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Venerdì, 08 Marzo 2024 11:49

Accanto al malato psichico (Arnaldo Pangrazzi)

I disturbi psichici sono delle affezioni che colpiscono la sfera affettiva, cognitiva, comportamentale e relazionale di una persona in modo sufficientemente forte da rendere problematica la sua integrazione sociolavorativa causandole anche grave sofferenza personale.

Il disturbo psichico non gode di molta accoglienza e comprensione nella cultura odierna. Prevalgono pregiudizi nei confronti di quanti manifestano la fragilità psichica, quali: «È un tipo un po' strano»; «È pazzo», o nei confronti dei familiari: «Se è così, sarà colpa loro»: «E una persona bizzarra come sua madre». Di conseguenza queste persone sono evitate, perché considerate potenzialmente pericolose, o emarginate, perché ritenute incapaci di una convivenza umana.
Lo stigma, la paura e l'ignoranza hanno di fatto portato ad isolare quanti manifestano forme di disagio mentale. Il disturbo della mente si può manifestare in forme lievi, quali la difficoltà a gestire la frustrazione, disturbi d'ansia, fobie e depressioni passeggere, o in forme gravi, quali un rapporto molto alterato con la realtà (es. disturbi maniaco-depressivi, schizofrenia, allucinazioni) o forti conflittualità interne (es. ossessioni, isteria, disturbi nevrotici, deviazioni sessuali).

Interventi per alleviare la sofferenza psichica

La malattia psichica è legata all'intensità, durata e frequenza di reazioni che investono la sfera cognitiva (percezione distorta delle cose e della realtà), la sfera affettiva (conflittualità e deterioramento delle relazioni, spesso con le persone più care), la sfera comportamentale (atteggiamenti ossessivi, maniacali, mutismo o isolamento).
È difficile stabilire con accuratezza le variabili che contribuiscono al disagio psichico. Per alcuni, predomina l'influsso della mappa genetica o fattori ereditari da cui si può rintracciare la presenza di disturbi che hanno colpito genitori, nonni, zii, bisnonni e così via.
Per altri, l'insorgere di un disturbo mentale è più legato di fattori esterni, quali la perdita di una persona significativa, l'abuso sessuale, i rapporti conflittuali con figure in autorità, il fallimento scolastico, lavorativo o matrimoniale, la difficoltà a instaurare rapporti, il vivere in ambienti contrassegnati dalla violenza o dall'inquinamento acustico.
Per altri ancora, incidono maggiormente fattori personali legati a personalità spigolose, difficoltà a gestire lo stress, paure paralizzanti, atteggiamenti autolesivi, forte cedimento dell'autostima o della dignità personale.
A seconda dell'entità e gravità del disturbo, chi soffre il disagio psichico può essere aiutato attraverso la somministrazione di farmaci, la psicoterapia individuale o di gruppo, il ricovero in strutture residenziali o in reparti di psichiatria.
Il volontario è entrato in punta di piedi nei reparti psichiatrici, guardato a vista dal personale.
Ma si è guadagnato presto la stima e il riconoscimento di psichiatri, psicologi, infermieri e assistenti sociali per l'effetto benefico che la sua presenza ha prodotto negli ospiti del reparto.

Volontari in psichiatria: requisiti e contributi

Il volontario che sceglie di esercitare il suo servizio nelle unità psichiatriche deve possedere una sensibilità particolare verso questo tipo di sofferenza, un atteggiamento rilassato e creativo per porsi in sintonia con gli interlocutori, la capacità di adattarsi al mondo delle diverse persone e situazioni, la disponibilità a gestire con umorismo e saggezza eventuali provocazioni o rifiuti apparenti, lo spirito di collaborazione per operare in unità di intenti con gli operatori del reparto.
Il contributo della sua presenza abbraccia vari orizzonti: l'ambito comunicativo (interagisce con gli ospiti, aiuta a ridimensionare il loro isolamento, ascolta i loro pensieri e considerazioni, anche se strani, cercando delicatamente di interrompere circoli viziosi, soprattutto si sforza di prestare attenzione ai loro sentimenti): l'ambito fisico o sportivo (passeggia con loro, li motiva a prendersi cura della propria igiene, esplora i loro interessi sportivi, li fa parlare dei loro cibi o hobby preferiti); l'ambito ricreativo (li coinvolge in attività ricreative, quali il gioco delle carte, attività ludiche, visite a luoghi di interesse, piccoli progetti per lo sviluppo delle loro potenzialità creative); l'ambito spirituale (esplora valori o credenze, li accompagna a incontri liturgici.esplora le loro risorse spirituali, li sostiene nella preghiera).
Il volontario attraverso la sua presenza si sforza di dare un piccolo contributo alla guarigione interiore di chi soffre nella consapevolezza che, come diceva Seneca: «Il male che ci tormenta non è nel luogo in cui ci troviamo, ma è in noi stessi».

