Ecumene

Martedì, 08 Novembre 2005 00:11

In cammino verso l'unità (Ordine dei Frati Minori)

Vota questo articolo
(0 Voti)

In cammino verso l'unità
(Ordine dei Frati Minori)

L'ecumenismo, e il movimento che ne attualizza le esigenze, è frutto di un lungo processo di maturazione, favorito da nuove situazioni sociali, culturali ed ecclesiali, verificatesi soprattutto a partire dal XIX secolo. Questo processo coinvolse inizialmente le chiese nate dalla Riforma protestante e progressivamente il mondo ortodosso e quello cattolico.


1.
Il mondo protestante

Diversi fattori, tra il XVIII e il XIX secolo, vennero a provocare in modo nuovo il variegato mondo della Riforma. L’illuminismo e il romanticismo, con il loro 'relativismo' dogmatico, preparano un terreno favorevole all'affermarsi dell'idea di libertà e di tolleranza religiosa. Un espansionismo coloniale dell'occidente permise a varie chiese di allargare il loro raggio di azione e di percepire in modo nuovo il problema dell'evangelizzazione. Il miglioramento delle comunicazioni rese possibile un più rapido contatto fra le chiese e un maggiore scambio di idee e di esperienze. Lo spostamento di masse dalle campagne verso le città o verso nuove nazioni spinsero i cristiani a porsi il problema dell'identità confessionale e della convivenza reciproca. I grandi cambiamenti politici in atto portarono a sviluppare una più chiara coscienza sociale e una maggiore attenzione ai problemi sociali. Non vanno dimenticate, infine, le varie correnti di 'risveglio' che posero l'accento sulla rinascita operata dall'adesione di fede a Cristo e sulla necessità di una incisiva testimonianza di vita cristiana.

Tutti questi avvenimenti si ripercuotono inevitabilmente nella vita delle chiese e danno origine a iniziative che in modo diversificato preparano un terreno favorevole al formarsi di una sensibilità attenta al problema dell'unità delle chiese. Infatti, in questo arco di tempo si assiste al sorgere di numerose Federazioni di Società missionarie, che favoriranno il coordinamento e la collaborazione fra missionari di confessioni diverse. Si formeranno anche varie Alleanze mondiali di chiese, allo scopo di realizzare una maggiore unità fra le chiese di una stessa confessione e una loro collaborazione sul piano internazionale. Si darà vita a nuove forme associative giovanili, come anche alla Federazione mondiale degli studenti cristiani, che voleva essere luogo di incontro e di reciproco arricchimento, attraverso il confronto, la condivisione delle ricchezze delle rispettive tradizioni confessionali, l'impegno comune a una vita cristiana più impegnata. Si formeranno inoltre gruppi e associazioni interconfessionali di cristiani che in nome della comune fede in Cristo si interessano ai problemi sociali dell'epoca. Similmente, si assisterà alla nascita di vari movimenti di preghiera che si propongono come loro fine specifico quello di invocare da Dio l'unità di tutti i cristiani. Grazie a queste iniziative, cristiani di confessioni diverse si danno degli strumenti per un maggiore contatto, per una conoscenza reciproca, per una qualche collaborazione in settori di azione comune.

In questo variegato contesto, spesso caratterizzato dalla convinzione che il confessionalismo, e dunque l'appartenenza ecclesiale, è una realtà Superata o da superare in nome della comune fede in Cristo, emergono quelle spinte che porteranno dapprima alla formazione del Consiglio Missionario Internazionale e successivamente dei movimenti di Fede e Costituzione e di Vita e Azione. Tappa fondamentale in questo cammino è la Conferenza Missionaria Mondiale di Edimburgo (1910). Infatti, durante questa conferenza di delegati di Società missionarie si perviene a una chiara presa di coscienza che le divisioni ecclesiali contraddicono il volere di Cristo e sono di ostacolo all'annuncio del Vangelo. Conseguentemente, l'ideale dell'unità sarà un tema ricorrente nei lavori dell'assemblea e si vedrà in essa la meta alla quale dovrebbe tendere il lavoro dei missionari. Questo intento rimarrà presente anche nel successivo lavoro del Consiglio Missionario (1921), caratterizzato dalla volontà di coordinare le attività delle varie Società missionarie, di promuovere la riflessione sui problemi missionari e di unire i cristiani nell'impegno per la giustizia e la pace. Per cui non è fuori luogo affermare che il moderno movimento ecumenico, almeno per quegli aspetti che sono propri al protestantesimo, affonda le sue radici nel movimento missionario.

