«Un figlio dotato di sensibilità avverte che padre è chi lo ha scelto: il padre è sempre culturale, dunque quello naturale non gli basta. Deve comunque "cercare" il genitore e, anche se così troverà di nuovo quello biologico, ricambiarlo scegliendolo a sua volta (L. Zoja).
Padri si diventa non in seguito alla pura generazione naturale. Lo si diventa in senso vero quando si dà la scelta, l'accoglienza e la responsabilità. È essenziale presentare un modello di esempi e valori. Soltanto così si merita fiducia e stima. Due sono i presupposti inscindibili: l'affetto e l'autorità. Dell'affetto è facile capire l'importanza, non altrettanto dell'autorità. Si nota che il compito del padre è in certo senso paradossale. Da una parte deve farsi amare e dall'altra temere. Lega a sé in quanto ama e nel contempo tiene le distanze in quanto esercita un potere autoritario. La sua funzione che lo vuole capace di comando e disciplina è una qualifica che si impone da sé. Non è artificiosamente voluta dall'individuo, ma dalla stessa realtà. Sarebbe sbagliato vedere nell'esercizio dell'autorità un'imposizione e non riconoscere che si tratta d'un carattere inerente alla vita. In quanto tale va accettata come ovvia, quanto ovvio è il sole che sorge e tramonta.
Amore e autorità corrono parallele in armonica collaborazione. L'affermazione dell'una a scapito dell'altra determina l'eclissarsi dell'immagine paterna. Nella nostra cultura si è imposta la convinzione che basta amare. Si pensa che l'ideale sia fare del padre un amico o un fratello. È un errore che si fa pagare ad alto prezzo. La natura delle cose vuole la distinzione e la salvaguardia delle differenze.
Il padre amico
La punizione parte dagli stessi figli che rimunereranno il cameratismo del genitore con la disistima e un certo disprezzo. È comprensibile la delusione di molti padri quando si domandano: in che cosa abbiamo mancato? Non abbiamo dato tutto? Ci siamo forse risparmiati in sacrifici purché i figli avessero quelle opportunità che a noi sono mancate? Non si tratta di offrire beni materiali ma di impartire insegnamenti e comunicare ideali.
È necessario mostrare anche un'autorità in grado di impartire comandi, esigere disciplina e mettere ordine nelle cose, dando prova di saggezza e ricchezza di esperienze. Tutto questo nella condizione di parità sfuma. Come può presumere un collega di prepararmi alla vita e insegnarmi ad affrontare il mondo? Se si ignorano le differenze viene a mancare il presupposto di proporsi come guide e modelli.
La tanto esaltata uguaglianza nell'ambito della famiglia è una bugia mascherata, del cui danno non ci si rende conto. Tutti uguali? Tutti sullo stesso piano? E la differenza di età non conta? L'esperienza, il destino, la riserva di conoscenze restano sempre diverse a dispetto di qualsiasi appiattimento e parificazione. Bisogna pur riconoscere ciò che è evidente e non ammette emendamenti stabiliti dell'artificio culturale. Certe differenze e distanze non sono eliminabili se non a prezzo di menzogne. In nome dell'affetto che si piega al cameratismo si ha come conclusione un'assurda contraffazione dei fatti. Il padre non è più tale e correlativamente anche il figlio non è più figlio, appunto amico.
Il padre intransigente
Non è solo questo l'errore che porta disordine nei rapporti familiari. La situazione si può rovesciare nel suo opposto. È il caso del genitore che si comporta all'interno della famiglia come un piccolo tiranno: intransigente, meticoloso e intollerante. Pretende non solo obbedienza perentoria ma sudditanza indiscussa senza compensare le sue esigenze con altrettanto affetto e bontà. Il risultato di un'educazione dispotica non premia, infligge anzi un castigo pesante. Si toglie ai figli quello che loro compete, l'obbedienza spontanea, la docilità e il rispetto per l'autorità paterna. Di loro si fanno dei ribelli, che portano poi nella scuola disagio dando segni di insubordinazione, insofferenza d'ogni norma e mancanza di profitto.
