso, così sintetizzata dal Gruppo di Dombes (7):

Domande espresse nel Padre Nostro

Lettura di Tommaso

1 - sia santificato il Tuo nome;
2 - venga il Tuo regno;

Vogliamo  la Sua Gloria e gioirne tutti,

3 - sia fatta la Tua volontà, come in cielo così in terra.

per raggiungerla serve obbedienza alla sua volontà

4 - Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

come aiuto alle nostre opere meritorie

5 - e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
6 - e non ci indurre in tentazione,
7 - ma liberaci dal male.

oppure evitando gli ostacoli che ci impediscono di raggiungere la felicità.

Il Medio Evo si chiude con eventi burrascosi e drammatici, ma si può segnalare la persistenza di una particolare devozione alla pratica del Padre Nostro che diviene, quasi ovunque, strumento a supporto di una  predicazione e declamazione vibrante e ripetuta, scandita per la prima volta da lunghe ripetizioni in forma di rosario antelitteram, adottando così su larga scala quell’abitudine nata in seno al monachesimo.  

Riforma.
Ad aprire l’era moderna, la prospettiva Luterana non poteva evitare di reinterpretare in chiave riformata un elemento cardine del Cristianesimo come la preghiera che il Signore ci ha insegnato: Dio è Padre perché questo è il suo essere, non il suo titolo, non lo diviene per il penitente, ma lo è in ogni circostanza. In questo modo la paternità assume uno status analogo alla Grazia, non la si riceve attivamente ma se ne prende coscienza da una rivelazione che esige la pratica quotidiana della preghiera. Non vi è alcuna dinamica che può prendere le mosse dal credente, se non la fede in un Dio che tutto può, fede che da sola apre alla salvezza, che è già offerta.
Ma siamo figli per mezzo di Cristo che intercede per la nostra salvezza, per questo il perdono è domandato in nome di Cristo stesso, in quello “scambio gioioso” della preghiera strumento cardine della giustificazione per fede. Però si tratta di una preghiera che non può offrire nulla, perché non ci è dato, ma può unicamente ricevere. Facile immaginare, quindi, come il punto di maggior distanza sia nella quinta domanda espressa dalla preghiera: rimetti a noi i nostri debiti. La critica alle indulgenze era motivata proprio dalla negazione che la Chiesa possedesse, ad opera dei santi, quel sovrappiù di meriti che potevano salvare il penitente che l’acquistava. Se anche i santi pregavano il Padre Nostro, e certamente lo facevano, afferma Lutero, questa è la prova evidente che anch’essi erano nella posizione di ogni penitente, non avevano opere in soprannumero da offrire. Ciò che divide Lutero dalla Chiesa di Roma riguarda proprio la natura del perdono che, per il riformatore, non avviene attraverso un giudizio divino delle opere umane, siano esse personali o mutuate dalla Chiesa attraverso i santi, ma unicamente grazie al nostro essere figli ed alla consapevolezza che implica la quotidiana pratica della penitenza per tutti, senza eccezioni, e il Padre Nostro ha un ruolo centrale per il riconoscimento della condizione di peccato. Per questa ragione Lutero proibisce ai prìncipi di pregare il Padre Nostro senza questa consapevolezza, proprio per affermare l’inutilità di un gesto che non va inteso come attivo, direttamente operante, ma come presa di coscienza ed atto di fede. Solo per Grazia siamo chiamati figli di Dio (8), ed il ruolo dei battezzati è nell’intercedere l’uno per gli altri, in virtù del sacerdozio universale. Così il Padre Nostro acquista un ruolo sacramentale: la confessione del peccato e la penitenza impliciti nella preghiera conducono all’Eucarestia, dove il perdono dei peccati è mosso dall’azione sacramentale di Dio. Ma è la Grazia immeritata della filiazione per mezzo di Cristo che conduce alla vera penitenza, non il contrario.
Anche per Calvino l’orazione è il culmine dell’espressione di Fede: con essa invochiamo Dio per chiedergli di esaudire le promesse, possiamo farlo grazie all’intercessione di Cristo, dunque solo se possediamo la fede e siamo guidati dallo Spirito Santo. Se Dio ci chiede di chiamarlo Padre è perché chiede la nostra comunione, che deve esprimersi nella condivisione di ogni cosa. Questa inclusione riguarda tutti i credenti in Gesù Cristo, anche se sconosciuti. Secondo Calvino chiediamo, dunque, in questa orazione, che sia “reso a Dio l’onore di cui è degno” (9), perché aumentino i suoi fedeli e gli si uniscano sempre più, nello spirito Santo, che sottometta il male, che ci dia il necessario per vivere (10), e la remissione dei peccati ottemperabile solo grazie alla misericordia manifestata in Cristo. Dunque il nostro rimettere ai debitori, evidentemente, è anche qui effetto, manifestazione di una Grazia, di un segno che conferma. Infine chiediamo di non soccombere alle tentazioni, confidando in un Dio che non permette che si venga tentati oltre le proprie possibilità (11). Calvino sottolinea la portata ecclesiale di queste richieste, che travalicano l’orizzonte personale, perché tendono “all’edificazione ed al vantaggio della Chiesa ed alla crescita pubblica della comunione dei credenti” (12). La centralità del Padre Nostro, per Calvino, è dunque indubitabile, per questo la ribadirà anche nel noto Catechismo di Heidelberg, pietra miliare della formazione protestante.

