Testimonianza I Le Piccole sorelle di Gesù nel Maghreb
Incontro all'Islam
di Fabrizio Mastrofini
La fiducia verso l’altro apre ogni porta. E’ l’esperienza vissuta nel quotidiano con i musulmani. In uno stile di amicizia.
Il dialogo che parte dagli aspetti quotidiani, dal lavoro, dal vivere fianco a fianco, condividendo spazi e problemi della vita di tutti i giorni. È la caratteristica del dialogo interreligioso attuato dalle Piccole sorelle di Gesù, che si ispirano alla spiritualità di Charles de Foucauld, nate nel 1939 in Algeria a Touggourt, dove piccola sorella Magdeleine Hutin ha dato vita alla prima comunità. Sono oggi presenti in 67 nazioni e contano 1.250 religiose. In Italia sono una quarantina e vivono in piccole comunità di 3 o 4 persone a Milano, Torino, Chiusi, Bologna (dove vivono con gli zingari), Roma (una comunità lavora al Luna Park, ma risiede in un appartamento), Assisi, Napoli e Vittoria. A marzo, nel contesto del ciclo di incontri «Storia, storie, luoghi e volti nelle diverse esperienze d’incontro tra musulmani e cristiani», promosso a Roma, dal Centro interconfessionale per la pace (Cipax), tre di loro hanno parlato dell’esperienza che conducono, sia nei Paesi musulmani sia a Milano.
Nella metropoli lombarda sono presenti dal 1952 e fino agli anni Settanta hanno abitato nelle case minime di via Zama. Oggi vivono in un appartamentino di fronte alla chiesa di San Galdino, sempre in zona Forlanini. Suor Fiorella, responsabile della piccola comunità di quattro persone, ha spiegato che «la gente oggi ha bisogno di essere ascoltata, di avere un luogo dove dire liberamente quello che pensa e vive». Da una decina d’anni nel quartiere si assiste a un progressivo insediamento di stranieri: marocchini, egiziani, pakistani, singalesi. Oggi almeno la metà degli immigrati sono di origine islamica. «A motivo del nostro legame con l’islam, già vissuto da fratel Charles in Algeria, ora noi cerchiamo di essere attente in particolare ai musulmani, di fare conoscenza con loro e di entrare in amicizia con le nuove famiglie. Pur conservando le vecchie amicizie, come comunità abbiamo deciso di avere una cura privilegiata per gli stranieri». E nell’approccio «partiamo dagli aspetti più semplici, cominciando a salutare in strada, oppure sull’autobus. Così prende avvio un percorso di conoscenza, che porta alla confidenza e anche all’amicizia. Qualcuno ci parla spontaneamente del cammino spirituale che compie, mettendolo a confronto con il cristianesimo. Oppure in altri casi si affronta il tema della pace, ma sempre incontrandoci come persone, per aiutarci, per rispettarci».
Attraverso il contatto quotidiano, sottolinea suor Fiorella, emerge un’idea che per le Piccole sorelle di Gesù in questi anni è diventata un filo conduttore della loro azione: riconoscere la fede dell’altro, senza volerlo convertire, entrare nel progetto di Dio che è più vasto di quello delle singole religioni. E spiega ancora il «segreto» di una presenza che sa farsi accogliere e accettare: mettersi a disposizione. «Ad esempio per i bambini, quando hanno bisogno di aiuto per i compiti, dare un passaggio in macchina o riceverlo volentieri, fare la spesa insieme, aprirsi alle feste religiose e condividere i momenti difficili, le malattie, le perdite, tutte le occasioni per vivere insieme».
Un’esperienza simile è stata riportata dalle altre religiose presenti all’incontro: suor Odile Marie, oggi in Medio Oriente, ha sottolineato proprio quanto nella cultura orientale sia importante l’esperienza di accoglienza dell’altro; le fraternità, dunque, intendono riproporre l’idea di un modo di vivere insieme capace di rendere le suore vicine a tutte le persone che incontrano sul loro cammino. Come farlo? Di nuovo è l’esperienza di vita che parla, questa volta di suor Maria Cecilia, di origine libanese, otto anni trascorsi nel sud della Tunisia, nel piccolo villaggio di Oudref, dove le religiose hanno imparato la tessitura - attività prevalente - e dove Maria Cecilia ha lavorato per diverso tempo nella lavanderia di un ospedale di montagna. «Ho capito che la fiducia verso l’altro apriva ogni porta. Non avevano mai visto delle suore prima di noi, se non nelle telenovelas latinoamericane, che arrivano anche lì. Così all’inizio ci siamo sentite osservate, per il senso di novità che portavamo e anche per la difficoltà a comprendere cosa ci facéssero tre donne straniere arrivate fin là per vivere insieme e per lavorare. Hanno capito che non avevamo niente da nascondere, che la nostra presenza era per l’incontro con gli altri, e così si sono create relazioni di amicizia».
