Ecumene

Giovedì, 11 Marzo 2010 22:12

Conoscenza reciproca per superare le divisioni (Mario Gnocchi)

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Nello sviluppo dell’ecumenismo conciliare entra una parolina molto importante si dice che bisogna imparare a conoscere l’”animo” dei fratelli. E non si tratta di una semplice informazione, bensì di un cammino da preparare a partire dalla formazione dei futuri pastori.

Dialogo dottrinale

 Conoscenza reciproca
per superare le divisioni

di Mario Gnocchi * 

«Bisogna conoscere l’animo  dei fratelli separati»: l’affermazione con cui si apre UR 9 potrebbe apparire quasi ovvia nella sua incontestabile verità. Come infatti si possono superare le divisioni se non si parte da uno sforzo di reciproca conoscenza? Finché permangono l’ignoranza e l’immagine convenzionale e acritica dell’altro, o peggio ancora il pregiudizio e la deformazione polemica, non possono certo nascere un’autentica relazione e un vero dialogo, e l’unico rapporto che può darsi è allora quello dell’opposizione difensiva o offensiva, della reticenza timorosa o del tentativo di conquista. Ci si può incontrare nel dialogo soltanto se ci si conosce per quello che veramente si è, o meglio se ci si riconosce, cioè se si rinnova lo sguardo rivolto all’altro e si dissolve il diaframma opaco che anche a nostra insaputa si insinua tra noi e lui, distorcendone il volto e la voce.

Ed è proprio in questo senso che quella affermazione apparentemente quasi ovvia contiene una parola di pregnante significato, che riverbera luce su tutto il contesto: bisogna, è detto, conoscere “l’animo” dei fratelli. Il Concilio si mostra qui consapevole che nelle relazioni ecumeniche, come del resto in ogni vitale relazione umana, una vera conoscenza non può fermarsi a una visione puramente “oggettiva”, per quanto rigorosa e rispettosa. Non sono infatti in gioco un astratto sistema dottrinale o un insieme di dati e nozioni analizzabili dall’esterno, ma realtà personali in cui si condensano vita e storia, e che esigono perciò un’interpretazione dall’interno, capace di coglierne le intenzioni e il senso.

Già UR 4, del resto, parlava di conoscenza «della dottrina e della vita» delle altre comunioni; e su questa stessa linea insisterà Giovanni Paolo II nell’Ut unum sint, dicendo a proposito del dialogo che il «momento conoscitivo» si completa in «una dimensione globale, esistenziale» (28). Il termine “animo”, dunque, non va inteso in un senso psicologico vago e riduttivo: esso comprende quel complesso di tradizioni e di memorie, di categorie intellettuali e di forme simboliche, di abiti morali e di esperienze spirituali, che costituisce il fondamento storico, l’impronta e il codice interiore di ogni persona e di ogni comunità umana, a cui bisogna risalire se si vuoi capire ciò che esse sono, dicono e fanno.

Se l’altro per me è un “tu”

É in questo humus profondo che si radica il linguaggio; e ben sappiamo come proprio nel linguaggio, quando si creda di possederne la chiave univoca e sicura e si ignori il deposito storico ed esistenziale che lo caratterizza, possa annidarsi una delle insidie in cui s’incaglia il dialogo. Per superare le secche interpretative occorre uno sforzo di ascesi intellettuale, che ci faccia uscire dal cerchio chiuso di noi stessi e smuova la rigidezza delle nostre prospettive.

Nell’orizzonte sopra accennato si comprende bene come il decreto solleciti «una migliore conoscenza della dottrina e della storia, della vita spirituale e liturgica, della psicologia religiosa e della cultura, propria dei fratelli», mediante uno studio «condotto secondo la verità e con l’animo ben disposto». Si noti la ripresa del termine “animo”, qui in significativo binomio con “verità”: quasi a dire che alla verità a quella verità viva, che si rivela nella relazione personale - ci si avvicina se “l’animo” degli uni è disposto a incontrare “l’animo” degli altri; se - potremmo dire con linguaggio mutuato da Martin Buber l’altro non è più per me un “lui” o un “esso”, ma un “tu”.