Dal 1948 ad oggi tale organismo ha portato avanti, non senza difficoltà, una mole enorme di lavoro sul piano della riflessione e della concreta azione ecumenica. Ad esempio, è riuscito a coinvolgere sempre più le chiese nel suo organismo: dalle 161 chiese che hanno partecipato alla prima assemblea ad Amsterdam, si è arrivati alle 335 presenti all'ultima assemblea mondiale, Harare 1998, un numero in progressivo aumento (la chiesa cattolica non è affiliata al Consiglio Ecumenico, tuttavia è presente alle sue assemblee mediante osservatori ufficiali). Lo stesso Consiglio Missionario, nel 1961, ha aderito al Consiglio Ecumenico delle Chiese. Nel corso degli anni, infatti, si sono resi evidenti tutta una serie di sovrapposizioni e di doppioni fra i due organismi, per cui alla fine si è optato per la fusione, che ha impresso al Consiglio Ecumenico una più chiara attenzione ai problemi dell'evangelizzazione e della missione. Nel 1971, poi, c'è stata l'integrazione del Consigliò mondiale per l'educazione cristiana; cosa, questa, che ha portato a dare nuova vitalità a un settore già esistente nel Consiglio Ecumenico e che si articolava in varie iniziative: dalla formazione teologica, alla educazione religiosa di base, alla più generale formazione culturale umana.

In questi anni, inoltre, il Consiglio Ecumenico si è fatto promotore di diversi progetti che si pongono sui piano socio-politico. Il più famoso di tutti è il 'Programma di lotta contro il razzismo', al quale si affianca l'impegno per il rispetto dei diritti umani e per il diritto alla terra. Al tempo stesso il Consiglio si è preoccupato di promuovere una comprensione dell'economia mondiale più giusta, più solidale e più distributiva. Oltre a questo ha dato vita anche al progetto 'Giustizia, pace e salvaguardia del creato' (cf. Setil 1990), attirando così l'attenzione mondiale su un grave problema che minaccia la nostra società. È dunque evidente che il Consiglio Ecumenico in questi anni ha dato particolare rilevanza ai problemi sociali, economici e politici. Di questi problemi si è fatto portavoce e ha cercato di dare una risposta unitaria a nome di tutte le chiese.

Questo non significa che il Consiglio Ecumenico abbia trascurato del tutto i problemi teologici. É sufficiente prendere in considerazione i rapporti conclusivi delle varie Assemblee generali per rendersi conto che i temi teologici hanno avuto una certa rilevanza, come ad esempio il problema dell'unità che ritorna in tutti i rapporti delle varie Assemblee mondiali. A questo si deve aggiungere tutta la riflessione teologica che Fede e Costituzione ha sviluppato, in quanto dipartimento dottrinale del Consiglio, in particolare nell'ambito dell'unità della chiesa, della comunione nella fede, nei sacramenti, nel ministero e del servizio comune al mondo (in questo organismo la chiesa cattolica è presente a pieno titolo con i suoi delegati ufficiali).

Per quanto riguarda il tema dell'unità, negli anni '60 e '70, la riflessione si è concentrata soprattutto sui 'modelli di unità'. I risultati sono confluiti nella dichiarazione sull'unità dell'Assemblea di Nairobi (1975), dove si definì la chiesa come 'comunità conciliare' (dunque come comunione di chiese locali che vivono e manifestano la loro unità soprattutto mediante strutture conciliari, mediante concili). Recentemente, poi, la riflessione sull'unità ha portato alla formulazione di testi particolarmente significativi quali L’unità della chiesa come koinonia: dono e votazione (1991) e La natura e lo scopo della chiesa (1998).

