2. «Il 13 dobbiamo pagare l’affitto e non so come fare. Abbiamo paura. Farei qualsiasi cosa. Le pulizie, stirare… Anche solo due o tre ore. Pur di prendere qualche euro. Da mettere da parte per pagare l’affitto. Vado in giro tutto il giorno a chiedere. Ma non trovo niente. Io ho paura. Non tanto per me, ma per i miei figli. Ed adesso fa freddo. Se fossimo rimasti nella vecchia casa, saremmo già morti. Ma non c’è nulla da fare. Nessun lavoro. Nessun lavoro…».
3. «Sai, oggi c’è la crisi. E non ti pagano. Devo ancora prendere i soldi degli ultimi cinque mesi del lavoro che facevo prima. Dicono che è la crisi, che bisogna aspettare. Intanto i soldi servono. Per la casa. Per il mangiare. Per i vestiti si può aspettare. Ed anche per tante altre cose. Ma per mangiare no. Non si può aspettare. Quando si ha fame, si ha fame. E neanche per questo lavoro mi hanno pagato. Anche qui c’è da aspettare. Ma io non so se i soldi arriveranno. O se resterò senza niente. Sai, a volte la gente se ne approfitta. E non vorrei che questo succedesse anche per me. Sarebbe un bel guaio».
4. «Sono passato per chiederti una cosa. Un po’ mi vergogno, ma non so come fare. A casa mia nessuno lavora. Mio padre non lavora da tanto tempo. E poi, sai com’è fatto. Io lo odio. Odio mio padre… Io sono andato in giro a cercare lavoro. Ma non si trova niente. Tutti dicono che c’è la crisi. Sarà anche vero. È un momento un po’ difficile, vero? Ho fatto soltanto due giorni di volantinaggio. Ma a casa non c’è rimasto nulla da mangiare. Potrei avere un po’ di spesa? Anche soltanto un pacchetto di pasta ed una scatoletta di pomodori. Almeno per mangiare qualcosa, questa sera».
5. «Sono appena uscita dall’ospedale. Un’altra volta. Sono piena di malattie. Voglio morire. Che Dio mi faccia morire al più presto. Sono stanca. Sono stanca di questa vita. Non ce la faccio più. Prima lavoravo. Ho lavorato per vent’anni. Facevo le pulizie all’ospedale. Ma ora sono malata. Mio marito, lo sai anche tu, è morto d’un colpo. E mio figlio è senza lavoro. La moglie l’ha lasciato con due bambini. Se n’è andata con un altro. I bambini sono tornati da scuola il pomeriggio e non l’hanno trovata a casa. Ha fatto la valigia e se n’è scappata di nascosto. Senza salutarli. Mio figlio ora ha una nuova compagna… Fa da mamma ai bambini. È brava. Per questo non c’è da lamentarsi. Ma voleva un figlio anche suo. E come si fa a dirle di no? Ed in casa siamo sei bocche da sfamare. Come si fa ad andare avanti? Senza lavoro! Sono stanca. Sono stanca».
Chi conosce esperienze di fatica, di disagio sociale o di emarginazione potrebbe raccontare centinaia di queste storie di vita quotidiana. Ma che parole si possono rivolgere a queste persone a cui qui sopra ho dato voce?
Dove nasce la speranza? Nelle parole di conforto che si possono pronunciare? Chi porge parole di consolazione, di solito, non sta sperimentando né la disperazione né l’abbattimento né lo scoraggiamento. E, forse, non si è mai misurato profondamente con simili esperienze.
Le parole di speranza, quindi, albergano soltanto nella bocca di coloro che non sono provati dalla vita, dalle dure e faticose esperienze dell’esistenza? La speranza è un lusso, un elemento superfluo che si possono concedere solamente quanti non si trovano ad affrontare particolari problemi? In tempi di crisi (economica e sociale) unicamente chi resta indenne ai morsi del peggioramento può permettersi l’ostentazione della speranza?
Ed ancora, il concetto di speranza racchiude un pensiero pericoloso, che distoglie le energie e l’impegno dalla concretezza dell’immediato per proiettarli in un futuro ipotetico, ma irreale o troppo lontano nel tempo?
Parafrasando la lettera di Giacomo potremmo provare a leggere: «Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la speranza ma non ha le opere? Forse che quella speranza può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la speranza: se non ha le opere, è morta in se stessa».(cfr. 2, 14-17)
Forse, la speranza nasce proprio in quello che riusciamo a compiere. Nei piccoli gesti quotidiani con cui insaporiamo la nostra esistenza.
Faustino Ferrari
Responsabile del CAG "Carmen Street". Brescia
Centro di Aggregazione Giovanile Interculturale ed Intereligioso