In questa luce possiamo leggere anche le successive affermazioni sull’importanza dei “congressi”, ove è enunciato un principio  ostensibile anche al di là delle pure “questioni teologiche” cui il testo specialmente si riferisce. Si parla infatti, con ripresa di un pensiero già espresso in UR 4, di congressi cui partecipino «entrambe le parti» e in cui «ognuno tratti da pari a pari». La «partecipazione di entrambe le parti» è la condizione necessaria e previa affinché la conoscenza non avvenga secondo un rapporto unidirezionale, in cui l’uno sia solo il conoscente e l’altro solo il conosciuto, ma risulti dal diretto e reciproco dichiararsi dei soggetti, «da pari a pari»; cioè perché l’altro mi si riveli non solo per quello che io riesco a scorgere in lui, ma anche per la consapevolezza e l’immagine che egli ha di sé; anzi, anche per l’immagine che ha di me, e che mi aiuta a prendere più piena coscienza di me stesso, come egli è aiutato dall’immagine che io ho di lui.

«In questo modo», è detto a conclusione del paragrafo, «si verrà anche a conoscere meglio il pensiero dei fratelli separati e a loro verrà esposta con maggiore precisione la nostra fede». Nel dialogo ecumenico cresce l’autocoscienza di ogni interlocutore; nell’apertura all’altro si schiarisce l’identità di ciascuno.

Il compito formativo

I principi esposti in UR 9 sono applicati nel numero successivo all’insegnamento teologico e alla formazione spirituale, con particolare riguardo ai «futuri pastori e sacerdoti», dai quali «dipende sommamente la necessaria istruzione e la formazione spirituale dei fedeli e dei religiosi».

Non c’è bisogno di sottolineare la costante attualità di quest’ultimo asserto.. Finché, infatti, l’ecumenismo non diventa orientamento e respiro ordinario della comunità eccelsiale, finché non si diffonde nel popolo di Dio un’autentica “spiritualità ecumenica”, non si faranno passi decisivi sulla via dell’unità.

Tutto il popolo di Dio è chiamato in causa, e non soltanto i pastori; ma questi hanno nei confronti di quello un compito formativo difficilmente sostituibile.

Di grande importanza è l’affermazione iniziale: «L’insegnamento della sacra teologia e delle altre discipline specialmente storiche deve essere fatto anche sotto l’aspetto ecumenico, perché abbia sempre meglio a corrispondere alla verità dei fatti». Se ne ricavano due indicazioni fondamentali.

1 La prima indicazione è che l’ecumenismo non può ridursi a settore specialistico o circoscritto di ricerca, ma deve informare, nei metodi e nei contenuti, l’intera riflessione teologica e ogni altro ambito d’indagine d’impegno educativo e pastorale, in modo da divenire l’orizzonte globale e costante della coscienza e della vita di fede. «La teologia deve divenire ecumenica per essere teologia veramente cristiana», scrive Germano Pattaro nel Corso di teologia dell’ecumenismo (Queriniana 1985, Brescia, p. 234); e l’asserzione si può estendere a tutte le epressioni della vita ecclesiale.

2 La seconda è che non si tratta soltanto di abbandonare, come poi è detto, ogni atteggiamento polemico nei confronti dei fratelli di altra confessione, ma ancora, ben più radicalmente, di rispondere a un’esigenza di “verità”. Una verità che inevitabilmente sfugge a chi, sia pur con le migliori intenzioni, pretenda di raggiungerla esclusivamente dal proprio angolo visuale, sulla sola base delle proprie categorie interpretative.

Anche in questo caso è necessaria un’ascesi, una “conversione” di sguardo e di giudizio, che sul piano storico predispone alla “riconciliazione delle memorie”, e su quello teologico e generale apre al riconoscimento della trascendenza della verità su ogni sua positiva ma parziale comprensione e formulazione. In tal senso, come dice Ut unum sint 38, grazie all’ecumenismo «le comunità cristiane sono aiutate a scoprire l’insondabile ricchezza della verità. [...] L’ecumenismo autentico è una grazia di verità».

Non ci soffermiamo sull’ultimo capoverso relativo alla necessità della formazione ecumenica nell’azione missionaria, perché richiederebbe un’ampiezza di commento non consentita in questa sede.

 

* Presidente del Sae (Segretariato attività ecumeniche)

(da Vita Pastorale, dicembre 2005)

Bibliografia

Pattaro G., Corso di teologia dell’ecumenismo, Queriniana 1985, 1992, Brescia (in particolare le pp. 232-247); Sartori L., L’unità dei cristiani. Commento al decreto conciliare sull’ecumenismo, Edizioni Messaggero 1992, Padova; Giovanni Paolo II, Ut unum sint, EV 14/2667-2884; Fede e Costituzione, Un tesoro in vasi d’argilla. Strumento per una riflessione ecumenica sull’ermeneutica, Il Regno-documenti, 2000/3, pp. 117-126; Vetrali T., “La spiritualità come campo per un ecumenismo reale e possibile”, in Dall’amicizia al dialogo, Società Biblica Britannica & Forestiera 2004, Roma, pp. 253-277.

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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