Per quanto riguarda, invece, il problema della comunione nella fede, la riflessione si è concentrata soprattutto sul credo niceno-costantinopolitano. Su questo testo c'è stato un lavoro di riflessione comune che passando attraverso diverse redazioni, ha condotto alla pubblicazione del documento Confessare una sola fede.

Il terzo filone di riflessione riguarda il problema dei sacramenti e del ministero. In questo contesto è nato un documento che certamente è il più significativo dei documenti prodotti dal dialogo ecumenico multilaterale. E questo sia per il lungo tempo adoperato per l'elaborazione del testo, sia per la quantità di persone e di chiese ripetutamente consultate, sia per l'ampia riflessione di cui è stato oggetto. Si tratta del così detto BEM, cioè Battesimo, Eucaristia, Ministero (1982).

Il quarto filone, infine, riguarda il rapporto fra unità della chiesa e unità del genere umano. L'approfondimento di questa problematica ha portato alla formulazione, dapprima, del documento L'unità del mondo oggi e poi del testo Chiesa e mondo del 1991.

2. Nel mondo ortodosso

Fino alla prima guerra mondiale domina fra gli ortodossi un generale senso di diffidenza verso l'occidente, a causa anche dell'atteggiamento missionario che cattolici e protestanti avevano tenuto nei confronti dei fedeli ortodossi. La svolta decisiva avvenne dopo la prima guerra mondiale. Ne è segno l'accoglienza positiva che i capi delle chiese ortodosse riservarono alla delegazione episcopaliana statunitense, che nel 1919 visitò l'Europa per invitare le chiese a una futura conferenza mondiale a Fede e Costituzione. A questo farà poi seguito anche una lettera del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli destinata a tutte le chiese di Cristo, dovunque esse si trovano (1920). Questa iniziale 'apertura' del mondo ortodosso trova la sua concretizzazione nell'invio di rappresentanti ortodossi alle varie conferenze mondiali di Fede e Costituzione e di Vita e Azione. Tuttavia rimanevano delle perplessità. Molti, infatti, erano persuasi che il 'movimento ecumenico' fosse un'espressione e un mezzo per realizzare le mire espansionistiche e coloniali dei paesi occidentali. Ovviamente, l'obiezione più seria era di carattere dottrinale e si fondava sul fatto che le chiese orientali possiedono la pienezza di verità. Mettersi in dialogo con gli eretici, dunque, sarebbe stato uno sminuire l'autorità della chiesa ortodossa. Gli intenti non erano poi così chiari ed univoci neanche fra i sostenitori dell'apertura ecumenica. Per alcuni, infatti, questo non era altro che un modo per estendere l'influenza dell'ortodossia fra gli occidentali.

Spesso si critica la lentezza dei progressi ecumenici compiuti nell'ambito del Consiglio Ecumenico. Si tratta di una critica che non tiene adeguatamente in considerazione la natura stessa di questo organismo. Il Consiglio Ecumenico, infatti, è 'una fraterna associazione di chiese' che conservano la loro autonomia e il loro diritto di ratifica delle scelte compiute dall'Assemblea. La considerevole varietà di chiese che lo formano, la Molteplicità delle posizioni teologiche ed ecclesiologiche, le diverse sensibilità culturali proprie ai contesti nei quali operano le chiese, necessariamente si ripercuotono nel cammino ecumenico del Consiglio rendendolo lento, variegato, complesso.

In seguito alla seconda guerra mondiale, i rapporti delle chiese ortodosse con il mondo ecumenico della Riforma attraversarono una certa crisi, a causa anche della nuova situazione politica venutasi a creare. Infatti, la creazione del blocco di stati controllati dai comunisti condizionerà significativamente i rapporti tra i cristiani d'oriente e d'occidente. Espressione di queste difficoltà sono le decisioni prese durante la consultazione dei rappresentanti delle chiese autocefale che si tenne a Mosca nel luglio del 1948, in occasione del 500° anniversario della proclamazione dell'autocefalia della chiesa Russa.