Arnaldo Pangrazzi

(tratto da Missione e Salute, n. 2, 2015, p. 64)

 

Sabato, 27 Gennaio 2024 10:48

L'esilio della vecchiaia (Augusto Chendi)

Nell'opinione pubblica lo vecchiaia è considerata secondo un'ottica medica - ovvero come quel periodo della vita in cui più alta è la probabilità di ricorrere a terapie mediche e trattamenti sanitari - e secondo un'ottica di etica pubblica, ossia secondo le norme della giustizia nella distribuzione delle risorse medico-sanitarie disponibili in un dato contesto sociale. Le due ottiche, per quanto assai importanti, paiono tuttavia di portata alquanto limitata poiché offrono una comprensione parziale dell'esperienza dell'invecchiamento e non affrontano il problema del suo vero senso.

L'anzianità costituisce un fenomeno strutturale che segna un cambiamento sociale di grande portata, relativo al modello di sviluppo e alle regole della convivenza che la nostra civiltà sta attraversando.
Purtroppo, emarginazione, esclusione, isolamento, truffe, aggressioni e abusi rischiano di farne un'età a grave rischio. Ma è la cultura dei nostri giorni a non offrire una buona immagine della vecchiaia: suggerisce semmai l'idea di poter rimanere giovani per sempre.
Anche i messaggi che ci vengono trasmessi da ambienti della ricerca scientifica tendono a convincerci che l'invecchiamento si può contrastare, facendoci sperare che esso riguardi solo gli altri. Di qui la necessità di una riflessione che, oltre a mostrare che la vecchiaia coinvolge tutti direttamente, inviti a scoprirne i contenuti, sia per capire quella degli altri che per accettare la nostra.

La congiura del silenzio

È, quindi, una questione di "senso". Di fronte alla "congiura del silenzio" circa l'anzianità, riconoscere il processo dell'invecchiamento, intenderlo nelle sue caratteristiche e nel suo divenire è la condizione perché ci appartenga fino in fondo. Viceversa, nella società moderna la vecchiaia tende a trasformarsi in una sorta di tabù, in un argomento proibito, come se non esistesse. Ma contro il male incurabile dell'invecchiare non valgono né gli esorcismi della ragione analitica, né i processi di rimozione collettiva.
Nella vecchiaia è in gioco la nostra stessa immagine. La rivelazione dell'altro che è in noi ci viene in realtà dall'esterno, da coloro che ci guardano. Noi cerchiamo di rappresentarci chi siamo attraverso la visione che gli altri hanno di noi. Vi sono periodi in cui l'immagine che abbiamo di noi basta a rassicurarci della nostra identità, come è il caso dei bambini e dell'età adolescenziale, ma l'individuo anziano si sente vecchio attraverso gli altri, senza aver provato serie mutazioni: interiormente non aderisce all'etichetta che gli viene appiccicata addosso, e finisce per non sapere più chi è. In questa nuova condizione, volenti o nolenti, si finisce per arrendersi al punto di vista altrui, ma questa resa non è mai semplice. V'è infatti una discrepanza tra la situazione che io vivo e di cui ho esperienza e la forma obiettiva che essa assume per gli altri, ma che a me sfugge.
Nella nostra società, la persona anziana è designata come tale dal comportamento altrui, dal vocabolario stesso: in una parola, deve assumere questa realtà. Vi è un'infinità di modi per farlo, ma nessuno mi permetterà di coincidere con la realtà che assumo io stesso.
Affinché la vecchiaia non diventi una parodia della nostra esistenza precedente, non v'è che una soluzione, continuare a perseguire dei fini che diano un senso alla nostra vita: la dedizione ad altre persone, a una qualche causa, al lavoro sociale o politico, intellettuale o creativo. Contrariamente a quel che ci viene consigliato, e cioè una serena accettazione dei mali che la scienza e la tecnica non sarebbero in grado di eliminare, occorrerebbe conservare fino alla tarda età delle passioni abbastanza forti da farci evitare il ripiegamento su noi stessi. La vita conserva un valore finché si dà valore a quella degli altri, attraverso l'amore, l'amicizia, l'indignazione, la compassione.

