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Mi ricordo un’immagine quasi commovente che ho trovato sulla pagina FB di un sacerdote ortodosso italiano: una pia vecchietta al momento del voto per lo zar-presidente fa il segno della croce benedicendo l’urna elettorale. Credo che l’autore dellafotografia non abbia sospettato che in questo modo ci offre un ritratto perfetto della dittatura. Non quella di una tirannia primitiva e violenta, ma quella della padronanza vera e onnipresente che agisce nelle anime. Sotto l’apparenza di una “sancta simplicitas” il televisore-Putin con le mani del manipolatore-Putin vota per il dittatore-Putin. Non a caso il sistema totalitario preferisce chiamarsi democrazia popolare, perché il capo (oppure il partito) unico e il suo popolo fanno la stessa cosa. Almeno nel mondo virtuale. Nel mondo reale il padrone non chiede a nessuno il permesso di gettare il proprio popolo nelle fiamme della guerra, ma la guerra si fa sempre nel nome della patria, con un coinvolgimento della sua popolazione non tanto sul piano politico (dove la gente non è mai ammessa), ma su quello prima di tutto verbale, dottrinale, appassionato e anche religioso. Proprio l’omogeneità ideologica della società costituisce il nucleo del regime totalitario, sia sovietico, sia attuale, basato sull’identità comune dell’Uno e degli altri. Chi non vuole iscriversi in questa personalità collettiva va defenestrato, emarginato, esiliato, eliminato in un modo o nell’altro.

La guerra di Putin, dunque? Sì e no. Certo, solo Putin ha dato l’ordine per cominciare l’Operazione militare speciale che, secondo i suoi progetti, avrebbe dovuto essere breve. Tre giorni per prendere Kiev. Tre settimane per schiacciare tutta l’Ucraina. Poi l’osanna della Russia intera, come fu dopo la presa della Crimea, e l’umiliazione dell’Occidente che si morderà le mani nel suo rancore impotente. Poi il restauro graduale dell’impero russo, detto storico, di cui l’Unione Sovietica era solo una tappa provvisoria. Moldova, Georgia, preparatevi! Paesi Baltici, perché no? Se l’Occidente lascia l’Ucraina, lascerà anche la Finlandia che fino al 1918 faceva parte dell’impero russo. L’Europa avrà paura di opporsi alla superpotenza nucleare. Tutti si ricordano la dichiarazione di Putin che la caduta dell’URSS rappresentassela tragedia più grande del XX secolo. Non la Seconda guerra Mondiale con l’Olocausto, non il Gulag. Chi riesce a capovolgere questa tragedia riceverà il premio dalla storia.

L’operazione, però, non è andata secondo i progetti iniziali. Essa è diventata la guerra senza fine che ha coinvolto nel suo corso tutto il paese. Non soltanto militarmente, ma prima di tutto ideologicamente. Nella Federazione Russa attuale non c’è più un’ideologia di Stato di tipo sovietico (proibita tra l’altro anche dalla Costituzione, ancora eltsiniana) ma c’è un’ideologia in atto, il cui pilastro più importante è la vittoria. La vittoria sovietica nella Guerra patriotica è festeggiata il 9 maggio ogni anno con una solennità liturgica crescente mentre la partecipazione degli Alleati è sempre più oscurata. Questa festa non fa accennoalle vittime incalcolabili (nessuno sa la cifra esatta, ma non meno di 30 milioni), ma si basa sempre sulla gloria, sull’invincibilità della Russia. La vittoria è ormai la parte principale di una religione di Stato; tanti bambini nell’età della scuola materna portano con orgoglio l’uniforme militare, mentre mamme sorridenti fanno spesso la gitausando carrozzelle costruite come piccoli carri armati. Nelle strade si possono vedere automobili con sopra l’iscrizione “A Berlino!”. Certo, non tutta la popolazione è tentata da quest’ossessione (di una vittoria indemoniata, secondo l’espressione di un sacerdote ortodosso), ma il vento impetuoso che soffia sulle acque russe è così.

Quel vento soffia anche sulla Chiesa ortodossa perché la guerra in corso ha anche una sua dimensione ecclesiale. Secondo una formula famosa, la guerra, è la continuazione della politica con altri mezzi. Tra questi mezzi il primo posto è occupatodalla demonizzazione del nemico, anche se inventato. Non eravamo noi ad aver attaccato il paese vicino, ma l’Occidente l’ha fatto con le mani ucraine. Noi difendiamo la nostra patria dall’aggressione occidentale, come abbiamo fatto da sempre. Ci difendiamo dai missili che nel futuro, forse, sarebbero stati messi ai nostri confini. Difendiamo la nostra gente dalla corruzione morale, dall’omosessualità totale e infernale, dalla loro democrazia falsa e ipocrita. Se le nostre bombe cadono sugli ospedali, sui teatri, le chiese ed i sistemi energetici in Ucraina (soprattutto sulle città russofone Kharkiv, Odessa, ma anche Kiev) e se lasciamo le città rase al suolo, le bambine stuprate, le tracce delle torture, lo facciamo di nascosto solo per difendere la Santa Rus’ dall’Anticristo.

