1. Per quanto concerne Lutero , l'accesso più diretto e sicuro alla sua dottrina dello Spirito Santo offerto dai suoi Catechismi. Ecco com'egli spiega il terzo articolo del Credo nel Grande catechismo del 1529:
Ora ti farò capire nel modo più chiaro possibile che cosa significa questo articolo. Se ti si chiede: Che cosa intendi dire con le parole 'Credo nello Spirito Santo' ? rispondi così: Credo che lo Spirito Santo mi santifica, come il suo nome rivela. In che modo lo Spirito compie questa sua opera ? Di quali mezzi si serve? Risposta: I mezzi sono la chiesa cristiana, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna. Lo Spirito Santo infatti ha nel mondo una sua comunità particolare, che è la madre che genera ogni cristiano e lo nutre con la parola divina rivelata e insegnata dallo Spirito. Esso illumina il nostro cuore affinché la comprendiamo, la riceviamo, ci uniamo ad essa e con essa restiamo uniti. (1)
L'azione dello Spirito è dunque duplice: è come la mano di Dio che guida ogni singola persona nella comunità cristiana dove Cristo è annunciato, ed è il maestro interiore che personalizza questo annuncio rivelando Cristo come il Salvatore e il signore di ciascuno.
Infatti né tu né io potremmo sapere nulla di Cristo, né credere in Lui, né averlo come Signore, se lo Spirito Santo non aprisse il nostro cuore alla predicazione dell'Evangelo.
L'opera di Cristo, compiuta con la sua passione, morte e risurrezione, è il tesoro che Dio ha preparato per ogni sua creatura e l'umanità intera.
Ma affinché questo tesoro non resti sottoterra ma venga utilizzato e messo a frutto, Dio ha comandato e ci fa annunciare la sua Parola, nella quale ci dà lo Spirito Santo affinché entriamo in possesso di quel tesoro e ci appropriamo della redenzione. Santificarci è dunque condurci a Cristo, nostro Signore, affinché riceviamo ogni bene che non potremmo raggiungere con le nostre forze. (2)
Qui appare un secondo aspetto tipico della pneumatologia di Lutero, cioè il rapporto, si direbbe, circolare tra Spirito e Parola: Dio ci dà lo Spirito mediante la Parola (s'intende biblica, che Lutero chiama "esterna" o anche "Evangelo orale" - dunque la Parola biblica predicata o insegnata) e ci dà la Parola mediante lo Spirito (che ne dischiude il valore salvifico, comunicando con la Parola Cristo stesso a ogni credente).
2. Calvino, nel Catechismo di Ginevra del 1537 commenta cosi il 3° articolo del Credo:
Quando ci viene insegnato di credere nello Spirito Santo ci è pure comandato di attendere da lui quel che gli viene attribuito nella Scrittura. Infatti Cristo opera per virtù del suo Spirito tutto ciò che è buono, in qualsiasi luogo ciò avvenga. Per mezzo suo fa, regge, mantiene e vivifica tutte le cose; per mezzo suo ci giustifica, santifica e 3 purifica, ci chiama e attira a sé, affinché otteniamo la salvezza. (3)
Qui colpisce la vastità dell'opera dello Spirito che, secondo Calvino,(1) non conosce confini e abbraccia l'intera realtà creata, di cui è il principio animatore: tutto ciò che è buono - non solo tutto ciò che è cristiano - è frutto dello Spirito, coi come lo è l'appropriazione personale dell'intera opera della salvezza. Nei due ambiti, lo Spirito si configura come il Christua praesens in azione.
Il discorso calviniano sullo Spirito si precisa e arricchisce nel libro 3° dell'Istituzione. Qui lo Spirito è "come il vincolo mediante il quale il Figlio di Dio ci unisce a sé con efficacia" (3.1.1); non comunica e trasmette soltanto la vita a tutto ciò che esiste ma "è per noi radice e semenza di vita celeste" (3.1.2), anzi ci è proposto dalla Scrittura "come l'unica sorgente da cui tutte le ricchezze celesti discendono su noi" (3.1.3). Senza lo Spirito, "guardiamo Cristo da lontano e fuori di noi, con uno sguardo freddo e distaccato... E' mediante il suo Spirito che Cristo si unisce a noi... e ci fa suoi membri per tenerci uniti a sé e per essere a sua volta posseduto da noi" (3.1.3). E' questa l'"opera segreta" dello Spirito Santo dentro di noi: metterci e tenerci in comunione personale con Cristo,, nel quale si trova la pienezza e la perfezione della nostra salvezza. Come si vede, la pneumatologia calviniana si muove lungo linee analoghe a quelle di Lutero, ma il riformatore di Ginevra insiste di più sulla centralità dell'opera dello Spirito, che pervade di sé tutta l'esperienza di fede e vita cristiana ed è il Soggetto divino per eccellenza nel tempo della Chiesa, tra la prima e la seconda venuta di Cristo.