Relazioni espresse in piccoli gesti significativi, doni lasciati sulla porta della casa delle suore, riconosciute da tutti come donne di preghiera. A proposito di questa forma di dialogo interreligioso e dell’impegno delle Piccole sorelle, l’arcivescovo di Algeri, mons. Henri Tessier, ha scritto qualche tempo fa che «le case d’accoglienza per anziani delle Piccole sorelle dei poveri sono sostenute finanziariamente quasi solo dalle famiglie musulmane più agiate. La stessa collaborazione avviene nelle attività in favore degli handicappati. La relazione islamo-cristiana, dall’essere uno scambio astratto di idee, diventa invece luogo di un impegno comune per l’uomo».
Delle loro storie di vita, le suore preferiscono mettere in ombra gli aspetti problematici o negativi, rilevando che l’unica risposta possibile nel dialogo interreligioso che si compie nei Paesi islamici è data dalla capacità di incontro personale.
E il cammino più lungo da compiere, l’unico però destinato a portare risultati duraturi e soprattutto a far cadere le barriere, come ribadisce anche un recente volume, Francesca De Lellis e intitolato Magdeleine di Gesù e le Piccole sorelle nel mondo dell’islam. Il volume (Emi, Bologna 2006, pp. 224) ricostruisce da vicino l’eccezionale biografia di piccola sorella Magdeleine, meglio conosciuta come Magdeleine di Gesù. La sua è una storia di grande attualità in un momento in cui il pluralismo religioso sembra l’orizzonte inevitabile di ogni sentiero di fede. L’autrice sottolinea come il modello adottato nel dialogo islamo-cristiano dalla fondatrice della Fraternità delle Piccole sorelle di Gesù sia quello del dialogo della vita, che smonta i pregiudizi e apre alla comprensione. Suor Maria Cecilia fa notare che nelle situazioni di conflitto, come in Libano, le difficoltà sono senza dubbio maggiori rispetto alle incomprensioni o ai pregiudizi che possono verificarsi altrove. Niente però che non possa venire risolto dalla preghiera, dalla presenza pacata, dalla testimonianza silenziosa... Lo ha sottolineato anche Luigi Sandri, giornalista, coordinatore dell’incontro del Cipax: «La vocazione delle suore di vivere il Vangelo in mezzo all’islam si rivela sempre di più come una scelta felice di un modo di invocare Dio».
E dal canto suo Gianni Novelli, responsabile dello stesso Cipax, ribadisce l’importanza di diffondere le testimonianze di coloro che giorno dopo giorno vivono all’interno del mondo islamico: «L’Occidente ha i suoi pregiudizi e vede l’islam attraverso gli stereotipi della politica e della divisione del mondo. In realtà il mondo non è diviso come vogliono far apparire gli specialisti del conflitto delle civiltà». Per questo le testimonianze risultano importanti: per evidenziare che è possibile vivere insieme e comprendersi.
La storia «lo, a lezione»
Nadjia Kebour è algerina; dopo la laurea in filosofia ad Algeri su sant’Agostino, oggi sta conseguendo un dottorato a Roma. Ha conosciuto il cristianesimo in Algeria, attraverso il contatto diretto con le Piccole sorelle di Gesù. «Mi sono resa conto - racconta - che abbiamo tanti pregiudizi nei confronti delle altre religioni, verso le quali esiste un atteggiamento di condanna. L’esperienza con le suore mi ha fatto vedere un altro aspetto, nascosto, della religione cristiana. Le suore mi hanno aperto il loro cuore, e così ho potuto sperimentare la loro prassi di tolleranza e apertura al dialogo, al confronto, alla realtà delle persone».
Così, prosegue Nadjia, «abbiamo anche festeggiato insieme le diverse feste delle nostre tradizioni: Natale, Pasqua, il Ramadan e le altre, per poterci conoscere e dunque comprendere meglio, scoprendo quei valori della carità e della tolleranza che prima credevo esistessero soltanto nella mia religione. Un tempo non pensavo che potesse esistere il dialogo interreligioso; in seguito ho compreso che si tratta di un cammino verso la pace e per la prima volta ho sperimentato un’esperienza non solo di apertura ma anche di comprensione verso l’altro, per arrivare a una forma di liberazione dall’egoismo che ci porta a pensare solo a noi stessi e alla nostra religione. Diffondere questo cammino porta, come effetto, a liberarci dall’orgoglio per cercare la verità di Dio».
(f.m.)
(da Mondo e Missione, maggio 2007)