L'anzianità individuale

Rimangono allora delle ragioni per agire e parlare. La condizione senile sembra suggerire una riconsiderazione dei rapporti tra gli uomini. Se la cultura non fosse un sapere inerte, acquisito una volta e poi dimenticato, ma fosse viva, ogni individuo avrebbe sul suo ambiente una presa capace di realizzarsi e di rinnovarsi nel corso degli anni, e sarebbe un cittadino attivo a qualunque età. Se l'individuo non fosse chiuso e partecipasse a una vita collettiva, altrettanto quotidiana ed essenziale quanto la propria, non conoscerebbe l'esilio della vecchiaia.
Come dovrebbe essere allora una società perché un uomo possa rimanere tale anche da anziano? La risposta è semplice: bisognerebbe che egli fosse sempre trattato come uomo. È dinanzi alla vecchiaia, infatti, che la società si smaschera: il modo in cui tratta i suoi membri inattivi descrive molto di sé stessa e di quanta enfasi riponga sulla mera dimensione produttiva degli individui.
Dinanzi all'immagine del nostro avvenire che ci propongono i vecchi noi restiamo increduli, una voce dentro di noi mormora che questo a noi non succederà. La vecchiaia è qualcosa che riguarda solo gli altri. È così che si può comprendere come la società riesca a impedirci di riconoscerci negli anziani.
Per vedere nei vecchi dei nostri simili, per non essere più indifferenti al destino di chi sentiamo lontano, estraneo, separato ma ci è invece vicino, familiare, prossimo... è necessario il riconoscimento della nostra identità in anticipo sui tempi della nostra vita. L'invecchiamento individuale è una parte dell'avventura umana che solleva le questioni fondamentali dell'esistenza: confrontata alla sua finitezza, la persona anziana reinterpreta la sua presenza al mondo. In questa storia non è isolata, ma resta strettamente solidale rispetto al gruppo culturale, sociale e familiare al quale è collegata. Ogni società, infatti, attribuisce un ruolo ai suoi anziani e organizza delle risposte ai bisogni dei più deboli, in particolare dei non autosufficienti.

Anzianità e vecchiaia

Alla luce di questi rilievi ci si può stupire dello scarso interesse riservato ai problemi degli anziani nei dibattiti etici, tanto che gli aspetti legati alla vecchiaia - isolamento socio-familiare, scarsità di risorse finanziarie, dipendenza - sono di rado oggetto di una riflessione approfondita. La vecchiaia resta argomento marginale nella disamina della nostra società occidentale, nonostante i progressi medici collochino in un contesto nuovo il vissuto dell'invecchiamento e l'approccio alla morte.
In Occidente le categorie predominanti della funzionalità e dell'utilità fanno invecchiare davvero male. Non s'invecchia solo per degenerazione biologica ma anche e soprattutto per l'idea che la nostra cultura si è fatta della vecchiaia. D'altra parte, la discussione sul senso dell'invecchiamento non può essere puramente teorica, gli interrogativi da porsi presuppongono un approfondimento in relazione al tema dell'alterità. Si tratta di riconoscere l'«altro» come se stesso e di rispettare il segreto della sua intimità. In situazioni di dipendenza, tutti gli attori - dai figli alle loro famiglie fino alle istituzioni e ai responsabili politici - sono rinviati alle loro concezioni della persona. Ciascuno si trova così chiamato a giustificare le interpretazioni delle nozioni di solidarietà, di progresso, e l'idea stessa che si fa del suo potere sulla vita.

