In passato mi sono chiesto se parlare di speranza non sia un lusso – per quanti possono permetterselo. Magari, argomento di una discussione da fare standosene seduti accanto al caminetto acceso, mentre si sorseggia un buon bicchiere di vino – tra amici. Ragionamenti per coloro che, tutto sommato, possono disquisire con noncuranza e leggerezza, in quanto non soggiornano sotto i graffi della disperazione.
Ma, vedi, ora che fa freddo (la notte il termometro scende di qualche grado sotto lo zero), la speranza – per chi è appena stato qui a prendere qualcosa da mangiare o a chiedere una coperta – è di trovare un posto dove poter passare questa notte. E se questo posto fosse al caldo – beh, cos’altro ci si può aspettare di più dalla vita?
La speranza, come diceva un poeta, è una bambina piccola e ben fragile. Basta poco per vederne le lacrime. Ma nei nostri giorni d’orgoglio ed ignoranza allestiamo innumerevoli imboscate a questa speranza-bambina. È un diamante che s’incrina nel silenzio delle tante nostre indifferenze – vestite con le vuote parole del decoro, della tradizione o della decenza. Nella noia che ci avvolge, trascinandoci in esistenze ove non s’attende più nulla – ripiegati sui nostri ombelichi – mentre il mondo dei desideri si è sciolto nell’istante, nell’imperante soddisfacimento del piacere.
In diversi, in questi decenni, hanno vestito la speranza con i nomi più diversi. Ora era Nicaragua e Cuba ed il Chiapas. Ora era Sandino o Thomas Sankara o Pepe Mujica ed il comandante Zero. Per qualcuno è stato Mao e Ho Ci Minh – la rivoluzione culturale o qualche altra rivoluzione. Garofani, gelsomini, cedri… e qualche altra primavera – a Praga o in una piazza araba.
Speranze, spesso, volte in polvere o finite tragicamente o dimenticate – annacquate. Sostituite, forzatamente, dal nome di altre, nuove speranze. In un gioco che sembra non abbia mai fine. Sulle strade del mondo resta una lunga scia di delusioni. A volte, i bordi di queste strade sono sommersi dai cadaveri degli ammazzati. Fosse nutrite dalle mille maschere dell’illusione.
Mi dicono: “Abbiamo sperato, ma…”. Abbiamo sperato? O eravamo alla ricerca, unicamente, di certezze? Una conferma per noi stessi, da rinvenire tra i mille dubbi e le nostre insicurezze? O abbiamo rincorso nel vento le maschere delle nostre illusioni?
Mi chiedono se sia sufficiente pregare – per mantenere viva la speranza… Non so disquisire – neppure su questo genere d’argomenti. Ricordo un film di diversi anni fa. Parlava di lotte e di un prete che prendeva coscienza – Non basta più pregare. Basta cambiare le strutture – per cambiare le persone… Poi ci si accorge che quanto affermato non è così veritiero. Si cambia – a volte –, e spesso è in peggio. Resta l’abisso che è in noi – il nostro lato oscuro – che esplode, dilaniando chi ci sta intorno.
Dice il poeta: la speranza sorprende – soprattutto nei bambini. E qui, a Natale, abbiamo la sorpresa di un Bambino. È piccolo – è fragile. È indifeso. E presto ci sarà un qualche Erode che ne vorrà la morte – ed anche Lui conoscerà la fuga su strade straniere. Ma è una speranza di pace e di cambiamento che si rinnova. Per chi ha orecchie per ascoltare. Per chi ha un cuore che si lascia amare – lasciandosi così cambiare nel cuore.
Faustino Ferrari