Il dialogo attuale.
L’epoca contemporanea, inizialmente, vedrà alternarsi prospettive diverse, che poco incideranno nel progresso di un cammino ecumenico che avrà la luce, a pieno titolo, solo alle soglie del XX secolo. Nel secolo breve le tentazioni di confessionalizzare il Padre Nostro andranno sempre più a ridursi fino a poterle considerare, con il Concilio Vaticano II, superate di fatto, se non all’interno di posizioni del tutto marginali. Una serie di rinnovamenti, biblico, catechistico, liturgico, hanno creato terreno fertile per l’avvicinamento delle Chiese e la loro apertura al dialogo.
Per quanto riguarda i fratelli ortodossi, sappiamo che il loro cammino, nel corso dei secoli, ha percorso un itinerario che, nella sostanza, non si è mai realmente separato, su un piano dottrinale, da quello cattolico romano, se non su questioni il cui fondamento era solo apparentemente dottrinale ma in realtà esprimeva una distanza prettamente storica. Nelle interpretazioni teologiche, come di consueto, i Padri della Chiesa sono una fonte privilegiata per gli orientali dal momento che il loro coinvolgimento nello sviluppo del pensiero teologico e filosofico successivo ha avuto minore impatto. Nel primo Convegno ecumenico sul Padre Nostro tenuto a Perugia nel 1999, S. Em.za Gennadios Zervos, Metropolita Ortodosso d’Italia, nel suo discorso introduttivo, cita Cipriano per ricordarci che il Padre Nostroè per noi una preghiera pubblica e comune, e quando preghiamo, non preghiamo per uno soltanto, ma per tutto il popolo, perché tutto il popolo è uno. Il Dio della pace ed il maestro della concordia, che ha insegnato l’unità, ha voluto che uno pregasse per tutti, come Lui ha portato tutti in uno” (13).
Il Catechismo della Chiesa Cattolica individua nella preghiera del Signore il bene comune a tutti i battezzati, i quali “devono partecipare alla preghiera di Gesù per l’unità dei suoi discepoli” (14). La chiave di lettura, sottolinea il testo, deve essere quella in cui il “nostro” non esclude nessuno, la Scrittura stessa ci invita pressantemente al superamento delle divisioni (15).
Per questa ragione si è resa necessaria una traduzione ecumenica della preghiera, compiuta da un gruppo misto di lavoro, che ha visto la luce nel 1966 e che da allora è adottata dalla maggior parte delle comunità cristiane (16). Così si è potuta onorare la possibilità che la Chiesa Cattolica, già dal 1949 (17), ha offerto ai propri battezzati di recitare il Padre Nostro in comune con quelli provenienti da altre confessioni. Nello stesso tempo, sia le liturgie cattolica romana che riformate modificavano l’uso di affidare al celebrante la lettura della preghiera, che viene ora enunciata  ad alta voce dall’intera assemblea.

Conclusione.