Non disponiamo di un catechismo di Zwingli (ce n'è uno, del 1534, del suo collaboratore della prima ora Leo Jud), perciò la penumatologia del "terzo uomo" della Riforma va ricavata dall'insieme della sua opera. Se per Calvino lo Spirito è fondamentalmente il Christus praesens all'opera nella creazione e nella chiesa, per Zwingli lo Spirito è essenzialmente Dio in libertà. Lo Spirito esprime ed esalta la libertà di Dio. E' questa la sottolineatura tipica del riformatore di Zurigo. Certo, anche per lui lo Spirito è strettamente legato a Cristo. Anche per lui, lo Spirito è il Christus praesens, ma in modo nuovo, diverso dalla presenza attuata nel tempo dell'incarnazione: quella era una presenza fisica, questa, da Pentecoste in poi, è una presenza come Spirito, una presenza spirituale. Anche la sua presenza eucaristica può essere solo spirituale. 'Spirituale' non vuol dire irreale, tutt'altro! Si tratta però di una realtà non più carnale (nel senso della incarnazione) ma spirituale (nel senso di Pentecoste). Lo stretto collegamento tra Cristo e lo Spirito si vede dal criterio cristologico stabilito dal Nuovo Testamento per discernere lo Spirito di Dio e chiaramente formulato nella I Lettera di Giovanni 4, 2-3. La realtà di questo collegamento non impedisce però allo Spirito di operare anche fuori degli spazi in cui Cristo è riconosciuto e confessato dalla fede. E' lo Spirito, ad esempio, che scrive la legge naturale nel cuore degli uomini, anche se pagani. Così pure è lo Spirito che segretamente agisce in coloro che Dio, secondo il suo beneplacito, elegge extra muros ecclesiae. Come s'è detto: lo Spirito è Dio in libertà.
Lo Spirito, secondo Zwingli, è anche strettamente collegato con la Scrittura. Ne è anzi l'ispiratore e l'ermeneuta: la Scrittura è parola di Dio perché "dettata" dallo Spirito ed è ricevuta come parola di Dio perché interpretata dallo Spirito. Alla Scrittura spetta comunque l'ultima parola nella Chiesa, è la regola e la norma della sua fede e della sua vita.. Ciò nondimeno Zwingli, a differenza di Lutero, insiste sul carattere immediato dell'azione dello Spirito, che viene dato da Dio direttamente, non tramite la Parola e i sacramenti. Lo Spirito soffia e genera la fede, che poi articola il suo discorso mediante la Parola. Per Lutero la Parola è la matrice della fede, per Zwingli invece è lo Spirito. La Parola, da sola non suscita la fede, le permette di esprimersi, potremmo dire che la alfabetizza. La Parola esterna non è veicolo dello Spirito, come non lo sono l'acqua del battesimo e il pane e il vino della Cena. "In fin dei conti è la Parola che ha bisogno dello Spirito, piuttosto che lo Spirito abbia bisogno della Parola".
Come si vede, il pensiero della Riforma sullo Spirito Santo si colloca in sostanziale continuità con la teologia cristiana classica, ricondotta alla sua matrice biblica. Per quanto concerne i rapporti intratrinitari tra Padre, Figlio e Spirito, Lutero e Calvino si muovono all'interno di una visione nettamente condizionata dal Filioque della tradizione teologica occidentale. Zwingli invece costituisce, almeno per certi aspetti, una eccezione, non nel senso che egli contesti, anche solo implicitamente, il Filioque, ma nel senso che non ne dipende: la sua concezione dello Spirito Santo, pur contenendo chiare affermazioni sui vincoli profondi che legano lo Spirito a Cristo, alla Scrittura, a ogni singolo credente e alla chiesa nel suo insieme, ne contiene diverse altre che documentano la sua divina libertà e autonomia, la sua efficacia assoluta, immediata e diretta nel cuore dell'uomo, indipendente da qualsiasi "veicolo" o "mezzo" sacramentale o verbale.
