I Colori della Speranza

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Mercoledì, 21 Marzo 2012 14:36

Nella odierna fitta foresta, un chiarore che varia i colori (Maurilio Assenza)

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Nella odierna fitta foresta, un chiarore che varia i colori

Il mondo di oggi ci appare a prima vista come un camminare senza speranza e senza direzione nel buio di una foresta. Si cammina con lo sguardo basso, si cammina incupiti nella foresta di molteplici segni, di infinite attività, di tanti (troppi) messaggi, di ambivalenti sentimenti.

Si cammina con lo sguardo basso e incupito … e si scorge spesso solo e sempre buio. Ci si impiglia tra rami e rovi. Crescono rabbia, amarezza, cattiveria, violenza. E si perdono energie. Non si lotta. Nella società, ma. anche nel mondo ecclesiale o nel mondo educativo, dove – per la luce che si dovrebbe custodire e «mettere sopra il moggio» - ci si aspetterebbe altro, ci si aspetterebbe la capacità di ritrovare tutti i colori della vita, grazie al tenuo chiarore che - se si resta vigilanti - nessuna notte può spegnere. Mi colpisce come, anche tra i cristiani, anche a scuola (che penso sempre come luogo “altro” per far crescere uomini e cittadini), l’attuale crisi generi solo senso di impotenza e smarrimento. Ancora una volta facendo prevalere colori della vita tanto cupi quanto uniformi ... E invece ogni crisi dovrebbe aiutare a discernere ciò che vale, cogliendo i colori tenui e vari della vita che resiste, cresce, fiorisce e dà frutto anche in condizioni avverse, come la tenace ginestra cantata da Leopardi. Ma per questo ci vuole, secondo la bella espressione di Etty Hillesum, che «si mantenga aperto il varco verso Dio». Allora si colgono particolari nascosti e orizzonti presenti seppur lontani. Don Primo Mazzolari invocava per questo un sussulto di sensibilità, di sguardo fine e attento. Non una «sensibilità miracolistica ma una sensibilità incarnata e redentrice» - precisava. Personalmente mi rappacifico e ravvivo la speranza il giovedì sera quando, con gli educatori della Casa don Puglisi (ove si accolgono situazioni drammatiche e si fanno i conti con il dolore innocente dei bambini) ed alcuni amici sensibili ci si ferma per capire come continuare a volere bene, come continuare a ripensare e coltivare “comunque” il bene dei poveri e della città. Il legame con quanti ci sono affidati e la consapevolezza che questo riguarda la città, non permette che prevalgano amarezza e qualunquismo. Appaiono così tutti i colori della vita, e si intrecciano nei volti delle mamme e dei bambini che ci sono affidati ma anche in tutti i volti che si incontrano ogni giorno: volti di anziani, volti di immigrati, volti di amici, volti di familiari, volti di estranei. Ci soffermiamo spesso sui volti dei giovani di oggi, forse perché ci siamo parecchi insegnanti e catechisti. Appaiono quasi senza colore, sempre più increduli e sempre più indecifrabili. Ma questo non ferma lo sguardo, si tenta di intravedere comunque con il cuore. E si scorgono “parole sepolte”, che qualcuno dovrebbe aiutare a venir fuori. «Bisogna – scriveva ancora don Mazzolari - avere il cuore proteso verso le voci più delicate e quasi impercettibili della nostra generazione che, accanto ai violenti distacchi, conosce gli spasimi ineffabili di un’attesa, che se non ha ancora un nome, dà però tanta speranza a chi può vedere». Basta allora aprirsi al chiarore in una “radura”, per variare i colori anche nella foresta più fitta, per intravedere luce anche nella fitta foresta del nostro tempo.

