Lo psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung scriveva che: «La parola felicità perderebbe il suo significato se non fosse bilanciata dalla parola tristezza», mentre Charlie Chaplin suggeriva che: «La vera felicità è qualcosa di molto vicino alla tristezza».
La tristezza ricopre un ruolo significativo nell'esistenza personale e nel vissuto sociale. Anche Gesù l'ha provata per la morte dell'amico Lazzaro: «Scoppiò in pianto» (Gv 11,35).
In alcune culture e famiglie, però, questo sentimento non ha ricevuto una buona accoglienza, è considerato un qualcosa di negativo, quasi una manifestazione indesiderabile della persona.
Alcuni adolescenti che provano momenti di sconforto sono stati redarguiti dagli adulti con frasi del tipo: «Non fare la donnicciola»; «Gli uomini non piangono», complicando la percezione e gestione di questo stato d'animo.
Pedagogie dettate dall'ignoranza hanno indotto a ritenere che provare tristezza sia segno di immaturità, debolezza e fragilità, per cui questa energia è rimasta, spesso, orfana di accoglienza o segregata agli arresti domiciliari.
Il "dolore dell'anima"
Lo psicologo tedesco Erich Fromm riteneva che «non si può essere profondamente sensibili in questo mondo senza essere molto spesso tristi».
Ognuno sperimenta tristezza in diversi momenti e per tante ragioni: un giorno piovoso, problemi famigliari, critiche ingiuste, tradimenti affettivi, torti subiti. Si può provare tristezza quando nessuno ti ascolta, o quando non c'è chi si ricordi del tuo compleanno o ti mostri affetto.
Talvolta, questo stato d'animo nasce dal non saper comunicare con gli altri. Alcuni sono in pena per opportunità perdute, quali: fare un viaggio, accettare un'offerta lavorativa, esplorare un legame affettivo. Altri si rattristano per fallimenti scolastici o sportivi, disastri finanziari o affettivi. Spesso, la tristezza viene a galla per notizie riguardanti le vittime di un terremoto, il suicidio di un giovane, la scomparsa di una famiglia per incidente stradale, il congedo dalla vita di anziani senza il conforto dei propri cari.
In sintesi, non si può vivere senza sperimentare momenti o eventi che producono tristezza. San Tommaso la definiva: Il dolore dell'anima.
La famiglia della tristezza abbraccia tante voci, alcune più tenui, altre più intense. Tra le espressioni più tenui si registrano: la malinconia, il dispiacere, lo scoraggiamento, la nostalgia, la noia, il senso di abbandono, lo sconforto, la mestizia, lo struggimento.
Le espressioni più intense includono il senso di vuoto, la prostrazione, la desolazione, l'amarezza, lo strazio, la depressione, la disperazione.
Ovviamente, man mano che si intensifica il sentimento e si trasforma in depressione e/o disperazione diventa più tortuoso il cammino per superarla o mitigarla.
La tristezza è un'emozione che si avverte, in particolare, per la mancanza o perdita di qualcuno e rivela il valore degli attaccamenti e il prezzo inevitabile dei distacchi. A volte, sullo sfondo di questo sentimento predominante si annidano abusi sessuali, una madre depressa, un padre dipendente dall'alcol, litigi di coppia o vissuti di separazione che hanno segnato la biografia dell'individuo.
Il vissuto del cordoglio
In generale, gli eventi luttuosi producono tristezza, solitudine e sconforto; molto dipende dall'intensità del rapporto con il defunto. Non si è tristi perché si è deboli, ma perché l'investimento emotivo produce ferite.
Nel vissuto del cordoglio, ci si sente tristi quando si guarda la sedia vuota o si ascolta il rumore assordante del silenzio. Talvolta, basta udire una canzone amata dal proprio caro per far sgorgare le lacrime, o rivedere i suoi amici, per avvertire un vuoto straziante, o passare accanto ad un luogo da lui frequentato, per sentirsi invasi dalla nostalgia.
L'assenza acutizza la differenza con altri; per questo i genitori che hanno perso un figlio non sopportano di incontrare altre coppie che godono la compagnia dei loro figli, così come una vedova prova disagio nel ritrovarsi con gli amici sposati, o una donna che ha perso la propria creatura in gravidanza evita il contatto con chi ha realizzato il sogno di maternità.
La tristezza è come l'olio che viene versato sulle ferite per elaborare il lutto: permette di ricordare e affermare il legame profondo e, allo stesso tempo, allena a un cruciale viaggio nella solitudine prima di reinvestire le proprie capacità affettive verso altre persone e determinati scopi.
Arnaldo Pangrazzi
(tratto da Missione Salute, n. 5/2021, pag. 64)