Nell'insieme si può dire che la Riforma ha compreso e vissuto lo Spirito Santo come l'iniziativa libera e amorevole di Dio - lui che è "sopra tutti, fra tutti ed in tutti" (Efesini 4,6) - di essere non soltanto il Creatore e il Salvatore dell'uomo ma anche Colui che lo santifica, non soltanto il Dio fuori e al di sopra dell'uomo e neppure solo il Dio accanto a lui e per lui, ma anche il Dio dentro di lui, che da dentro gli parla e gli svela "le cose di Dio", le sue "profondità" (I Corinzi 2,,11.10), da dentro lo congiunge a Cristo e, attraverso lui, al Padre, dei quali diventa il tempio, la dimora terrena (Giovanni 14,23; cfr. I Corinzi 3,16; 6,19); da dentro lo trasforma "di giorno in giorno" (II Corinzi 4,16) secondo l'immagine del Figlio di Dio, facendo crescere in lui l'"uomo nuovo"; da dentro lo santifica in modo che non pratichi più le "opere della carne" ma viva secondo il "frutto dello Spirito" (Galati 5,19.23); da dentro prega con lui e per lui, scrivendogli sul cuore e ponendogli sulle labbra l'invocazione più alta del nome di Dio, che è allo stesso tempo la rivelazione ultima del suo essere: "Abbà! Padre!" (Romani 8,15). Lo Spirito Santo è dunque Dio che, entrando dentro ogni singola creatura umana ed agendo nell'intimo di ciascuno, porta a compimento l'opera di salvezza, cioè fa avanzare, in questo mondo di morte, il mondo della risurrezione suscitando e risuscitando il popolo della vita - nuova ed eterna - quella che in Gesù Cristo "è stata manifestata" (I Giovanni 1,2) in maniera definitiva e irrevocabile.
Nel nostro secolo due fenomeni di grande rilievo per il cristianesimo nel suo insieme e quindi anche per il protestantesimo, hanno creato una situazione nuova che ha indotto o sta inducendo la teologia di tutte le confessioni sia a prestare allo Spirito, alla sua persona e alla sua opera, un'attenzione maggiore di quella tradizionalmente riservatagli, sia - e soprattutto - a chiedersi se, in realtà, l'intero discorso teorico e pratico del cristianesimo non soffra di un deficit pneumatologico congenito che è tanto più difficile da colmare quanto meno le chiese ne sono consapevoli. (5) I due fenomeni in questione sono da un lato la nascita all'inizio del secolo e lo sviluppo, prima sommesso e poi sempre più tumultuoso e dirompente, del cristianesimo pentecostale, e dall'altro il processo di "indigenizzazione" del cristianesimo nelle culture africane ed asiatiche, comunque diverse da quella genericamente detta 'occidentale'. Non potendo, nel quadro di questo contributo necessariamente succinto, illustrare a fondo i due fenomeni, ci limitiamo a indicare quello che ci sembra essere il tratto essenziale di ciascuno.
La meteora pentecostale è un'apparizione inedita nel firmamento cristiano. Nel corso di venti secoli di storia c'erano state, è vero, qua e là,, alcune "fiammate" di tipo pentecostale: dal montanismo del 2° secolo agli "spiritualisti" del 16°, dalla teologia dello Spirito di un Gioacchino da Fiore all'attesa silenziosa e tenace della "voce dello Spirito" che deve emergere dall'interno della comunità quacchera raccolta in preghiera nel suo meeting, e ai vari "risvegli" più o meno vasti e profondi avvenuti un po' dovunque nel 18° e nel 19° secolo. Ma è solo nel nostro secolo che decine (ormai sono centinaia) di milioni di persone sono diventate cristiane attraverso un'esperienza di fede pentecostale - un'esperienza cioè in cui lo Spirito Santo è protagonista. Certo, il fenomeno non è privo di ambiguità, come del resto non lo fu la prima Pentecoste! Ma è un fenomeno imponente non solo per la sua vastità (interessa comunque gran parte della cristianità del cosiddetto Terzo Mondo) ma anche per la sua qualità (è l'unico tipo di cristianesimo capace di fiorire nel deserto delle periferie metropolitane e nei ghetti urbani). La teologia non può limitarsi a prenderne atto e, tanto meno, a produrre le sue prevedibili "riverse" o "perplessità". Se l'invocazione di una "nuova Pentecoste" non è un atteggiamento retorico ma corrisponde a un'esigenza realmente avvertita nelle chiese, bisogna anzitutto che queste ultime siano interiormente liberate da complessi, paure e rimozioni e vengano rese idonee a ricevere ed accogliere quel "battesimo nello Spirito" che è il cuore dell'esperienza pentecostale e che l'evangelista Luca riassume nella formula lapidaria: "Riceverete potenza" (Atti 1,81).