Fra l'altro, tale consultazione espresse giudizi molto entici nei confronti del nascente movimento ecumenico. Oltre all'accusa di essere 'uno strumento dell'imperialismo americano' si criticava il Consiglio Ecumenico delle Chiese perché intenderebbe dar vita a una nuova chiesa ecumenica; perché svolgerebbe attività sociali e politiche che non competono alle chiese; perché si farebbe promotore di una radicale sfiducia verso la possibilità di giungere all'unità nella chiesa una santa cattolica e apostolica che è la chiesa ortodossa; perché la base dottrinale, con il suo richiamo unicamente alla fede in Cristo, svuoterebbe di contenuto la fede cristiana, che è trinitaria. In forza di tale giudizio solo gli ortodossi saranno presenti, in qualità di delegati delle loro chiese, alla prima conferenza mondiale di Amsterdam (1948).

Tuttavia le cose erano destinate a cambiare progressivamente. Nel 1952 abbiamo una lettera enciclica del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, dove si parla della partecipazione della chiesa ortodossa al Consiglio Ecumenico delle Chiese come una realtà 'necessaria' in quanto offre la possibilità di affrontare insieme agli altri cristiani i grandi problemi che affliggono l'umanità, come anche la possibilità di far conoscere agli eterodossi il tesoro della fede ortodossa,

Dopo la conferenza di Evanston (1954), alla quale parteciparono una trentina di ortodossi, vennero avviati contatti epistolari e personali fra il Consiglio Ecumenico e il Patriarcato di Mosca. Questo porterà nel 1961 all'ingresso della chiesa russa nel Consiglio Ecumenico, in seguito a tale passo, poi, progressivamente (tra il 1961 e 1965) anche le altre chiese ortodosse aderiranno al Consiglio.

Da allora il contributo che le chiese ortodosse hanno offerto al Consiglio Ecumenico è stato considerevole, sia in termini di persone che hanno collaborato alle varie strutture, sia in termini di riflessione e di stimoli teologici. Va detto però che la presenza degli ortodossi nel Consiglio Ecumenico delle Chiese spesso è stata anche problematica sia per gli uni che per gli altri. Emblematica a questo riguardo la dichiarazione dei delegati ortodossi presentata all'assemblea di Canberra, dove si esprimono chiare preoccupazioni circa la finalità, i mezzi, i contenuti dell'azione ecumenica perseguita dal Consiglio.

Negli anni '90 la tensione crebbe ulteriormente (anche a motivo della nuova situazione politica ed ecclesiale venutasi a creare nell'Est Europa.- caduta del muro di Berlino, libertà di culto riconosciuta anche alle chiese greco-cattoliche, arrivo massiccio di nuove chiese e di sètte, crescita dei nazionalismi, chiese locali in difficoltà ...), portando progressivamente a creare un forte sentimento antioccidentale e antiecumemeo (in questo contesto progressivamente maturerà, anche per tensioni interne, la decisione della chiesa ortodossa di Georgia di ritirare la sua adesione al Consiglio Ecumenico).

Conseguentemente, ad Harare, il tema della partecipazione e della collaborazione delle chiese ortodosse con il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha avuto un peso rilevante. Tagliente l'intervento del capo della delegazione russa, Hilarion Alfeyev: «Dopo tanti anni di impegno ecumenico da parte nostra appare chiaro che la chiesa ortodossa e le chiese di tradizione protestante hanno camminato in direzioni diverse. Gli ortodossi non possono influenzare il programma di lavoro perché sono sempre in minoranza. Non abbiamo mai discusso temi che sono importanti per noi, come la venérazione della vergine Maria, la venerazione delle icone, la venerazione dei santi perché tali temi sono ritenuti divisivi. Ma che dire del linguaggio inclusivo e del sacerdozio delle donne: non sono questi divisivi?... Ci sentiamo sempre meno a casa nostra qui... Gli ortodossi non sono più soddisfatti del programma di lavoro e della struttura del CEC.... Alcuni, in questa sala, dicono: 'Se non siete soddisfatti, andatevene'. Noi non vogliamo andarcene; vogliamo restare, vogliamo continuare il nostro viaggio insieme. Ma vogliamo che il CEC sia radicalmente trasformato, perché possa essere davvero una casa per gli ortodossi nel secolo a venire».

