Ecumene

Sabato, 17 Aprile 2010 10:43

Dialogo ecumenico (Andrea Pacini)

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È noto che la questione del rapporto tra sinodalità e primato come modalità di esercizio dell'autorità nella Chiesa a livello universale rappresenta il nucleo teologico fondamentale di dissenso tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa.

Dialogo ecumenico

di Andrea Pacini

 

All'inizio dell'ottobre 2007 si è tenuta a Ravenna la decima sessione plenaria della Commissione internazionale di dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e l'insieme delle Chiese ortodosse, che ha avuto come tema di riflessione il rapporto tra autorità e sinodalità nella Chiesa. L'importanza dell'argomento, nel dialogo ecumenico tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, è tale che merita delineare in modo sintetico alcune acquisizioni presentate nel documento finale di lavoro. Il compito della Commissione mista è stato infatti di portare a compimento la stesura del documento di lavoro intitolato Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della struttura sacramentale della Chiesa. Conciliarità e autorità, il cui schema iniziale era stato preparato dal comitato di coordinamento già nel 1990 a Mosca.

Dopo aver trattato in termini generali dell'autorità e della sinodalità nella Chiesa, il documento affronta il tema distinguendo tre livelli specifici: quello locale, regionale e universale. I due primi livelli erano già stati discussi nel 2006 nella riunione di Belgrado, mentre a Ravenna è stato affrontato il tema delicato, ma decisivo, della sinodalità e del primato a livello universale. È noto che la questione del rapporto tra sinodalità e primato come modalità di esercizio dell'autorità nella Chiesa a livello universale rappresenta il nucleo teologico fondamentale di dissenso tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa. È dunque importante identificare quali convergenze raggiunga il documento in proposito.

Dal documento emerge che a livello di Chiesa locale sembra esistere un parallelismo praticamente perfetto tra Oriente e Occidente. Le differenze invece emergono in modo più evidente a livello regionale, dove l'esercizio della sinodalità (tramite l'istituzione dei patriarcati e delle Chiese autonome) è assai più sviluppato nelle Chiese ortodosse, rispetto a quanto avviene nella Chiesa cattolica. È interessante notare che il documento al paragrafo 29 valorizza l'istituzione delle conferenze episcopali, definendole nuove configurazioni nell'esercizio della comunione tra le Chiese locali, e ponendole quasi in parallelismo con la creazione dei nuovi patriarcati nell'Oriente ortodosso.

Non ci si può tuttavia nascondere che conferenze episcopali cattoliche e nuovi patriarcati ortodossi sono entità ecclesiali assai diverse, sia per statuto ecclesiologico, sia per funzionamento, sia per l'autorità che esercitano. A questo proposito un esperto come padre Franz Bowen, membro della delegazione cattolica della Commissione mista, si chiede se menzionarli insieme non potrebbe suscitare una riflessione ulteriore sulla natura e il significato delle conferenze episcopali.

In ambito ortodosso rimane il fatto un po' paradossale per cui allo sviluppo della sinodalità sul piano regionale, non corrisponde un analogo sviluppo sul piano universale, che è invece assai presente nella Chiesa cattolica (tramite i Concili ecumenici e i Sinodi dei vescovi). Da questo punto di vista il riconoscimento della difficoltà delle Chiese ortodosse a vivere una dimensione sinodale universale "inter-ortodossa" è un fatto importante, perché si conferma l'assoluta necessità della sinodalità universale perché possa realizzarsi una piena ecclesiologia di comunione.

L'affermazione di tale necessità conduce il documento ad affermare l'esigenza di un "primo-protos", che sia garante efficace della comunione ecclesiale universale, ruolo che è svolto a livello locale dal vescovo, e a livello regionale dal patriarca. Il documento riconosce che il ruolo di "primo" a livello universale è proprio del vescovo di Roma secondo l'ordine canonico dei patriarchi nella Chiesa antica. Questo riconoscimento potrebbe essere considerato come il risultato più importante del documento di Ravenna, anche se occorre contestualizzarlo all'interno delle varie precisazioni da cui è accompagnato. Tra queste si deve evidenziare che il documento afferma che primato e sinodalità sono interdipendenti: affermare che la sinodalità deve essere vista sempre nel contesto del primato interpella in primo luogo gli ortodossi, soprattutto a livello universale, perché le Chiese ortodosse vivono una effettiva carenza a questo riguardo.

