Dal 20 al 23 giugno il card. Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, è stato a Mosca - informava una nota vaticana - "per continuare il dialogo avviato [con la Chiesa russa] in occasione della solenne inaugurazione del pontificato di Benedetto XVI". Il riferimento è ai colloqui che il porporato ebbe con il metropolita Kirill di Smolensk, "ministro degli esteri" del patriarcato di Mosca, venuto a Roma per partecipare, il 24 aprile, alla "inaugurazione" del nuovo pontificato. L'indomani il metropolita ebbe un breve - ma intenso - colloquio anche con papa Ratzinger.
Il 23 giugno, ricevendo in udienza i partecipanti alla Riunione delle opere in aiuto alle Chiese orientali (Roaco) - tra essi i cardinali Ignace Moussa Daoud, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, e Lubomyr Husar, arcivescovo maggiore di Leopoli degli ucraini di rito greco - il papa affermò: "Vorrei ringraziarvi per quanto voi state facendo a favore di fratelli in difficoltà e in particolare per gli sforzi che affrontate al fine di rendere tangibile la carità che lega i cristiani di tradizione latina e quelli di tradizione orientate. Intensificare tali vincoli è rendere un servizio preziosissimo alla Chiesa universale. Continuate, pertanto, in questo ammirevole impegno ed anzi allargate ancora di più le prospettive della vostra azione. In questi giorni avete esaminato particolarmente la situazione della Chiesa greco-cattolica in Ucraina, il cui sviluppo continuo, dopo il triste inverno del regime comunista, è motivo di gioia e di speranza, anche perché l'antica e nobile eredità spirituale, di cui la comunità greco-cattolica è custode, costituisce un vero tesoro per il progresso dell'intero popolo ucraino. Vi dico pertanto: sostenete il suo cammino ecclesiale e favorite tutto ciò che giova alla riconciliazione e alla fraternità tra i cristiani dell'amata Ucraina".
La questione dei greco-cattolici ucraini (chiamati "uniati" dagli ortodossi) è uno dei contenziosi più spinosi che ostacolano i rapporti di Roma con Mosca, e anche con l'intera Ortodossia. Ma un qualche avvio di soluzione del problema - o un assopimento, almeno, delle tensioni esistenti - è una delle condizioni da soddisfare per rendere possibile quello che sembra ormai essere uno degli obiettivi a medio termine di Benedetto XVI: e, cioè, un suo viaggio a Mosca (pellegrinaggio sempre sperato, ma non realizzato da papa Wojtyla) o, almeno, un "vertice", sia pure non in Russia, con il patriarca Aleksij II. Bari, che custodisce le reliquie di san Nicola, molto venerato anche dagli ortodossi russi, è in prima fila come città candidata ad ospitare l'atteso incontro, se questo non potesse svolgersi nè a Roma nè a Mosca.
Il 29 giugno, il papa ha solennemente celebrato la festa dei santi Pietro e Paolo, presente una delegazione del patriarcato di Costantinopoli (da anni, ormai, così avviene, per onorare la festa della Chiesa "sorella"; Roma restituisce la gentilezza inviando una delegazione al Fanar [residenza del patriarca, ad Istanbul] il 30 novembre, per la festa di sant'Andrea patrono della Chiesa costantinopolitana). Nel suo discorso Ratzinger ha rilevato che la comunione tra i vescovi (definiti "angeli" dall'Apocalisse) ha nel "ministero petrino la sua garanzia visibile". Infatti "con la unità della Chiesa, così come con la apostolicità, è collegato il servizio petrino, che riunisce visibilmente la Chiesa di tutte le parti e di tutti i tempi, difendendo in tal modo ciascuno di noi dallo scivolare in false autonomie, che troppo facilmente si trasformano in interne particolarizzazioni della Chiesa e possono compromettere così la sua indipendenza interna . E quindi, salutando la delegazione, guidata dal metropolita di Pergamo Ioannis (Zizioulas), ha aggiunto: "Anche se ancora non concordiamo nella questione dell’interpretazione e della portata del ministero petrino, stiamo però insieme nella successione apostolica, siamo profondamente uniti gli uni con gli altri per il ministero vescovile e per il sacramento del sacerdozio e confessiamo insieme la fede degli Apostoli come ci è donata nella Scrittura e come è interpretata nei grandi Concili".
Anche se, di fatto, il pontefice ha parlato di "collegialità episcopale", egli non ha però usato questa parola-chiave per dire se egli intenda attuare quella modifica dell'esercizio del ministero petrino - cioè un vescovo di Roma centro di una concreta ed effettiva collegialità episcopale, dei vescovi cattolici intanto - prospettata da Giovanni Paolo Il nell'enciclica Ut unum sint (1995) ma mai attuata.
Il 30 giugno papa Benedetto, ricevendo in udienza la delegazione costantinopolitana, ha ricordato i numerosi incontri che, dal 1964, si sono susseguiti tra i papi e i patriarchi di Costantinopoli; ed auspicato che al più presto possano riprendere i lavori della Commissione mista internazionale cattolica-ortodossa (che, per parte ortodossa, è presieduta dal patriarcato ecumenico) all'opera dal 1980. Infatti, dopo vari altri incontri, nel 2000 la Commissione a Boston era andata in crisi, a causa soprattutto della impossibilità di trovare un accordo sul "chi è" ecclesiale dei cattolici di rito orientale e, sullo sfondo, sui ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa universale.
"La ricerca teologica - ha notato il pontefice - deve affrontare questioni complesse ed individuare soluzioni non riduttive... L'unità che noi cerchiamo non è sé assorbimento né fusione, ma rispetto della multiforme pienezza della Chiesa, la quale, conformemente alla volontà del suo fondatore Gesù Cristo, deve essere sempre una, santa, cattolica ed apostolica".
(da Adista, 16 luglio 2005, p. 5-6)