Di più: difendiamo gli ucraini stessi dal loro ucrainismo, perché la difesa della patria in un caso si chiama patriottismo, nell’altro - nazismo. Come se gli ucraini fossero soltanto dei russi smarriti che vanno puniti per aver ceduto all’appello delle sirene occidentali. Il nome stesso Ucraina è sbagliato, il vero nome suo è Novorossia, la vecchia Russia Nuova. Tutto questo è stato apertamente scritto e proclamato dal Concilio Mondiale Popolare Russo che non è un organo ecclesiale, ma il cui presidente è il patriarca Kirill. Per chi ha un po’ di chiarezza cartesiana nel cervello, si tratta di una pura leggenda politica che comunque funziona. Le guerre non si fanno con le chiarezze, ma con i miti.

Si può capire che sotto un regime dittatoriale la posizione pubblica del capo della confessione più grande del paese non possa essere completamente indipendente. Poca gente è pronta al martirio, come il metropolita di Mosca Filippo, nel XVI secolo, che si è ribellato contro le atrocità di Ivan il Terribile ed è stato perciò ucciso. Ma leggendo i numerosissimi interventi pubblici del patriarca si vede come egli davvero creda alla giusta causa di questo massacro. Nessun dittatore ha affermato quella recente novità teologica secondo cui i caduti russi di questa guerra siano già liberati da tutti i loro peccati e vadano subito nel Regno dei Cieli. Ciò è molto simile all’assoluzione dei peccati garantita ai crociati. La logica dei dittatori, però, è estranea ad argomenti del genere. Nello stesso tempo Sua Santità non ha pronunciato nemmeno una parola di compassione nei confronti delle vittime ucraine della guerra che rimangono ancora, almeno dal suo punto di vista, nel suo ovile ecclesiale.

Così la mitologia della guerra va avanti e si riveste della teologia. Oggi la Russia si proclama il Katechon (2 Ts. 2,6-7), colui che tiene. La Russia si tiene contro l’Occidente come l’Anticristo collettivo e non si contano le vittime di questa battaglia cosmica. A tutti paesi belligeranti mancano i soldati. La Russia chiede che i carcerati - con qualsiasi crimine sulle spalle - prendano le armi, più uno stipendio oltre le stelle, in cambio di un servizio di sei mesi al fronte, per poi essere liberi. La metà di loro ha già perso la vita. Un’altra metà torna in libertà e uccide di nuovo. Qualsiasi protesta in Russia, anche un semplice “no alla guerra” pronunciato pubblicamente può costare qualche anno di galera. Per cosa? Per calunnia alle forze armate o addirittura per terrorismo. La violenza statale ha infettato anche la Chiesa; il patriarca personalmente ha composto la preghiera per la vittoria e l’ha imposta come obbligatoria a tutti i chierici della Chiesa Russa. Chi si rifiuta di leggerla è sospeso o anche ridotto allo stato laicale. La maggior parte dei sacerdoti la legge in buona fede, ma altri - non si sa quanti - col cuore spezzato. Essi sono messi di fronte ad una scelta insopportabile: andare contro la propria coscienza o perdere tutto, condannando la propria famiglia alla miseria. A tutti i crimini della guerra se ne aggiunge un altro: la confusione totale dei cervelli e la violenza sulla coscienza, l’asservimento della verità.

La verità da sempre è la prima vittima della guerra, come anche la nostra capacità di compassione, di empatia, di partecipazione al dolore di un altro essere umano si trovano paralizzate. Un’altra vittima è la nostra facoltà di guardare le cose come sono: un male demografico. Le perdite russe sono davvero terribili (e i cadaveri dei soldati russi sono spesso abbandonati sui campi di battaglia), una rovina economica imminente, una macchia di sangue sullo stesso nome “Russia” nel mondo. Gli sforzi enormi che la guerra chiede alla Federazione Russa minacciano la sua esistenza stessa come paese unito e multinazionale; bisogna essere ciechi per non accorgersi di questo pericolo.

Immaginiamo: dopo aver sacrificato un milione dei suoi soldati, che ormai non daranno figli, dopo aver provocato un’immigrazione di massa dei migliori specialisti e scienziati, dopo aver mandato migliaia e migliaia di giovani che non volevano uccidere in prigione, dopo aver speso mille miliardi di euro per la vittoria militare, dopo aver imposto al paese conquistato un governo fantoccio e la bandiera russa sventolare a Kiev e dappertutto, la Russia finalmente avrà vinto. Con quale guadagno? La conquista di uno spazio completamente rovinato e imbevuto d’odio fino alla gola verso gli invasori che durerà per secoli? Questa guerra non si fa per il guadagno, ma per sconfiggere un nemico inventato. La sagoma di questo nemico cresce, chiude ogni nostra facoltà di riflettere. Una capacità di giudizio sobrio, però, è la virtù più apprezzata nell’Ortodossia.