Augusto Chendi

 

(pubblicato in MISSIONE SALUTE n. 5/2021, pp. 14-15)

 

 

Condivido volentieri la mia esperienza di vita vissuta accanto alle persone anziane, che si trovano in Mozambico, nella provincia di Capo Delgado ed anche in quella della Zambesia. Tutti gli anziani, anche se malati, sono una presenza preziosa nella famiglia come pure nella società, perché sono loro che hanno generato i nostri avi e i nostri genitori. Rispettare, ascoltare e prendersi cura di loro è una caratteristica della cultura africana e un dovere, adempiendo così al quarto comandamento che ci esorta ad onorare il padre e la madre, per ottenere una vita lunga ed essere felici su questa terra.

Gli anziani sono di solito tenuti in considerazione dalle loro famiglie e i loro figli si prendono cura di loro. Essi sono importanti perché sono ritenuti come biblioteche viventi della storia e delle origini della famiglia e trasmettono queste conoscenze alle generazioni presenti, affinché queste a loro volta possano trasmetterle a quelle future. Com'è bello vedere dei nonni seduti insieme ai loro nipoti, mentre raccontano episodi della loro vita passata!

Tuttavia nel mondo di oggi si è persa parecchio questa tradizione di ascoltare gli anziani e interessarsi di loro. La maggior parte di loro non è ben considerata né ascoltata come nel passato.

Sono pochi quelli che sono curati dai loro figli e che vivono con loro. Ci sono poi altri anziani che non accettano di lasciare le loro case quando i figli chiedono di andare a vivere con loro. Non vogliono lasciare i loro ambienti di vita, perché sono abituati a vivere nelle loro case e a prendersi cura, come possono, dei loro piccoli orti. Non vogliono essere ospitati in case altrui e preferiscono mantenere la loro libertà, rimanendo nelle proprie case. Cito come esempio una vecchietta di Montepuez, in Capo Delgado, che era malata, ma non voleva stare a lungo in casa di sua figlia, che viveva in città. Temeva, infatti, che, alla sua morte, sarebbe stata sepolta lontana dal suo villaggio. Appena si sentiva abbastanza in forza, ritornava a Mithali, nel suo villaggio.

Nelle grandi città, come Maputo, ci sono delle religiose che gestiscono case di riposo per anziani. Quelli che hanno la fortuna di essere aiutati dai loro figli sono ben trattati e curati. I figli li visitano nel fine settimana, portando loro dei piccoli doni. Questa è una cosa buona, ma, d'altro canto, poiché gli anziani parlano la loro lingua locale, quando si trovano fuori del loro ambiente e con persone che parlano un altro dialetto, non si sentono felici, perché non possono comunicare con gli altri. Per questo alcuni pensano che sarebbe meglio vivere nei loro ambienti e affrontare qualche sofferenza pur di godere della loro libertà e aver la possibilità di vedere più spesso i loro familiari, specialmente i nipoti. È necessario incoraggiare queste persone e visitarle spesso perché non si sentano abbandonate.

Quando visitiamo le famiglie di Miliquela, ne incontriamo alcune che vivono con i loro genitori e, grazie a Dio, sono molto uniti. Nello stesso tempo, però, incontriamo degli anziani che vivono da soli, sono malati e non vanno all'ospedale perché non hanno i soldi per comprarsi le medicine. In alcune parti del Paese non ci sono strade asfaltate, ma solo sentieri per cui nessun mezzo motorizzato può transitare e raggiungere queste persone per portarle all'ospedale.

La Chiesa fa quello che può per aiutare il suo popolo, ma questa è solo una goccia nel mare. Ecosì avviene che al venerdì, giorno sacro per i musulmani, molte persone anziane ed alcune anche zoppe si sparpaglino nelle città, nei mercati e presso i negozi per chiedere l'elemosina a tutti quelli che incontrano. Ma a che cosa serve questo? In questo modo ricevono aiuti solo per un giorno e continuano a chiedere soccorsi ogni settimana.

Le persone anziane devono essere curate bene, ascoltate, consolate e animate dalle loro famiglie e dalla società. Senza di loro i giovani non esisterebbero. La gratitudine, il sostegno, l'accompagnamento dovrebbero continuare fino al termine della loro vita, di modo che possano morire serenamente.