Il processo di "indigenizzazione" dell'Evangelo nelle culture diverse da quella occidentale è intimamente collegata a nuovi sviluppi del discorso cristiano sullo Spirito. Una teologia interculturale presuppone che si scrivano capitoli ancora inediti di pneumatologia cristiana. Quel che sin qui la teologia ha detto dello Spirito continua certo a valere ma è solo una parte del discorso da fare. Il mistero dello Spirito è molto più vasto. Il compito teologico più urgente per la chiesa nel suo insieme è l'elaborazione di una teologia dello spirito che accompagni ed affianchi da un lato la ricerca dell'unità cristiana e dall'altro le nuove inculturazioni del cristianesimo. Non sarà facile. Lo si è potuto constatare in occasione della 7a assemblea mondiale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, svoltasi a Canberra (Australia) nel febbraio 1991, il cui tema generale era: "Vieni, Spirito Santo, rinnova l'intera creazione!". Una delle relazioni generali introduttive fu tenuta dalla teologa presbiteriana coreana Chung Hyun Kyung, la quale parlò dello Spirito in termini talmente nuovi e cosi poco convenzionali, in sintonia - appunto - con il proprio universo culturale, da suscitare molte vibrate proteste e controversie a non finire. Il parto di una teologia dello Spirito che sia da un lato saldamente ancorata alla rivelazione di Cristo e che dall'altro tenga realmente conto dei diversi contesti culturali in cui la salvezza in Cristo dev'essere espressa e comunicata,, non sarà indolore. Ma in quest'opera, che ci auguriamo possa essere condotta insieme da tutte le chiese, ci si può aspettare molto. Pentecoste come alternativa divina a Babele prefigura un'unità che non è solo quella del popolo di Dio ma dell'intera umanità. Lo Spirito è sparso "sopra ogni carne" (Atti 2,17), e la lingua dello Spirito, attraversando i vari linguaggi umani senza annullarli, crea comunicazione, veicola comprensione e suscita comunione.
Così, sulla soglia del terzo millennio, la teologia cristiana in generale e, al suo interno, quella protestante entrano in dialogo con il cristianesimo pentecostale e con gli sforzi di nuove inculturazioni dell'Evangelo alla ricerca di piste nuove per una più ampia e profonda conoscenza dello Spirito, sostanziata da una accurata ricognizione di tutta la testimonianza della S. Scrittura al riguardo, tendendo l'orecchio a "ciò che lo Spirito dice alle chiese" (Apocalisse 2,7 e passim) . Tutto questo sarà per la cristianità del nuovo millennio "come una specie di viaggio alla scoperta di terre sconosciute".
Paolo Ricca
Note
1. M.Luther, Les Livres Symboliques, I, Editions "Je sers", Paris 1947, p.160.
2. Ivi, P.159 S.
3. G. Calvino, Il catechismo di Ginevra del 1537, a cura di V. Vinay, Claudiana, Torino 1983, p.42.
4. W.P. Stephens, The Theology of Huldrych Zwingli, Clarenon Press, Oxford 1986, p.136.
5. Tra i contributi più significativi della teologia protestante recente sullo Spirito Santo ricordiamo W.J. Hollenweger, L'expérience de l'Esprit. Jalons pour une théologie interculturelle, Labor et Fides, Genève 1991. J. Moltmann, Lo Spirito della vita. Per una pneumatologia integrale, Queriniana, Brescia 1994. W. Welker, Gottes Geist. Theologie des Heiligen Geistes, Neukirchener, Neukirchen-Vluyn 1993.
6. J. Moltmann, op.cit. - Nota 5, p. S.