Qui sta il punto: l’infezione della fede in Cristo con la follia dell’ideologia statale. La confusione della fede ortodossa con la menzogna e gli orrori del regime. Non si tratta di una semplice collaborazione o obbedienza alle circostanze che non si possono cambiare, ma proprio del danno portato all’Ortodossia stessa, del miscuglio del Vangelo con la macchina della propaganda putiniana, ben ingrassata con i soldi dello Stato e che lavora senza sosta. La trasformazione della fede ortodossa in una sorta di religione civile con la sua Santa Rus’, un concetto inventato nel XIX secolo, contro il mondo anglosassone, come nemico eterno e così via?... Con questi fantasmi, con i droni che cadono sui civili in Ucraina e i soldati russi che tornano a migliaia a casa nelle bare di zinco?

Questa guerra si fa non per i soldi, ma per l’orgoglio nazionale. Per il territorio imperiale che resta sempre nostro. Per provare al mondo che siamo i più forti, i più veri, i più perfetti. Quest’orgoglio si può superare solo con l’impegno spirituale che si trova proprio nel patrimonio della fede ortodossa: il pentimento. Perché la spiritualità adatta per una singola persona non è compatibile con una comunità, con la Chiesa di Cristo? L’unico vantaggio che possiamo avere in questo disastro è il risveglio, una nuova spiritualità che crede nell’uomo – il quale è secondo le parole di Sant’Ireneo “la gloria di Dio” – e che ogni essere umano è più prezioso per il Signore di qualsiasi impero.

Vladimir Zelinsky
Pubblicato in Chiese Cristiane
Lunedì, 26 Febbraio 2024 08:59

Navalny: Memoria e immagine (Vladimir Zelinskij)

“Il condannato Navalny dopo la passeggiata si è sentito male, poi si è svenuto. Subito sono arrivati i medici, poi è stata chiamata la brigata del pronto soccorso che – dopo tutte le cure necessarie che non hanno dato un risultato positivo - è stata costatata la morte del condannato”.

Così nel linguaggio della menzogna ufficiale è stato comunicato il decesso del più conosciuto oppositore del regime. Lo scopo di questa notizia è ovvio: creare il quadro della “normalità” - delle cure, del pronto soccorso, ecc. senza nessuna intenzione d’essere creduto. Come se il carcere russo fosse simile a quello norvegese. Navalny è morto nel ШИЗО, cioè nella corsia d’isolamento più severo, nella prigione dentro la prigione dove le passeggiate semplicemente non possono esserci, ma ci sono solo le torture della fame, del freddo, dei muri grigi che ti schiacciano. Nemmeno è possibile di restare sdraiato sul letto perché il letto è adossato al muro per tutta la giornata o sedere sulla sedia, non si può avere le cose personali… una tortura, insomma, anche senza il freddo e la fame per una decina di giorni. Per Navalny questa punizione era già la ventesima dopo aver passato lì in totale 10 mesi.

Navalny prima di tutto è stato conosciuto come combattente contro la corruzione. Nella Russia d’oggi combattere la corruzione significa affrontare il regime mafioso. La Fondazione da lui creata ha svelato tantissime ricchezze, lussuosissimi yacht, ville private disperse in tutto il mondo che appartenevano (e appartengono anche oggi) ai funzionari di Stato di più alto rango. È diventato famoso il suo film sulle proprietà di Medvedev, all’epoca primo ministro, il cui il costo è uguale al corrispettivo di circa 1300 anni del suo stipendio ufficiale. Il film è stato guardato da più di venti milioni di spettatori russi, ma nessuno nella Duma o sulla stampa ha osato chiedere l’indagine. La Russia d’oggi è così. Ma quando Navalny ha mostrato il palazzo personale di Putin, fantastico per la grandezza, il lusso ed il prezzo, tanta gente cominciava aspettare la reazione.

