L’anfora e il dono (Gn 24, 1-4. 10-19)
Abramo, padre nella fede, si preoccupa che il figlio segua le proprie orme e non rinneghi le scelte già fatte. Era uscito dalla propria terra per aderire al progetto di Dio. Tutta la famiglia era stata coinvolta in questa avventura ed era il senso stesso della storia di questa famiglia. Ogni figlio che nasce non ricomincia da capo, quasi che ognuno viva senza radici. Si tratta di continuare un percorso già tracciato e di arricchirlo di novità. Abramo perciò vuole che la moglie del figlio Isacco appartenga alla sua stessa fede, alle sue stesse origini. Fa dunque giurare il proprio servo, potremmo dire il maggiordomo di casa, di non cercare per suo figlio una moglie cananea, cioè della popolazione pagana in mezzo alla quale abitava.
Non è irrilevante per una coppia che inizia il "cammino a due" essere in sintonia sui principi di fondo: la religiosità, il servizio, l’accoglienza…
Il servo si dimostra assai preoccupato di questa missione nella Mesopotamia settentrionale presso i parenti di Abramo: "Deve essere una ragazza bella, attraente, vergine, ma specialmente gentile e servizievole" rimuginava dentro di sé quel servo lungo il viaggio. Quando giunge fa riposare i cammelli fuori della città, presso il pozzo. E’ sera… e i suoi pensieri si fanno preghiera: Signore, mostra qual è il "DONO" che tu vuoi fare al figlio del mio padrone…
Ed ecco Rebecca…il servo la sta ad osservare; il suo sogno sembra divenire realtà, i suoi pensieri si sposano bene con quella creatura gentile.
"Rispose: - Bevi, mio Signore. In fretta calò l’anfora sul braccio e lo fece bere" (Gn 24,18). La scena dell’anfora fatta scendere dal capo che scivola lungo il braccio dolcemente e il protendersi verso l’uomo è di una plasticità incantevole. E’ un gesto che esprime generosità e abitudine al servizio e il servo di Abramo si preoccupa di rendere più preziosa la bontà e la bellezza di Rebecca.
"Quando i cammelli ebbero finito di bere, quell’uomo prese un pendente (un anello) d’oro del peso di mezzo siclo e glielo pose alle narici e le pose sulle braccia due braccialetti del peso di dieci sicli d’oro" (Gn 24,32).
Ecco il senso vero dei doni che due fidanzati si scambiano: l’anello, la spilla, il portachiavi…non servono a legare ma a rendere più importante, a riconoscere la persona come unica fra tante, a darle valore.
Lasciamo la narrazione biblica e immaginiamo Rebecca nella sua nuova casa con Isacco che ripete, giorno dopo giorno, il gesto di "attingere ed offrire" a tutta la famiglia.
La coppia vive e cresce "bevendo" dalla generosità di ognuno dei due.
Tony Piccin