La situazione drammatica tra i due centri dell’Ortodossia mondiale ha le radici che affondano nell’antichità cristiana. Nel IV secolo la città sul Bosforo, fondata dall’imperatore Costantino, è stata proclamata la Seconda Roma – quasi uguale per la sua importanza ecclesiastica alla Prima. Poi, politicamente, nel primo millennio Roma ha subito un degrado, mentre Costantinopoli è diventata la capitale gloriosa dell’impero bizantino. Nel 988 Costantinopoli ha battezzato il Gran Principe Vladimir e la città di Kiev; così la Rus’ antica è entrata nella Chiesa Orientale come sua sessantesima diocesi. Dopo l’invasione mongola (sec. XIII) Kiev fu distrutta, poi inclusa nel Regno Lituano-polacco, mentre dal XIV secolo si è assistito all’ascesa di Mosca. Dopo il Concilio di Firenze (1439) dove Costantinopoli ha firmato l’unione con Roma nella vana speranza di ricevere l’aiuto militare dall’Occidente contro l’avanzata turca, Mosca ha rotto con la “Seconda Roma” per questa sua eresia ed ha autoproclamato la propria autocefalia, riconosciuta solo in seguito anche dal Trono Ecumenico. Costantinopoli è caduta in mano turca nel 1453. Nel 1686 Il Patriarca di Costantinopoli ha concesso a Mosca il diritto di ordinare i metropoliti di Kiev (che all’epoca faceva già parte dello stato moscovita) a condizione che durante le celebrazioni liturgiche il suo nome fosse commemorato al primo posto.
All’inizio del XX secolo le due Chiese sono passate attraverso grande prove: la micidiale persecuzione bolscevica in Russia e la guerra tra i turchi ed i greci in Anatolia che si è conclusa con la sconfitta dei greci e la cacciata della popolazione ortodossa dall’antica Bisanzio. Dopo il crollo del comunismo Mosca è riuscita a ricostruire pienamente la propria Chiesa (oggi tutta la Russia è ricoperta dalle cupole dorate), mentre Costantinopoli, con il suo gregge quasi simbolico (circa 2000 fedeli nella città di Istanbul), ha salvato solo il suo fondamento canonico. Il Patriarca Ecumenico rimane il primus inter pares, anche senza gregge sul suo territorio perché la Chiesa Ortodossa è la Chiesa della Sacra Tradizione. Il decreto del Secondo Concilio Ecumenico nel lontanissimo 381, che proclamò la città di Costantino la più autorevole dopo Roma ( ma dopo la rottura con Roma nel 1054 diventata il centro del mondo cristiano), è valido anche oggi, come 16 secoli fa. Costantinopoli, però, non ha giurisdizione soltanto sulle sue parrocchie in Turchia, ma su tutto il globo, soprattutto negli Stati Uniti, con qualche milione di fedeli della diaspora greca.
Ma anche la Chiesa di Mosca non è potuta scappare dalle crisi provocate dal crollo dell’impero, prima zarista, poi sovietico. Sebbene indebolita dalla persecuzione e dalla pressione, esercitava la propria giurisdizione su tutto il territorio dell’Unione Sovietica e questo fatto era indiscutibile. La sua giurisdizione è diventata molto problematica, prima in Estonia, nel 1996, dove la piccola minoranza ortodossa estone non ha voluto rimanere sotto la Chiesa Russa, perché la Russia per loro rappresenta il paese-aggressore; ora in Ucraina, per lo stesso motivo. Se in Estonia le Chiese, quella di Mosca e quella di Costantinopoli, comunque coesistono anche senza un’amicizia particolare, in Ucraina tutto è andato nel modo peggiore, arrivando quasi alla guerra (per ora fredda) tra le due Chiese. Ma non si tratta solo del confronto diretto tra due paesi, Russia e Ucraina: l’Ucraina stessa è profondamente divisa. La Chiesa legata a Mosca – la metropolia di Kiev – rappresenta la maggioranza e si trova in opposizione alla Chiesa autocefala, creata nel dicembre del 2018, attraverso l’inclusione delle Chiese cosiddette non canoniche: il Patriarcato di Kiev et la Chiesa autonoma ucraina. È ovvio che la Chiesa di Mosca non riconosca questa autocefalia. Anzi, che sospenda a divinis i chierici che passano o vogliono passare a questa nuova struttura ecclesiastica. Un abisso si è aperto tra queste due Chiese, che riflette un altro abisso, più profondo, quello tra Mosca e Costantinopoli.