La preghiera del Signore è così divenuta quel pilastro che, con il Credo, guida il cammino che percorriamo insieme alle Chiese separate, nel rispetto delle differenze e delle originalità che sono in grado di arricchire ciascuna confessione se oggetto di un reciproco scambio fraterno.
Anche la fede personale può guadagnare da un confronto che costringe a superare le forme esteriori, a porsi domande su questioni che si danno per scontate ma su cui non si riflette a fondo mai, se si è da soli perché, come affermava Paolo VI, è il dialogo “lo spazio entro cui si muove la Chiesa” (18). E’ un cammino che nello stesso tempo ci è donato ma che va anche costruito: così come l’impegno alla conversione personale, la conversione all’ecumenismo è un progetto che vede l’uomo tendere al suo conseguimento che è alla sua portata ma non posseduto, un cammino infinito il cui compimento trova solo  nell’avvicinamento la sua dimensione terrena.

Fulvio Napoli  (www.fulvionapoli.it)


APPENDICE

I testi evangelici del Padre Nostro (trad. CEI 2008)

Matteo 6,9 Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome;
10 venga il tuo regno;
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
12 e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
13 e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.

Luca 11,2 Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre, sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
3 dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
4 e perdonaci i nostri peccati,
perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore,
e non ci indurre in tentazione».


Ultima versione ecumenica (19)
[in Italia ammessa solo negli incontri interconfessionali]

Padre nostro, che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo Regno,
sia fatta la tua volontà
come in cielo anche in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo
ai nostri debitori
e non ci indurre in tentazione
ma liberaci dal Male.


Bibliografia essenziale

Gruppo di Dombes , “Voi dunque pregate così”, il Padre Nostro, Itinerario per la conversione delle chiese, EDB, Bologna, 2001

S.S. Benedetto XVI, La preghiera di Gesù, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2012

Fonti internet

Agostino d’Ippona, Discorso del Signore sulla montagna, http://www.augustinus.it/italiano/montagna/index.htm

Catechismo della Chiesa Cattolica, http://www.vatican.va/archive/catechism_it/index_it.htm

Didaché http://www.intratext.com/X/ITA0035.HTM

Tommaso d’Aquino, Commento al Padre Nostro, http://www.amicidomenicani.it/vedi_rubriche.php?sezione=domenicani&id=41

Note

 1) Nota metodologica:  per la stesura di questo testo si è fatto ampiamente riferimento all’opera “Voi dunque pregate così”, il Padre Nostro – Itinerario per la conversione delle chiese del gruppo di Dombes – EDB 2001. Non vi saranno, quindi, rimandi puntuali a questo testo ma solo a fonti ulteriori.

2) Mt 6,9 C.E.I.

3)  “[…] perché Tua è la Potenza e la Gloria nei secoli”, Didachè 8,2

4) Agostino, Lettera 130, a Proba 11,21

5) Regula Sancti Benedicti 2,2-3

6) Commento di San Tommaso d’Aquino al Padre Nostro

7) Cfr. nota pag. 3

8) Predicazione su 1Tm 1,15

9) Istituzione della religione cristiana, III, XX, 41, (1075)

10) Ibid., III, XX, 44 (1080)

11) Ibid., III, XX, 46 (1087)

12) Ibid., III, XX, 47 (1089)

13) Cyprianus, De Dominica Oratione, 8, CSEL 3/1, 271

14) Catechismo della Chiesa cattolica, n.2791

15) Matteo 5, 23 Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.  [Traduzione CEI 2008] Ed anche Atti 4,32 La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.

16) In Italia l’uso della traduzione ecumenica è limitato agli incontri di tipo ecumenico.

17) Istruzione Ecclesia Catholica ad locorum ordinarios “De monitione Ecumenica”, 20 Dicembre 1949, suprema sacra Congregazione del Sant’Offizio.

18) Lettera Enciclica Ecclesiam Suam, 1964

19) Redatta nel corso del Convegno sul Padre nostro, svoltosi a Perugia il 12-15 aprile 1999, dai rappresentanti della Chiesa cattolica, della Federazione delle Chiese evangeliche e dalla Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia. Le singole Chiese conservano il testo della propria tradizione, ma la versione concordata può essere considerata ecumenica. I ritocchi comprendono due "anche" nella prima parte (per evitare la proporzionalità fra le due componenti: terra paragonata al cielo; il nostro perdono come misura di quello di Dio); la lettera maiuscola attribuita al Male, da intendersi in senso personale, cioè Satana. [P. Rinaldo Falsini, in Vita Pastorale, febbraio 2011].

 

Letto 4212 volte Ultima modifica il Mercoledì, 01 Aprile 2015 15:58
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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