3. Nel mondo cattolico

Di fronte alle iniziative ecumeniche sorte nel mondo della Riforma la gerarchia della chiesa cattolica mantenne un atteggiamento sostanzialmente negativo fino al Vaticano II. Il rifiuto cattolico aveva un chiaro fondamento ecclesiologico; si fondava sulla persuasione che nonostante le divisioni, la chiesa di Cristo è presente m modo esclusivo nella chiesa cattolica romana, fondata ed edificata sull'unico Pietro, dotata di un magistero autorevole perché sia indefettibile il suo credo. Per questa sua unità e per questa sua struttura, la chiesa cattolica romana è la chiesa voluta da Cristo, dalla quale tutte le altre comunità cristiane si sono staccate perdendo il loro carattere ecclesiale.

Fondandosi su tali principi, la chiesa cattolica non poteva sostenere altro ecumenismo che non fosse quello del ritorno alla chiesa lasciata. Dunque le varie iniziative ecumeniche sorte all'interno delle chiese della Riforma, non potevano riguardare direttamente la chiesa cattolica: questa possiede già l'unità che Cristo ha voluto per la sua chiesa. Le varie iniziative ecumeniche, se mai, riguarderanno il mondo della Riforma e dovrebbero mirare a creare una maggiore unità fra queste chiese e a favorire il ritorno alla chiesa cattolica (cf. l'enciclica Mortalium Animos (1928) di Pio XI; l'enciclica Mystici Corporis (1943) di Pio XII; l'Istruzione Ecclesia Catholica (20.12.1949) del S. Ufficio)

All'atteggiamento chiuso e diffidente della gerarchia cattolica corrisponde un interessamento crescente da parte di singoli teologi e di gruppi di fedeli al problema dell'unità e alle iniziative ecumeniche fra i non cattolici. Fra gli anni '20 e '50 la chiesa cattolica è percorsa a livello di base da correnti che in forme diverse si interessano al problema dell'unità e che sensibilizzano il mondo cattolico al problema ecumenico; correnti che privilegiano ora l'aspetto spirituale (cf. Couturier e altri che si interessano alla diffusione della preghiera per l'unità dei cristiani; oppure le abbazie di Chevetogne e di Niederalteich che accanto a una seria produzione teologica, danno un grande risalto all'azione liturgica e alla vita spirituale); ora l'aspetto pastorale (cf. il movimento di Una Sancta Bruderschaft), ora l'aspetto storico e teologico (cf. J. Lortz, Y Congar, H. de Lubac, K. Rahner, M. D. Chenu, P Y Frére...). Un grande contributo alla maturazione della sensibilità ecumenica in ambito cattolico è venuto, infine, da quei movimenti di rinnovamento che precedettero il Concilio: il rinnovamento biblico, patristico, liturgico, teologico ... Tutti questi sviluppi, progressivamente, prepareranno la svolta ecumenica del Vaticano II (cf Unitatis Redintegratio).

Terminato il Concilio, la chiesa cattolica si è realmente impegnata a porre in atto quanto espresso nei vari documenti, non senza difficoltà e tentennamenti. Fra le iniziative postconciliari va ricordato: a) il sorgere a livello di chiese locali di commissioni per l'ecumenismo; b) l'attenzione al problema ecumenico nell'ambito della formazione teologica; c) la diffusione della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani; d) l'istituzione di centri di studio con una chiara finalità ecumenica; e) l'avvio di dialoghi bilaterali con le altre confessioni cristiane sia a livello mondiale che locale.

In questo contesto, in particolare, va ricordata l'attività del Segretariato per l'unità dei cristiani (oggi Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani), il quale ha prodotto diversi documenti di carattere ecumenico, fra i quali occorre ricordare il nuovo direttorio ecumenico (1993). Si tratta di un testo che vuole essere punto di riferimento per tutta l'azione ecumenica della chiesa cattolica. Per cui in esso si offrono chiare indicazioni dottrinali e comportamentali per tutti i fedeli e specialmente per coloro che sono direttamente impegnati nella causa dell'unità, raccogliendo tutte le norme già fissate per applicare e sviluppare il concilio e per adattarle alla realtà attuale.