Dal punto di vista puramente canonico sembra che Costantinopoli abbia il diritto di togliere il Tomos concesso a Mosca nel 1686. Nello stesso tempo la metropolia di Kiev per più di 300 anni ha vissuta sotto le ali ecclesiali di Mosca e nessuno ha contestato questa situazione. Costantinopoli però non l’ha mai riconosciuta come legittima, ma non ha potuto fare nulla. Adesso con l’appoggio forte del presidente Poroscenko e della Rada (il parlamento ucraino) il patriarca Bartolomeo ha passato il Rubicone, rischiando la rottura con la più grande e più forte Chiesa ortodossa nel mondo. E la rottura è arrivata subito: la cosiddetta Terza Roma, anche senza negare il primo posto di Costantinopoli nel dittico delle Chiese ortodosse, ha tagliato tutti rapporti con la Seconda. Di più. Mosca ha proibito la comunione eucaristica con tutti i fedeli di Costantinopoli; questo ha dato un colpo molto sensibile alle centinaia di migliaia dei fedeli russi, ucraini, moldavi che frequentano le parrocchie del Patriarcato Ecumenico, dispersi in tutto il mondo. Loro saranno costretti di confessare la comunione “illegittima” nell’ovile greco come peccato.
Non c’è dubbio che ci sono anche i forti interessi politici dietro questo scontro. Mosca è molto interessata a salvaguardare la sua influenza sul territorio ucraino, appoggiandosi sulla sua Metropolia. Kiev vuole avere la sua Chiesa “nazionale” accanitamente antirussa. È chiaro che il Patriarca ecumenico vorrebbe “alleggerire” un po’ il peso della Chiesa di Mosca con i suoi novanta milioni de fedeli, sostenuta da uno Stato forte, armato fino ai denti. Sul territorio ucraino però la Metropolia vista come enclave di una potenza straniera, nonostante le dichiarazioni pacifiche delle autorità, rischia di subire persecuzioni e la confisca degli edifici ecclesiastici, anche con forza. L’accanimento cresce; la divisione passa addirittura attraverso le famiglie; un anno fa due sacerdoti del Patriarcato di Mosca, appoggiati dal loro vescovo, hanno rifiutato di celebrare i funerali religiosi per un bambino di due anni, morto in un incidente, perché battezzato nel Patriarcato di Kiev – e, quindi, non accettato come cristiano.
Per ora la nuova Chiesa con le sue 7.000 parrocchie è ancora in minoranza. La maggior parte della popolazione ucraina appartiene ancora alla Metropolia di Mosca (12.000 parrocchie circa). La realtà è quella che è: ci sono parecchi ortodossi che vogliono rimanere sotto il Patriarca Kirill, fino ad odiare il potere attuale di Kiev e la sua Chiesa nuova, creata a Costantinopoli, ma ci sono non meno altri che non vogliono sentire il nome di Kirill, percepito come rappresentante del regime che fa la guerra all’Ucraina. Paradossalmente, ambedue i gruppi possono rimanere nel Patriarcato di Mosca, considerato come l’unico canonico. L’Ucraina è divisa non soltanto politicamente, ma anche umanamente, molto dolorosamente.
Non dimentichiamo: tranne Mosca e Costantinopoli esistono le altre Chiese ortodosse (14 in tutto, contando soltanto le chiese canoniche) che hanno una propria voce nel conflitto. Al momento attuale la maggior parte di loro non si è affrettata a sostenere la decisione di Costantinopoli, ma nessuno pensa di rompere tutti i rapporti con la Seconda Roma – come ha fatto Mosca. Una grande crepa è apparsa nell’universo ortodosso e ha la tendenza ad allargarsi. Una vera saggezza spirituale si chiederà in futuro da parte dei capi delle Chiese per guarire questa ferita che, a dire la verità, maturava da secoli. Questa guarigione, se verrà, potrebbe diventare anche il modello o, almeno, il primo passo per la riconciliazione tra tutti i cristiani.
Vladimir Zelinskij