La reazione contro l'atteggiamento intimidatorio impedisce uno sviluppo sereno e armonioso. Ai valori imposti si contraccambia con la disobbedienza. Se il genitore li voleva studiosi, eccoli pronti al rifiuto della scuola, se osservanti delle tradizioni religiose, diventa per loro una soddisfazione fare il contrario disertando ogni pratica religiosa.
Un esempio al riguardo è il caso descritto da Kafka in un documento di alto valore letterario: Lettera ad un padre. Lo scrittore tocca i sentimenti delicati, ma non risparmia i rimproveri più pungenti nei confronti del padre, un uomo intraprendente, coscienzioso e fedele al suo dovere, nel contempo imperioso e intransigente. Non concedeva nessun riconoscimento al figlio, anzi lo trattava in modo rude tanto da incutere terrore. Con la sua presenza soffocava il figlio che privato d'ogni qualità era ridotto ad uno schiavo. «Davanti a te non ero in grado di parlare né di pensare». Era come bloccato, invaso solo dalla paura. Si sentiva annullato, oppresso da un forte sentimento di colpa e dalla vergogna. Tanto appariva grande e forte il padre, altrettanto insignificante e gracile il figlio. L'uno si ergeva come la misura di tutte le cose, l'altro diventava oggetto di disprezzo. La parola del padre suonava come un comandamento del cielo, una parola annientante nei confronti del figlio. Tutto era subordinato alla sua valutazione, tutto assumeva il valore stabilito dalla sua decisione. Non lasciava posto alla fiducia, alla confidenza, alla sicurezza e al senso di protezione. Il comando soppiantava l'affetto e vi si sostituiva.
A sua volta il despota finiva per cancellare il padre. Il fallimento della figura paterna trascinava con sé il fallimento della figura filiale. Se l'uno non sarà percepito come padre, anche il figlio non si riconoscerà come figlio, ma dovrà rassegnarsi a subire la sorte dell'orfano.
Il padre borghese
Nella cultura contemporanea si attraversa il disagio d'una società senza padre. Il fenomeno arriva da lontano. Ma le espressioni con le quali si manifesta oggi sono inedite. A rendere critica la situazione è la svolta in atto nello stato del benessere, dove il padre non esiste se non come presenza fisica.
Il suo ruolo si concentra nell'accumulo della ricchezza. È ridotto ad impresario, commerciante, a funzionario i cui interessi sono tutti rivolti al profitto e al successo nella carriera. Certo tutto questo per elevare il tenore di vita della famiglia. Se tuttavia il prezzo che si paga comporta la perdita della funzione paterna, il guasto è inevitabile.
Nella testimonianza di Kafka il padre non è riconosciuto come tale, lo è soltanto in forza della generazione fisica e il figlio non è un figlio scelto e accettato, ma un puro essere generato.
Al fallimento del padre che si lascia sopraffare da un eccesso di amore e tende ad ignorare le differenze, va associato il caso opposto di chi si rapporta alla sua creatura trattandola come un giocattolo a proprio arbitrio. Sullo stesso piano si pone il padre, prodotto dell'attuale cultura borghese. In ogni caso la figura paterna scompare. Le conseguenze in ambito sociale sono pesanti.
I figli che non incontrano l'autorità in famiglia sono indotti a cercarla al di fuori. La scelta potrebbe cadere su soggetti equivoci: su un capobanda della malavita, che inizia i suoi all'estorsione, alla rapina, allo smercio della droga. È facile s'imponga allora la legge del branco. La sudditanza sperimentata in famiglia continua poi al di fuori.
Molte deviazioni che hanno inflitto sofferenze alla comunità civile vengono riportate all'assenza di autorità in famiglia. La ricerca d'un padre incappa spesso in cattivi maestri. Così è avvenuto delle bande armate del terrorismo. Così è avvenuto delle dittature arrivate al potere con un referendum democratico. Il bisogno d'una guida, soprattutto nei momenti di crisi, trascina alla ricerca disperata d'un'autorità, finendo spesso in catastrofiche disavventure.
Mario Bizzotto
MISSIONE SALUTE n. 1/2014 – pp. 34-35