Anche i pontefici, dopo il Vaticano II, in moltissime occasioni e in diversi modi hanno testimoniato l'impegno della chiesa cattolica per la causa dell'unità. Molti sono i gesti compiuti è le parole dette. Qui ci limitiamo a menzionare due recenti documenti pontifici. Il primo documento da ricordare è l'enciclica Orientale Lumen (2 maggio 1995). Si tratta di una lettera che non presenta, in realtà, novità di rilievo. Tuttavia riveste un ruolo importante per il cammino ecumenico, perché è apparsa in un periodo di particolare difficoltà nei rapporti fra oriente e occidente; difficoltà sorte a causa della concreta situazione determinatasi nei paesi dell'ex blocco comunista, dove l'azione della chiesa cattolica e delle chiese greco-cattoliche è vista come un'intrusione nella vita di chiese ortodosse.

Il secondo testo da ricordare è l'enciclica Ut Unum Sint (25 maggio 1995). Questa enciclica nasce dal desiderio di unità che anima l'impegno pastorale dell'attuale pontefice e vuole essere un invito rivolto a tutta la chiesa cattolica ad operare per l'unità della chiesa. In essa l'impegno ecumenico della chiesa cattolica viene definito 'irreversibile'.

4. dialoghi bilaterali

Il coinvolgimento della chiesa cattolica nel movimento ecumenico si è concretizzato fra l'altro nell'avvio di dialoghi bilaterali con varie confessioni cristiane. La forma bilaterale di dialogo è una novità in ambito ecumenico (il Consiglio Ecumenico delle Chiese privilegia il dialogo multilaterale) e coinvolge un diverso soggetto, cioè le Federazioni/Alleanze di chiese (il Consiglio Ecumenico è invece formato da chiese territoriali).

Il dialogo bilaterale consente ai partners di elaborare un adeguato piano di lavoro, una specifica metodologia; di individuare problematiche specifiche, di precisare con maggiore chiarezza il fine a cui tendere. Per questi suoi aspetti positivi il dialogo bilaterale si è largamente diffuso (vedi dialoghi della Chiesa cattolica con altre confessioni, sia a livello mondiale che locale; ma anche dialoghi fra le stesse confessioni separate da Roma).

Questa fitta rete di dialoghi ha prodotto un enorme numero di testi di convergenza teologica (ovviamente, i documenti prodotti da tali commissioni non hanno valore vincolante per le chiese: sono proposti alla riflessione e alla ricezione delle chiese) nei quali si precisano le posizioni dottrinali reciproche; si determinano convergenze teologiche; si favoriscono migliori relazioni reciproche.

I molti temi affrontati in questi dialoghi si possono riassumere attorno ad alcuni nuclei: a) autorità nella chiesa (la Sacra Scrittura, la Tradizione, le professioni di fede, le decisioni conciliari, il magistero); b) giustificazione; c) ministero ordinato (natura, funzioni, struttura del ministero); d) teologia sacramentaria; nozione di sacramento, eucaristia e battesimo; e) i matrimoni interconfessionali; f) chiesa (un tema che sta diventando sempre più rilevante e centrale nei vari dialoghi).

In questo contesto va ricordato anche il Gruppo Misto di lavoro tra la Chiesa cattolica e il Consiglio Ecumenico delle Chiese, istituito nel 1965. Il gruppo ha prodotto diversi rapporti ufficiali nei quali troviamo un'attenta analisi della situazione ecumenica. Ha promosso anche studi su temi che riteneva di particolare importanza ecumenica: sulla cattolicità e apostolicità, sul proselitismo, sulla professione di fede comune, sulla testimonianza comune, sulla gerarchia delle verità, sulla chiesa locale e universale e sulla formazione ecumenica

Volendo concludere queste brevi indicazioni, ci sembra significativo ricordare le parole dell'ex segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Ph. A. Potter, il quale in un'occasione ebbe a dire: «È assai ironico notare che i rapporti del CEC con la più importante delle chiese non affiliate, quella cattolico romana, siano stati più intensi che non con molte delle chiese membri».

(Tratto da Ordine dei Frati Minori, La vocazione ecumenica del francescano, ISE Venezia - Roma, 2001, pp. 78-92)

Letto 1631 volte Ultima modifica il Martedì, 28 Febbraio 2006 11:11
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search