Ecumene

Domenica, 01 Agosto 2004 19:33

Integralismo islamico?"No, grazie". Parola di imam

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A Borama, in Somaliland, i leader religiosi musulmani condannano fanatismo e intolleranza. "Il fondamentalismo non appartiene alla tradizione somala", dicono quasi unanimemente. E si dichiarano aperti ad accogliere chiunque venga a portare aiuti, cristiani compresi. L'integralismo religioso è dettato da opportunismo e interesse. Anche se non mancano casi di intransigenza e ostilità.

Ha un portamento nobile e austero sheekh Abdirahman Elmi Hussein, degno di un rispettato leader musulmano quale è. In testa un berretto candido, come il manto che porta sulla spalle; attorno ai fianchi il classico tessuto colorato che gli uomini usano indossare da queste parti. E in mano l'immancabile rosario, che sgrana anche mentre risponde alle domande. E’ conosciuto e stimato in tutta la regione di Borama, sheekh Abdirahman, ed anche oltre confine, in Etiopia, dove vive una delle sue due mogli. Predica e insegna, forma i giovani sheekh, ma si impegna anche nella lotta contro le mutilazioni genitali femminili e l'Aids. Non c'è bisogno di portare il velo per incontrarlo; sheekh Abdirabman appartiene a quella categoria di religiosi moderati che non è difficile trovare in una regione come questa, che pure è tacciata di essere una delle culle del fondamentalismo e dell'integralismo islamico. Certo, ogni tanto si vedono in giro donne completamente velate di nero. Ma sono casi rari. La gente dice che i loro mariti ricevono sussidi dai Paesi arabi per costringerle a vestirsi così e magari per tenerle chiuse in casa.

"Noi predichiamo la moderazione - afferma sheekh Abdirahman - anche nei costumi. Lo chiediamo alle donne. Ma chiediamo anche gli uomini di prendersi cura adeguatamente di loro e dei loro bambini".

E la sharia, la legge coranica? "C'è una corte presieduta dagli sheekh, dove viene applicata solo nei casi di divorzio, eredità, proprietà...". E il fondamentalismo? "Sono assolutamente contro ogni fondamentalismo e come me la maggior parte dei leader religiosi di questa regione. Siamo quasi tutti moderati. Ogni giorno in moschea predico la tolleranza e l'uguaglianza. Sono convinto che gli uomini siano tutti uguali e chiunque venga per aiutare il nostro popolo, anche se cristiano, è assolutamente il benvenuto".

Eppure non sono mancati i casi di intolleranza. Monsignor Giorgio Bertin racconta dell'ultima volta che si è recato ad Hargheisa, la capitale del Somaliland, dove c'è ancora una piccola chiesa. Appena arrivato è stato vittima di una sassaiola durata più di mezz'ora. A Boroma, invece, a farne le spese è stata la stessa Annalena Tonelli, che pure è conosciuta, apprezzata e inserita nella comunità. Questo non ha impedito che un imam predicasse contro di lei dalla moschea, incitando la gente ad uccidere l'infedele, rea oltretutto di portare la tubercolosi e l'Aids a Borama e di nascondere i nemici in ospedale. "Un giorno l'ho incontrato - ricorda Annalena - e gli ho detto che lui mi aveva già uccisa con le sue parole, mettendomi la popolazione contro. Ha capito che non ero lì per fare proselitismo, che volevo solo fare del bene alla sua gente e oggi, insieme ad altri leader musulmani, è diventato un mio sostenitore. Ma me la sono vista brutta. Il suo fondamentalismo, come quello di altre persone, non ha radici religiose profonde, è solo frutto dell'ignoranza. Che talvolta, però, può anche uccidere". "Se qualcuno ti ferisce - le fa eco sheekh Abdirahman - puoi guarire; ma se qualcuno dice una parola cattiva contro di te, questa lascia il segno a lungo".

E’ dispiaciuto per quanto è successo, così come la maggior parte dei leader religiosi locali, che si erano schierati a difesa di Annalena. La quale resta convinta che "non c'è vero fondamentalismo. Né qui, né nel resto della Somalia. La questione della religione è strumentale. Spesso è legata a interessi o giochi di potere, a ragioni di opportunità. Non credo al fondamentalismo dei somali. Almeno della gente comune".

E’ d'accordo anche Sheekh Mohamed Said Sawer, imam della moschea di Borama. Da due anni collabora con Annalena nella lotta contro le mutilazioni genitali femminili e a lui si devono molti dei progressi fatti negli ultimi tempi. La sua parola è autorevole e rispettata, la sua apertura di vedute un fendente contro chiusure e pregiudizi. "Non c'è fondamentalismo qui - afferma con convinzione -, non appartiene alla tradizione di questa regione. Io predico che siamo tutti esseri umani, uguali gli uni agli altri. E tuttavia non nego che talvolta arriva anche qui l'influenza dei Paesi arabi, del Pakistan o del Sudan".