Dovremmo riflettere spesso sul fatto che questo mondo passerà, che noi siamo su questa terra di passaggio e che verrà anche per noi l'ora della nostra morte, da anziani o anche prima, come Dio vorrà. Allora desidereremmo che qualcuno ci fosse vicino per ascoltarci, trattarci bene e sostenerci. Per questo fin d'ora cerchiamo di essere vicini alle persone anziane, soprattutto a quelle che non hanno nessuno che si prenda cura di loro e che li sostenga fisicamente e spiritualmente. Certamente Dio ci benedirà.

Per quel che riguarda il sistema previdenziale, coloro che lavorano per lo Stato possono depositare una parte del loro salario di cui usufruiranno in futuro. Ma che ne sarà di coloro che vivono solamente dei prodotti dei loro orticelli? È questa una sfida per tutti quelli che devono affrontare le difficili realtà dei giorni nostri. Il governo ha il dovere di risolvere questo problema e di trovare il modo di aiutare il popolo, affinché il Mozambico, malgrado le calamità naturali che lo colpiscono sempre più violentemente, possa crescere e svilupparsi.

 

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"Il VALORE dell'ANZIANITA'"

 

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Sin da bambino in casa circolava la rivista "Andare alle genti" delle Missionarie della Consolata. Ancora oggi mi piace leggere questa rivista perché è piena di umanità, di attenzione agli ultimi e ha grande rispetto degli stessi. Chi non la conosce troverà in essa una grande attenzione per chi ha una tradizione o una cultura diversa, perché da ogni individuo abbiamo qualcosa da imparare con umiltà e rispetto. Nel numero di "luglio e agosto 2019" è apparso un articolo dal titolo "Il VALORE dell'ANZIANITA'", esso è composto da una prima parte "Anzianità, tappa tra il già e non ancora" di Carlo Miglietta, la seconda è "La chiesa e gli anziani" da parte della Redazione.

Qui di seguito vi propongo la terza e quarta parte: "Essere anziani in Mozambico" e "Gli anziani paez, memoria viva e sapiente".

Come detto, le prime due parti potete trovarle in "Andare alle genti" delle Missionarie della Consolata del mese di "Luglio e agosto 2019".

 

"Gli anziani paez, memoria viva e sapiente".

"Lo Stato, la società e la famiglia si adoperino per la protezione e l'assistenza delle persone della terza età e promuovano la loro integrazione nella vita attiva e comunitaria" (art. 46 della Costituzione della Colombia}.

L o Stato della Colombia ha avviato politiche specifiche riguardo alle persone anziane residenti nel Paese, in modo speciale a coloro che hanno più di 60 anni di età, tenendo conto in maniera particolare di quelle situazioni nelle quali si evidenziano condizioni di disuguaglianze sociali,

economiche, culturali e di genere. Questo piano che lo Stato si è prefisso di attuare nel decennio 2014-2024, ha come obiettivo quello di mettere al centro dell'attenzione politica il fenomeno dell'invecchiamento e le concrete condizioni degli anziani, uomini e donne.

Queste proposte politiche dimostrano che gli anziani sono un settore della popolazione altamente vulnerabile, soggetto ad esclusione ed emarginazione, riguardo al quale si sono creati tutti i tipi di pregiudizi e stereotipi che definiscono l'anzianità solo come una condizione di inferiorità, in una società tutta orientata verso la produzione, l'autonomia e la bellezza esteriore dell'essere umano.

Nonostante i cambiamenti culturali avvenuti in Colombia rispetto alla popolazione anziana - che nel passato era considerata la memoria viva e sapiente della società - non si può negare che in alcuni ambienti, in particolare tra la popolazione indigena, gli anziani giochino un ruolo molto importante nella trasmissione delle tradizioni culturali. Nelle comunità indigene dei Paez, che sono presenti in varie zone del Dipartimento di Cauca (ctrl), la posizione dell'anziano è molto importante ed essi sono considerati come una fonte di trasmissione orale delle tradizioni e delle credenze. Nell'ambito familiare, al tempo dei pasti, quando ci si raduna intorno alla tu/po (un fuoco protetto da tre pietre poste nel centro della cucina), vi è uno spazio dove "gli anziani parlano e nella loro voce cammina la sapienza e la conoscenza degli antenati" (cfr. Banda-Canencio, L'anziano nelle comunità indigene Paez e Zenì, 1996).