Affermare però che anche il primato deve essere sempre visto nel contesto della sinodalità interroga i cattolici soprattutto a livello universale, in rapporto al primato del vescovo di Roma. Bisogna notare che il vescovo di Roma viene riconosciuto dal documento come "primo-protos" tra i patriarchi e tra i vescovi delle sedi principali, ma non si menziona mai la giurisdizione diretta universale del Papa su tutte le Chiese locali. L'ecclesiologia cattolica ha infatti elaborato una comprensione del primato del Papa, per cui il primato petrino è "interno" e costitutivo della Chiesa locale: questo fonda a giurisdizione universale diretta del vescovo di Roma. È questo un punto su cui le distanze tra ecclesiologia cattolica e ortodossa rimangono grandi e che dovrà essere affrontato nel proseguimento dei lavori. In effetti il lavoro futuro della Commissione mista verterà proprio sul ruolo del vescovo di Roma all'interno della comunione di tutte le Chiese, ovvero quale debba essere la funzione specifica del vescovo di Roma in una ecclesiologia di comunione alla luce di quanto detto sul rapporto tra autorità e sinodalità. Si può quindi dire che il dialogo teologico ufficiale è giunto al suo momento "critico" proprio perché è giunto ad affrontare il significato, il ruolo e le modalità di esercizio del primato petrino nella Chiesa: si tratta della questione cruciale per ristabilire la piena comunione tra le Chiese ortodosse e la Chiesa cattolica.

Non si può tuttavia tacere che la Chiesa russa, che ha interrotto subito la partecipazione ai lavori di Ravenna per la presenza di delegati della Chiesa ortodossa di Estonia, ha espresso a più riprese la sua presa di distanza dal documento di Ravenna, la cui stesura è stata effettuata senza la sua partecipazione. Tale presa di distanza ha avuto il risultato positivo di istituire una Commissione interna al patriarcato di Mosca per studiare la questione del primato nella Chiesa universale, e si può supporre che i lavori di tale commissione siano finalizzati a dare un contributo al proseguimento del dialogo all'interno della Commissione mista che tratterà appunto di tale tema nei prossimi incontri. È però anche importante notare che il defunto Patriarca Alessio II all'inizio del 2008 ha portato l'attenzione su un punto del documento che è definito inaccettabile per la Chiesa russa: è il passaggio del paragrafo 39 in cui si dice che anche dopo lo scisma del 1054 le due Chiese hanno continuato a tenere dei concili ogni volta che si verificavano delle crisi serie, e che tali concili «riunivano i vescovi delle Chiese locali in comunione con la sede di Roma, o, benché compresa in modo diverso, con la sede di Costantinopoli».

La Chiesa russa rifiuta questo passaggio, che lascerebbe intendere l'esistenza di due "centri" eguali nel mondo cristiano, Roma e Costantinopoli, mentre il ruolo del patriarca di Costantinopoli in ambito ortodosso è ben diverso dal ruolo del Papa nella Chiesa cattolica. Alessio II afferma che con tale passaggio il documento sembra suggerire un nuovo modello ecclesiale – che si potrebbe definire diarchico o bipolare - su cui la Chiesa ortodossa russa dissente totalmente. Questo dimostra come la riflessione ecumenica teologica sul "primato" nella Chiesa è resa complessa dall'esistenza non solo di posizioni teologiche almeno in parte differenziate in seno alle due confessioni – ortodossa e cattolica - ma è anche influenzata dalle concrete tensioni giurisdizionali tra i vari patriarcati del mondo ortodosso, in cui il rapporto conflittuale tra Mosca e Costantinopoli svolge un ruolo rilevante che non potrà non influenzare ulteriormente il dialogo.

 

(da Vita Pastorale, n. 4, 2009)

Letto 2516 volte Ultima modifica il Giovedì, 20 Maggio 2010 14:59
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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