Influenza che significa spesso sostanziosi contributi finanziari. Questo spiega, ad esempio, come mai tutte le moschee, anche le più sperdute in mezzo a questa campagna brulla e rocciosa, siano in perfetto stato.

Interesse economico - ma anche politico e strategico - che diventa fanatismo religioso? Questo sì, sono in molti pronti ad ammetterlo. Che poi tutti i somali siano fondamentalisti, invece, è da escludere. Anzi, in passato godevano fama di musulmani poco ferventi. Loro, innanzitutto, si riconoscono nella natura di nomadi, nella loro cultura e tradizioni, con la loro visione del mondo e un certo sentimento di superiorità rispetto a qualsiasi altra razza e cultura. Uomini liberi, che non accettano nessun tipo di sottomissione, neppure alle regole troppo rigide della religione o della sharia.

In passato, e per certi versi anche oggi, c'è chi ha tentato di ricostruire l'unità nazionale somala nel nome di Allah, mentre alcuni vedono nella Somalia la punta di lancia per una più vasta penetrazione dell'islam nell'Africa orientale. A Mogadiscio, in particolare, fioriscono le scuole coraniche e i cosiddetti "tribunali islamici", associazioni finanziate da ricchi commercianti, che diffondono la sharia, imponendo leggi arcaiche e disumane; molti sono dotati di una propria milizia di giovani armati e indottrinati. Anche i gruppi fondamentalisti hanno sempre più presa sulla gente; questo perché finanziano scuole, refettori, associazioni caritative, reinvestendo fondi che spesso arrivano dall'estero, da Arabia Saudita, Emirati, e probabilmente anche da Sudan, Kuwait e Malaysia.

Lo stesso governo di transizione di Mogadiscio si sarebbe appoggiato agli estremisti islamici per combattere i "signori della guerra" e avrebbe ricevuto finanziamenti dall'Arabia Saudita per 15 milioni di dollari. Avrebbe, inoltre, partecipato ai business della compagnia finanziaria e di telecomunicazioni Al-Barakaat, fatta chiudere dagli americani per sospetti legami con il terrorismo internazionale. Peggio ancora, si sarebbe alleato nella regione del Basso Giura con Al Ittihad al Islamya, il più militante gruppo islamico del Paese, finito nell'elenco delle undici organizzazioni che avrebbero collegamenti con la rete di Bin Laden.

A Lugh, al confine con l'Etiopia, si ricordano ancora di quando il leader di Al Qa'ida venne nella regione, probabilmente dopo essere stato cacciato dal Sudan nel 1996. Ma all'epoca l'organizzazione estremista somala poteva vantare molti militanti e campi di addestramento con mujahidin pakistani, egiziani, sauditi e afgani; oggi l'organizzazione, che peraltro non ha mai avuto un forte radicamento tra la popolazione, è stata molto ridimensionata, soprattutto in seguito alle incursioni armate dell'Etiopia, che non si è fatta troppi scrupoli a varcare la frontiera con elicotteri e blindati. Gli ultimi bastioni di Al Ittihad al Islamya sarebbero rimasti in alcune cittadine al confine con il Kenya, come Ras Kamboni o El-Uach o, come qualcuno sostiene, nel Puntland, tra i rilievi montuosi a ridosso di Bosaso.

E infatti gli etiopi sono venuti a ficcare il naso anche qui. Molto pesantemente. Ci sarebbero loro dietro il ritorno al potere, lo scorso maggio, di Abdullai Yusuf, sconfitto nelle elezioni del 2001 da Jama Ali Jama.

Quest'ultimo, costretto a rifugiarsi a Gibuti, è stato accusato dal governo di Addis Abeba di essere un prestanome dei fondamentalisti. Gli "amici" americani hanno apertamente sostenuto questa politica di ingerenza, che gli etiopi continuano a perseguire, realizzando al contempo due obiettivi storici: destabilizzare la Somalia ed esercitare un ruolo egemone nella regione del Corno d'Africa.

Gli stessi americani, pur scottati dall'operazione Restare hope, continuano a guardare a questa terra con grande interesse, non solo in chiave anti-terroristica, ma anche per ragioni politiche e strategiche. Già in passato avevano messo gli occhi sul porto di Berbera - sviluppato dai sovietici negli anni Settanta - uno dei migliori e più profondi dell'Oceano indiano, e avevano costruito all'aeroporto una pista in grado di far atterrare gli Shuttle. Inoltre, si vocifera che le compagnie petrolifere americane abbiamo già messo gli occhi sulle riserve di petrolio somale.

E il fondamentalismo? Un pretesto, in molti casi. Oggi, come in passato, quello dell'estremismo islamico è una questione ambigua e controversa in Somalia. Quasi sempre una questione di opportunismo.

(da Mondo e missione, novembre 2002)
Letto 2236 volte Ultima modifica il Domenica, 26 Giugno 2011 12:31
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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