Gli anziani dei Paez che hanno più esperienza e saggezza vengono chiamati nel Cabildo (Autorità collegiale locale) "taita wala" ossia "padri che vegliano perché regnino la pace e il benessere tra tutti".

Inoltre sono consultati dai giovani perché li considerano una fonte di grande esperienza politica.

Il ruolo degli anziani come educatori, in questa società indigena, è legato alla conoscenza che essi hanno della storia in quanto si assicurano che ci sia una fedele trasmissione ai giovani del patrimonio culturale della comunità. Questo patrimonio comprende le tradizioni musicali, le tecniche di artigianato e quelle agricole, con particolare attenzione ai tempi della semina e del raccolto, legati alle fasi lunari.

Nell'ambito della sanità sono gli anziani che esercitano la medicina tradizionale, curando sofferenze e infermità, accompagnando e offrendo le loro conoscenze affinché l'equilibrio uomo/natura e individuo/comunità venga ristabilito. La malattia infatti è considerata come una rottura di questi equilibri vitali ed ecologici.

È veramente tanto quello che si può apprendere riguardo alla relazione tra gli anziani e la comunità in quelle società dove non si vive lo stress e l'agitazione delle società moderne, perché "il tempo passa in modo tale che quasi non ci si accorge e marcia al ritmo della vita" (Banda-Canencio). 


Clicca qui per andare al II° articolo: "Essere anziani in Mozambico"


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Venerdì, 17 Agosto 2018 23:31

Terapia della depressione (Franco Zarattini)

Le psicoterapie cognitivo-comportamentali sono indicate nei trattamento della depressione dei pazienti anziani assieme a quelle di gruppo che appaiono particolarmente utili, perché permettono un sostegno da parte di soggetti sani, attenuano l'isolamento sociale, incoraggiano l'empatia condivisa e facilitano il recupero della capacità di decidere.

Con il termine "bullismo" generalmente si indica il fenomeno delle prepotenze perpetrate da bambini e ragazzi nei confronti dei loro coetanei soprattutto in ambito scolastico. Il termine bullismo è il calco dell'inglese bullying, che significa prepotente.

Pubblicato in Famiglia Giovani Anziani
Mercoledì, 23 Novembre 2016 21:29

La famiglia un soggetto dimenticato (Luciano Sandrin)

Nell'esperienza della malattia, della disabilità e del dolore, le attenzioni spesso si concentrano solo sul soggetto direttamente interessato e non prendono in considerazione la sofferenza e le pene che sovente devono soffrire gli altri membri della famiglia.

Mercoledì, 04 Marzo 2015 12:00

"Sono fatto così"

La fragilità insita nella natura umana e la cultura libertaria dominante ai nostri giorni sono le concause i principali della scarsa maturità morale rilevabile in moltissimi adulti, degli errori educativi imputabili a genitori e insegnanti e dei "difetti" dei bambini.

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Mercoledì, 04 Febbraio 2015 13:25

Con gli altri o da soli?

Interessante articolo (Riva D., 2014 - Con gli altri o da soli?  Missione Salute. 2/2014: 16-17) riguardante l'età evolutiva, quando i ragazzi, se certo incominciano a sentire forte il bisogno di essere autonomi, di emanciparsi dalla famiglia, tuttavia proprio in questa età incominciano ad instaurare una variegata trama di rapporti interpersonali, oltre che con la famiglia, con gli amici, con i vicini, con i gruppi sociali, cioè, "con gli altri".

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Sabato, 17 Gennaio 2015 14:09

La paura di diventare grandi

da MISSIONE SALUTE N. 6/2004 – pp. 16-17

Vivere pienamente l'infanzia è la condizione necessaria per una vita adulta serena, perciò bisogna permettere ai bambini di essere bambini. Tuttavia, oltre certi limiti e oltre una certa età, gli atteggiamenti infantili si possono qualificare a buon diritto come "difetti'', da controllare, spiegare e correggere tempestivamente.

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