E la reazione non è tardata, Navalny è stato avvelenato durante un volo ed è giusto scampatoalla morte solo perché l’aereo ha fatto una fermata non pianificata. Poi è stato trasportato in Germania, dove è guarito quasi per miracolo. È tornato in Russia, ed è stato arrestato subito alla frontiera per dei crimini inventati dal regime. Una condanna è seguitaall’altra: 9 anni per le truffe, 19 anni per la creazione di una società sovversiva, cioè la sua Fondazione. Navalny non ha perso il suo coraggio, l’intelletto, il suo carisma e neanche il suo senso dell’umorismo. Di più: anche nel carcere ha continuato l’attività politica. Dal carcere uscivano gli appelli alla resistenza. Su internet è facile trovare la sua foto in carcere, con l’iscrizione: “Io non ho paura, non l’abbiate neanche voi”. È difficile non avere paura nella Russia di oggi dove per le semplici parole “No alla guerra” qualsiasi cittadino può essere preso e condannato. Per cosa? Per calunnia all’esercito o addirittura per terrorismo. È chiaro che quest’uomo è diventato il volto della resistenza quando ogni volto umano è offuscato dalla paura.

Adesso è arrivato l’ultimo contraccolpo. Navalny è morto. Anzi è stato ucciso. Per il momento nemmeno il suo corpo è stato rilasciato ai suoi cari. Il Cremlino ha già dichiarato che la morte di Navalny si stata una provocazione dei servizi segreti ucraini per recare danno all’immagine della Russia o qualche cosa del genere. Bisogna essere davvero drogati dalla propaganda per prendere sul serio una simile versione.

La vita di Navalny è finita. Adesso sta per partire una altra vita, quella della memoria e quella dell’immagine che entrano nella storia. La memoria e l’immagine hanno una forza incredibile che senza dubbio faranno il proprio lavoro in quel paese libero e giusto che la Russia, forse, diventerà un giorno. Oggi essa è spaccata in due, con uno scisma così profondo simile a quello della guerra civile di più di cento anni fa e nel centro di questa spaccatura si trova la guerra che è in corso. Non solo la guerra, ma tutto ciò che si nasconde alle sue spalle. Ma la nostalgia dell’URSS, anche staliniana, la dittatura senza vergogna, la corruzione senza limiti non sono il destino eterno della Russia. Un sacrificio così nobile, come quello di Navalny, così pieno di senso deve rimanere per sempre nel cuore della Russia. Navalny non è soltanto un eroe – cosa che è ovvia – ma un eroe profetico. Navalny ha trovato il nucleo, il motivo principale, la radice della sua azione proprio nella fede cristiana, da poco scoperta. “Faccio tutto, - lui disse all’ultimo processo di due anni fa nella sua maniera abituale che sfiorava lo scherzo, - secondo l’istruzione. La mia istruzione è il Vangelo dove è scritto «Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati»”.

Vladimir Zelinskji

 

 

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Quale Ortodossia? - dobbiamo chiedere. L’Ortodossia vista dall’esterno come un grande museo dell’antichità, colmo di antiche icone, decorato dalle cupole dorate, ricco di veri tesori spirituali accumulati nei secoli e custoditi nei depositi del sottosuolo del mondo contemporaneo?

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Quando il clima civile della società lancerà una sfida simile – la sfida del servizio femminile istituzionale nella Chiesa – quest’ultima comincerà a cercare la risposta. Il processo è già in corso, ma di sicuro non sarà veloce.

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Questa Pasqua ha aggiunto un po’ di sobrietà alla nostra fede, ha tolto un po’ dell’elemento magico. Non per tutti, però. Tuttavia, questa triste lezione rimarrà per lungo tempo. Anche per noi.

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Domenica, 19 Maggio 2019 18:50

Andate in tutto il mondo (Vladimir Zelinskij)

"Andate in tutto il mondo", dice Gesù, ma il mondo è cambiato enormemente e il suo cambiamento continua anche davanti ai nostri occhi. Viviamo in un mondo in cui il sapere umano è cresciuto così che può superare le capacità mentali dell’uomo stesso.

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Una grande crepa è apparsa nell’universo ortodosso e ha la tendenza ad allargarsi. Una vera saggezza spirituale si chiederà in futuro da parte dei capi delle Chiese per guarire questa ferita che, a dire la verità, maturava da secoli. Questa guarigione, se verrà, potrebbe diventare anche il modello o, almeno, il primo passo per la riconciliazione tra tutti i cristiani.

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Martedì, 04 Settembre 2018 11:06

Parola divina e parola umana (Sergej Averincev)

Oggigiorno alla fede nella Rivelazione si contrappone una sfida totalmente nuova, che ha preso il posto del defunto ateismo: la sfiducia nella parola in quanto tale, l'ostilità verso il Logos. Che cos'è successo?

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Il problema dell’indipendenza da Mosca della Chiesa ortodossa ucraina è un nodo di Gordio apparentemente inestricabile. Ma non è solo questione di interessi politici contrastanti. Qual è il giudizio di fede? Un teologo russo risponde.

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Domenica, 28 Gennaio 2018 14:30

Meditazione Rm 8.12-27 (Vladimir Zelinskij)

La fede è il modo di conoscere le cose che non si vedono. E noi le conosciamo insieme e questa conoscenza condivisa ci porta alla grande speranza dell’unità nella fede.

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