La prepotenza è solamente una componente del bullismo, che è da intendersi come un fenomeno multi-dimensionale. Per essere definito tale, il bullismo deve presentare tre caratteristiche: intenzionalità, persistenza nel tempo, asimmetria nella relazione di forza; la vittima non è in grado di difendersi e si trova in condizione di impotenza di fronte al suo aggressore.
Per capire questo fenomeno bisogna prendere in considerazione il bullo, la vittima e lo spettatore, quali personaggi che attraverso modalità differenti, ma a volte complementari, concorrono alla messa in atto del comportamento aggressivo.
Tipologia del bullismo
Si possono distinguere due forme di bullismo, quello diretto e quello indiretto. Il primo è caratterizzato da una relazione diretta tra vittima e bullo. A sua volta può essere distinto in bullismo: fisico (il bullo colpisce la vittima con calci, pugni, spintoni o la molesta sessualmente), verbale (la prende in giro, dicendole cose spiacevoli, offensive, minacciose), psicologico (il bullo ignora o esclude completamente la vittima dal gruppo o mette in giro false voci sul suo conto), elettronico o cyberbullying (il bullo invia messaggi molesti alla vittima tramite sms o in chat o la fotografa/filma in momenti in cui non desidera essere ripresa e poi invia le immagini ad altri per diffamarla, minacciarla o dargli comunque fastidio).
Il bullismo indiretto è meno visibile di quello diretto, ma non meno pericoloso, e tende a danneggiare la vittima nelle sue relazioni con le altre persone escludendola o isolandola soprattutto con pettegolezzi e calunnie sul suo conto. I bulli maschi sono maggiormente inclini al bullismo diretto, mentre le femmine a quello indiretto. L'età più interessata è quella fra i 7 e i 10 anni e quella fra i 14 e i 18 anni. Un'ulteriore distinzione può essere effettuata fra bullo dominante - con le sue caratteristiche di aggressività e violenza - e bullo gregario, che assume spesso la funzione di sobillatore, si pone come seguace del bullo dominante, ma non è in grado di portare avanti una iniziativa da solo.
La vittima e gli spettatori
La vittima viene invece identificata come passiva-sottomessa oppure provocatrice. Nel primo caso si tratta del classico bambino un po' isolato nel contesto della classe, il quale non è in grado di reagire all'attacco del bullo e arriva a colpevolizzarsi del proprio comportamento senza riuscire a parlarne per timore che la violenza aumenti. Nel secondo caso è il bambino che in qualche modo provoca gli attacchi degli altri e talvolta prova a reagire con gesti aggressivi, che però non riescono ad avere la meglio su quelli del bullo.
Nella categoria dello spettatore troviamo invece i sostenitori del bullo (coloro cioè che assistono alla sua violenza ridendo o anche solo guardando), i difensori della vittima (che tentano di interrompere l'atto o comunque di consolare la vittima) e gli "spettatori silenziosi" che cercano di rimanere fuori dalla situazione non prendendo posizione in alcun modo.
Dalle ricerche campionarie svolte da Telefono Azzurro ed Eurispes su una popolazione di ragazzi dai 12 ai 18 anni emerge che un terzo degli intervistati ha partecipato in qualche modo a fenomeni di bullismo e il 17 per cento ha avuto una parte attiva in a-zioni di minaccia o violenza. Questi dati, aumentati nel 10° rapporto dell'Eurispes e di Telefono Azzurro del 2009, confermano l'entità del fenomeno e fanno propendere per una spiegazione più complessa, che va oltre la manifestazione di una normale prova di forza adolescenziale. È quindi errato considerare il bullismo come una semplice "ragazzata" o "bravata" o come un atteggiamento goliardico.
Mentre il vandalismo e il teppismo sono forme di violenza estroversa, cioè diretta verso le istituzioni o i loro simboli (docenti o strutture scolastiche), il bullismo è introverso, una specie di "cannibalismo psicologico" interno al gruppo dei pari. Specie nei casi di ostracismo, l'intera classe tende a essere coinvolta nel bullismo, attivo o passivo, rivolto verso le vittime del gruppo, tramite meccanismi di consenso, più o meno consapevole, non solo per il timore di diventare una nuova vittima dei bulli, ma perché questi spesso riescono a esprimere sia pure in negativo, attraverso la designazione della vittima quale capro espiatorio, la cultura identitaria del gruppo.
Chi è veramente il bullo?
Il bullo non è solo un individuo incapace di sintonizzarsi con le emozioni dell'altro e proteso alla supremazia; a livello profondo, può essere visto come un insicuro, un individuo incapace di far fronte alla propria inadeguatezza, al punto di rimuoverla completamente a favore di una prepotenza che persegue solo il fine della supremazia sull'altro.
Anche la vittima non deve essere considerata solo come un individuo incapace e insicuro, perché questo significherebbe ignorare sia l'aggressività repressa di cui è portatrice, sia la dimensione di onnipotenza presente nell'atto di non chiedere aiuto.
Le cause primarie del bullismo sono da ricercare non solamente nella personalità del giovane bullo, ma anche nei modelli familiari sottostanti, negli stereotipi imposti dai mass-media, nella società di oggi che spesso è disattenta alle relazioni interpersonali. Deve essere chiamato in causa l'ambiente ristretto della famiglia e quello più allargato della società. Dovremmo interrogarci sui modelli che, in quanto adulti, proponiamo ai nostri ragazzi e capire in che modo li spingiamo verso comportamenti anestetizzati che ignorano la presenza di emozioni e affetti.
La genesi del fenomeno
Come dimostrano alcune ricerche, il bullismo è spesso correlato con gli stili educativi dell'autoritarismo (per cui sarebbe in un certo senso reattivo alla forza imposta dall'autorità) e del permissivismo (per cui il bambino o ragazzo sa che "può fare tutto ciò che vuole").
Lo sviluppo incessante dei mezzi di comunicazione allontana sempre più il mondo degli adolescenti da quello degli adulti, che non sanno più porsi come modelli né, tanto meno, come argini.
Sconfiggere virtualmente il nemico con azioni aggressive, essere costantemente in relazione con più persone senza un confronto diretto, sono operazioni funzionali a garantire la propria supremazia senza sforzo e responsabilità.
L'uso dei videogiochi, ad esempio, dovrebbe essere impedito nell'infanzia e permesso limitatamente nell'adolescenza. Si vedono talvolta ragazzi in preda a vere e proprie crisi di rabbia incontenibile, dopo aver giocato per ore con lo stesso videogioco in cui bisognava ammazzare un numero sconsiderato di persone per passare al livello successivo.
L'incremento della comunicazione a distanza, degli incontri virtuali in cui si può non essere se stessi, protegge da quei sentimenti di inadeguatezza o vergogna che si possono sperimentare in un incontro reale. L'idea di poter raggiungere chiunque e in qualsiasi momento alimenta il senso di onnipotenza e impedisce il sano confronto con il limite. I ragazzi che vivono la maggior parte del tempo libero in una realtà virtuale non sperimentano la possibilità di sopportare la frustrazione e rischiano di rispondere con la violenza ogni volta che non riescono a soddisfare immediatamente una loro esigenza.
Non è possibile raggiungere un'adeguata maturazione psichica se non ci si confronta con i limiti imposti dalla presenza dell'altro: questa è la principale funzione educativa degli adulti.
Virginio Nava
(tratto da Missione Salute, n. 2, 2010, pp. 20-21)