 

Sorge un'altra domanda: possiamo fermarci a una prima lettura del nostro tempo, noi che siamo chiamati a scorgere il Veniente? noi che nell’Apocalisse “vediamo” – prevalenti sul nero tetro e sui fumi di zolfo – il rosso fuoco della battaglia, il giallo luminoso della rivelazione di Dio, il verde della palme e il bianco delle vesti della vittoria? Forse abbiamo bisogno del collirio, o forse solo di usarlo. Lo sguardo si è riaperto, infatti, cinquant’anni fa con il Concilio Vaticano II. Che tra l’altro, oltre a rendere più colorato il mondo, ci ha chiesto di leggere nella sua storia i “segni dei tempi”. Per questo però ci vuole una chiesa, che nella foresta, generi e offra “radure” per tutti. Una chiesa che aiuti a leggere con una “vista penetrante” la nostra storia, grazie ad una lettura illuminata dalle Scritture e dalla conformazione a Cristo nell’eucaristia. Una chiesa che, mentre legge, partecipa al “parto di gloria” del mondo nuovo. C’è, infatti, una vera lettura dei “segni dei tempi” - sottolinea don Pino Ruggieri - «quando, grazie alla presa di coscienza collettiva, essa è in grado di modificare in direzione messianica l’equilibrio dei rapporti umani in una determinata epoca … [Per questo] è necessario che la comunità confessante, soprattutto nella celebrazione liturgica, accetti di vivere responsabilmente nel proprio tempo sotto la luce della vittoria del Cristo sulla morte». Riflessi di questa lettura li avverto accennati in interventi come quello del papa al Congresso eucaristico di Ancora, quando ricordò come l’imperialismo del denaro proprio del capitalismo fa sì che «al posto del pane si diano pietre» o in tante conversazioni e interventi del Card. Carlo Maria Martini. E avverto la possibilità concreta che maturi una lettura dei “segni dei tempi” quando, riunendoci il sabato sera nella mia parrocchia per la lectio divina, leggendo di Gesù che si immerge nella vita della gente, ci si pone il problema del rapporto con la gente, con il territorio e con i poveri. Da incontrare nella relazione (come chiesa che sa essere madre) per portarli al cuore della comunità, senza lasciarli nell’anticamera dei centri di aiuto. Ma per questo ci vogliono «fiducia nel Vangelo e cambiamento di mentalità». Se veramente speriamo nel Signore e nella vita piena ed eterna che ci dà, la nostra vita personale e di chiesa sarà più povera, sciolta, spedita, coraggiosa, vera. Sempre Ruggieri sottolinea come «la prassi della sequela e della con-formazione a Cristo, nella piena assunzione della responsabilità di fronte alla storia degli uomini e delle donne del proprio tempo, è la vera condizione di possibilità soggettiva di una interpretazione cristiana dei segni dei tempi».

 

Colori tenui e colori netti ... “Segni dei tempi”. Sequela. Vengono nella “radura” colti e nella conversione testimoniati i colori di Dio. Solo così l’umanità potrà ricevere l’annuncio che la fitta foresta conduce ad una vetta, che è dentro un orizzonte di luce confinante con l’arcobaleno della pace. Accelerano i tempi del dono tutti quei credenti che, poiché sono capaci di sostare a lungo nella radura, hanno anche sufficiente energia per trasformare il varco in sentiero. Con tenacia. Unendo tenerezza e forza. Come testimoniano i martiri, come per esempio ultimamente ci è stato riconsegnato nel bel film “Uomini di Dio” sui martiri di Tibhirine. Con quel canto di speranza del priore, in cui colori e luce si intrecciano: «La mia morte – scrive nel suo “testamento” - sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno considerato con precipitazione un naif o un idealista: “Ci dica adesso quel che pensa!” Ma queste persone devono sapere che la mia più lancinante curiosità verrà finalmente soddisfatta. Ecco che potrò, a Dio piacendo, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’Islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua Passione, investiti dal dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre stabilire la comunione, ristabilire la rassomiglianza, giocando con le differenze». Penso ai martiri, penso a tanti testimoni. Nei giorni in cui scrivo penso anche a Oscar Luigi Scalfaro, morto nella notte della IV domenica del tempo ordinario: penso alla sua vita spesa per il bene e per una politica intesa come servizio al bene, al suo vivere con fermezza (tradotta in parole chiare, in chiarissima difesa della nostra Costituzione), al suo morire mite, al suo stile di vita semplice. «Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia – ricordava il cardinale Ratzinger poche settimane prima della sua elezione alla cattedra di Pietro – sono uomini che uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini».

 

Maurilio Assenza, Filosofo, Direttore della Caritas Diocesana di Noto

Letto 67052 volte Ultima modifica il Mercoledì, 21 Marzo 2012 20:45

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